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Torre del Vescovo

La Torre del Vescovo è un edificio singolare nel panorama camuno-sebino. Non si tratta di una residenza fortificata, una casa-torre, ma di una costruzione nata in particolari circostanze e con altre e precise finalità. La sua posizione segna il limite naturale del lago come doveva essere prima che successivi ampliamenti della piazza e dei porti provocassero l’avanzamento della linea di costa. Per la determinazione del periodo e delle circostanze di costruzione è risultata fondamentale l’analisi del Designamento dei beni dell’episcopato di Brescia in Pisogne, redatto nel 1299. L’operazione, promossa dal vescovo Berardo Maggi, comportò, fra l’altro, il censimento del patrimonio di edifici e terreni della mensa vescovile. Nel testo è descritto per primo il complesso che il vescovo manteneva come propria residenza a Pisogne, nei pressi della piazza, e che risultava costituito da un palazzo e da un palazzetto diroccati, da numerose case ridotte a ruderi, dalla chiesa di San Clemente, usata come cappella privata, e da terreni un tempo usati come broli. Dalla descrizione appare come questo nucleo risultasse molto danneggiato, quasi certamente in seguito all’attacco condotto a Pisogne dei ghibellini della fazione autonomista camuna nel 1288. A fianco del palazzo tuttavia è citato il piede di una torre, identificabile con buona sicurezza con la costruzione qui in esame: ciò fa pensare che la torre fosse in costruzione in quel periodo e che, una volta recuperata la giurisdizione su Pisogne, il vescovo volesse disporre di un edificio da impiegare come deterrente per scongiurare altre aggressioni e come segno per riaffermare la propria supremazia sul luogo. L’episcopato, attorno alla metà del Quattrocento, cedette al Comune tutti i propri beni in Pisogne. In cambio il Comune acquisto e girò al vescovo una cospicua estensione di terre (circa 200 piò, cioè quasi 70.000 mq), a Bagnolo. L’operazione venne conclusa nel 1462, ma la torre fu mantenuta significativamente al patrimonio del vescovo. Solo all’inizio dell’Ottocento anche questa passò al Comune di Pisogne. L’edificio presenta pianta quadrata con lato di poco più di 7 m alla base ed è alto circa 32 m. La suddivisione interna è costituita da otto livelli, dalla quota di terra fino all’altana che regge il tetto. Tutti i livelli hanno dimensioni interne simili, con vani a pianta quadrata di circa 3,70 m di lato. Tale caratteristica suggerisce che si tratti di una costruzione di uso militare: nelle case-torri è quasi sempre usato l’espediente di smagrire i muri al salire della quota, arretrando il paramento interno, per ricavare spazio utile per l’abitazione; nel nostro caso invece lo spazio interno è costante a tutti i livelli e lo spessore murario si mantiene pressoché costante a circa 1,60 m. A ogni livello, tranne i due più alti, prevalgono le feritoie, tutte realizzate con la medesima tecnica costruttiva basata sull’uso del mattone per le arcate sovrapposte all’intradosso. La copertura con tetto è da attribuire a epoche successive alla prima costruzione, essendo dotato l’edificio in origine di una fitta merlatura, come dimostra un affresco quattrocentesco nella vecchia canonica della Pieve in cui la torre compare con parte della cinta muraria di Pisogne. Invece nella pala d’altare di un paio di secoli successiva, originariamente nella chiesa di San Clemente e ora collocata all’interno della stessa Pieve, compare nello sfondo Pisogne, con la stessa torre che mostra una copertura simile all’attuale. È possibile quindi che la modifica sia stata introdotta fra il XV e il XVI secolo quando l’edificio perse la funzione originaria. Con l’acquisizione da parte del Comune è documentata la ricostruzione in legno degli impalcati interni del 1813, ora sostituiti dal recente restauro con strutture in ferro, e, più tardi, la riconversione a campanile per la chiesa parrocchiale sette-ottocentesca, con l’alloggiamento delle campane all’ultimo livello.   Alberto Bianchi  
Torre del vescovo

Il centro storico di Clusane d’Iseo

Clusane, il cui toponimo potrebbe derivare da Clodius o da Chiusa, è situato sulla riva meridionale del Sebino. Comune autonomo fino al 1927, oggi è frazione di Iseo. È uno dei paesi a lago più antichi: insediamenti di comunità primitive fin dal Paleolitico sono testimoniati da tracce di attività palafitticole e ritrovamenti di punte di freccia e altri reperti. La zona fu abitata anche dai Romani, la cui presenza è rivelata dal ritrovamento di una lapide dedicata al dio Giove, oggi conservata al Museo Maffeiano di Verona, e dai resti di una villa nel centro storico del paese. Nel paramento in pietra sul lungolago si possono infatti distinguere una nicchia a pianta semicircolare affiancata su entrambi i lati da una serie di archetti ciechi forse pertinenti a un ninfeo. In base al vasellame rinvenuto durante scavi archeologici di emergenza, è possibile datare la villa al I-II secolo d.C. In questo stesso tratto di lago vi erano, in età longobarda, le riserve di pesca del monastero di Santa Giulia di Brescia. La prima menzione dell’abitato risale alla fine dell’XI secolo, quando i fratelli Aliprando e Alberto, appartenenti alla nobile famiglia longobarda dei Mozzi, donarono al monastero di Cluny la loro parte di una cappella dedicata ai santi Gervasio e Protasio che si trovava all’interno del castrum. L’atto fu firmato a Iseo il 12 luglio 1093 e comprendeva anche tutte le case, i terreni e le decime pertinenti alla donazione. I monaci si insediarono quindi nell’antico castello, costruirono un monastero fra 1112 e 1113, intorno al quale si raccolse una piccola comunità di contadini e pescatori. Nella prima metà del XII secolo Santi Gervasio e Protasio dipendeva dal monastero di San Paolo d’Argon; nel 1144 passò alla pieve di Iseo e il censo annuo era raccolto dal priorato di San Pietro in Lamosa di Provaglio d'Iseo, sotto il cui controllo passò definitivamente nel 1274. L'abitato di Clusane si costituì intorno al castrum che conteneva, oltre alla cappella, il primo nucleo di case. Tracce della fortificazione sono ancora visibili nel centro storico, racchiuso dalle vie della Chiesa vecchia, Molino, Castello e Ponta: in via della Chiesa vecchia vi è un arco in pietra che proteggeva la parte più elevata dell’insediamento, e in via Molino vi è la porta con antiporta. In questa via, dove probabilmente si trovavano i mulini segnalati nel Seicento, si riconoscono anche tratti di mura e basamenti di case medievali, e sono da segnalare le ville Mondella (XVII secolo) e Baroni (XVIII secolo) e il mulino moderno chiuso nel Novecento. Nel XIV secolo il comune di Clusane era amministrato dalla Quadra di Iseo. In questo secolo nacque la parrocchia, segnalata nel 1410, e all’esterno del borgo fortificato venne edificato il castello detto del Carmagnola , probabilmente ad opera della famiglia iseana degli Oldofredi. Fuori dalle mura, vicino al piccolo porto, vi erano le case dei pescatori. Nel 1517 la famiglia Sala, allora feudataria del castello del Carmagnola, costruì una chiesa dedicata a san Rocco nella zona della ”Ponta“. La chiesa parrocchiale fu gradualmente ingrandita nel corso dei secoli, fino all’Ottocento, quando furono aggiunte le due navate laterali, ma nel 1935 fu definitivamente abbandonata in seguito al completamento della nuova chiesa dedicata a Cristo Re: oggi l’edificio, completamente restaurato, è adibito ad auditorium. La fisionomia del paese cambiò nei primi anni del Novecento, quando fu aperto sulla riva del lago l'opificio della filanda Pirola e fu costruita la strada provinciale Iseo-Paratico. Si affermarono inoltre nuove forme economiche che trasformarono i pescatori in ristoratori grazie alla peculiare capacità di cucinare il pesce di lago, in particolare la tinca, pescata soprattutto nella zona a lago detta della “Foppa”, di fronte al paese. La maggior parte dei ristoranti fu costruita lungo la strada provinciale e nella parte verso la collina.   Angelo Valsecchi
Il centro storico di Clusane - ph: visitlakeiseo.info

Santuario della Madonna della Ceriola

Alla sommità di Monte Isola, visibile da tutto il lago, sorge il santuario che unifica i fedeli delle varie parrocchie dell’isola dedicato alla Madonna della Ceriola e alla festa della Purificazione. In origine la chiesa, detta Santa Maria de Curis, fu la prima parrocchiale per tutta l’isola come documentato nel 1410. È assai probabile che il sito fosse frequentato in epoca precristiana per culti inerenti divinità dei boschi: alcuni ritrovamenti archeologici sembrano sostenere questa ipotesi. Il termine Ceriola, invece, trova forse un nesso con la celebrazione della festa della Candelora che si svolge il 2 febbraio. La chiesa è arroccata sulla roccia, circondata da un piccolo sagrato; il panorama sul lago è assai suggestivo. La prima costruzione è forse da ricondurre al XIII secolo; seguì un ampliamento nel XV-XVI secolo e altre modifiche nel Seicento che portarono alla costruzione del presbiterio, assai più grande a base rettangolare con relativa cupola, la volta a botte della navata e l’inserimento di due cappelle laterali. A metà del ‘700 furono decorate le volte e aggiunto il campanile. La facciata è anomala perché vi furono addossate la torre campanaria e parte dell’abitazione del custode; l’ingresso principale è un semplice portale in arenaria con protiro poggiante su una colonna e aperto su due lati. L’interno si presenta invece sfarzoso per l’impiego di decorazioni, lesene con capitelli e stucchi che riempiono l’unica navata e ancora più il presbiterio. I dipinti settecenteschi della navata e del presbiterio propongono episodi della vita della Vergine; sono di discreta fattura con un’attenzione alla costruzione prospettica e agli effetti coloristici pienamente barocchi. In controfacciata è riemerso, dopo che l’edificio è stato colpito da un fulmine, un affresco della fase quattrocentesca della chiesa; si tratta di una Imago pietatis, ossia il Cristo morto e piagato che si leva dal sepolcro con i simboli della Passione. Un altro affresco, una Madonna col Bambino del XVI secolo, è stato in parte messo in luce. Il santuario conserva inoltre una piacevole raccolta di tavolette ex voto donate dai devoti che ricevettero grazie dalla Madonna; di scarsa fattura, queste piccole opere forniscono uno spaccato della devozione e della vita quotidiana durante i secoli. Negli ex voto compare spesso, in associazione alla Vergine, anche san Fermo venerato nella cappella ricavata nel fianco sinistro della navata; la pala dell’altare raffigura la Madonna col Bambino e i santi Giuseppe, Antonio di Padova, Fermo. La cappella sulla destra è in onore di san Giuseppe e conserva un’interessante tela, datata 1733 e firmata Antonio Paglia, raffigurante la Morte di san Giuseppe. Il presbiterio è tuttora separato dalla navata da un’elaborata cancellata seicentesca in ferro battuto. La mensa dell’altare è in marmo nero e fa da basamento alla struttura barocca che sale fino al fregio da cui stacca la cupola: è una grande cornice in legno dorato retta ai lati da colonne con decorazioni vegetali e terminante con timpano spezzato. Al centro, nel primo ordine, si divide in tre nicchie in cui dimorano le statue lignee della Madonna della Ceriola (o della Seggiola), fra i Santi Faustino e Giovita. Nella porzione superiore si propone la medesima tripartizione ma senza nicchie; al centro vi è un bassorilievo con Dio Padre benedicente. Il complesso scultoreo sembra il risultato dell’assemblaggio di elementi provenienti da allestimenti differenti, scalati cronologicamente tra i secoli XVI e XVII. Alla Madonna e a Gesù bambino sono state aggiunte le corone dorate; il manto della Vergine, rispetto a quello dei due santi, pare più elaborato e meglio riuscito nella definizione delle pieghe in particolare le porzioni che coprono gli arti inferiori. Proprio per la spigolosità e la ricercatezza delle vesti, la Vergine pare essere di fattura un poco più antica. Le ultime opere realizzate sono i dipinti murali (1924) di Achille Locatelli posti nelle pareti del presbiterio e in controfacciata.    
Santuario della Madonna della Ceriola - Ph: visitlakeiseo.info

Le Isole di San Paolo e di Loreto

Elementi di grande suggestione nel paesaggio del lago d’Iseo, le due isole di San Paolo e di Loreto rappresentano una tra le mete più apprezzate delle gite in barca o in motoscafo. Le due isole, di proprietà privata, non sono visitabili. La prima attestazione di un insediamento sull’Isola di San Paolo è l’atto del 1091 con cui i fratelli Aliprando e Alberto Mozzi con la madre Ferlinda, di legge longobarda, donano al monastero di Cluny la loro isola sul lago d’Iseo sulla quale vi erano alcune case e una chiesa dedicata a san Paolo. I monaci di Cluny vi costituirono subito il priorato di San Paolo de lacu con otto monaci. La comunità abitò per oltre tre secoli il piccolo monastero dipendente da quello di San Paolo d’Argon; in seguito alla decadenza degli insediamenti cluniacensi, tra il 1470 e il 1490 l’isola passò ai Francescani dell’Osservanza che avevano già due importanti sedi sul lago, a Iseo e a Lovere. Alla fine del Cinquecento il piccolo convento ristrutturato dai Francescani con l’aiuto di una nobile famiglia di Pilzone, i Fenaroli, ospitava 14 frati. Nel 1685 padre Fulgenzio Rinaldi scriveva “Questo sito è saluberrimo… delizioso, il convento comodo e grande e ben disposto che di vaghezza può gareggiare con non pochi di questa provincia... Contiene orti e giardini bastevoli al godimento di ogni verdura e al ricreamento di fiori... diverse piante da frutto; dei limoni ed aranci è proprio il sito”. La chiesa con tre altari, ospitava le, tombe della famiglia Fenaroli. Il convento, costituito da 40 locali intorno a un chiostro, si collegava al porticciolo che il geografo veneziano fra’ Vincenzo Coronelli nel 1675 descrive coperto da un tetto e chiuso da una grossa catena. Nel 1783 Venezia nell’ambito delle soppressioni degli enti religiosi, decretò la chiusura del convento e i frati vennero trasferiti a Iseo. I beni immobili diventarono proprietà dello Stato e furono posti in vendita. Nella Guida generale dei laghi subalpini del 1890 il complesso è descritto come un albergo. Successivi passaggi di proprietà comportarono la demolizione delle strutture conventuali, documentate ormai solo da alcune cartoline di fine Ottocento, per avviare la costruzione di una villa e di un nuovo porticciolo. Nel 1916 l’isola fu acquistata dalla famiglia Beretta, che tuttora la possiede. L’architetto Egidio Dabbeni di Brescia intervenne sulla costruzione dando alla villa un’impronta di gusto rinascimentale. Alcuni reperti - macine, frammenti di tegole, forse di origine romana e molte monete databili tra il 1100 e il 1781 documentano la continuità dell’insediamento sull’Isola di Loreto. In parallelo con l’insediamento francescano a San Paolo, le Clarisse si sarebbero insediate nel monastero fondato nel Duecento da Bertrada Oldofredi. Nella visita apostolica del 1578 si descrive sull’isola una piccola chiesa priva di arredi, mal tenuta da un eremita, fra’ Agricano, che non aveva fatto buona impressione se nel 1575 Carlo Borromeo ordinò la chiusura del complesso. L’abbandono dell’isola ne determinò la rapida decadenza. Vincenzo Coronelli nel 1696 la descrisse come proprietà degli eredi del conte Alessandro Martinengo e annotò: “Non vi sono che alcune stanze, chiesa e romitorio diroccati”. L’isoletta rimase per tutto l’Ottocento un luogo abbandonato su cui sostavano solo i pescatori. Le vicende del complesso restano affidate per lo più al romanzo storico di Costanzo Ferrari, Tiburga Oldofredi, pubblicato nel 1850 che ben documenta il romantico fascino delle rovine. Molti furono i cambi di proprietà fino a quando la duchessa veneziana Felicita Bevilacqua lasciò l’isola all’Opera Pia Asilo Bevilacqua di Verona che la vendette nell’ottobre 1900 al capitano della marina Vincenzo Richieri di Sale Marasino. L’acquirente fece costruire dall’architetto Luigi Tombola su resti esistenti l’odierna villa, cercando di ricrearne un piccolo castello, reso ancora più misterioso dalla folta vegetazione di pini, larici, e piante esotiche.   Da un testo di Rosarita Colosio
Isole di San Paolo e Loreto

Museo Civico di Scienze Naturali “Alessio Amighetti”

Il Museo di Scienze Naturali di Lovere offre un’eccellente occasione per conoscere la grande ricchezza naturalistica del territorio camuno-sebino. Istituito dall’amministrazione comunale di Lovere nel 1996, è stato riconosciuto dalla Regione Lombardia nel 2004 come Collezione Museale ed è gestito dagli “Amici del Museo Civico di Scienze Naturali di Lovere”, un’associazione di volontariato culturale. È intitolato ad Alessio Amighetti, il sacerdote naturalista che nell’Ottocento con la Gemma subalpina fece conoscere le bellezze naturalistiche del lago d’Iseo. Raccoglie, conserva ed espone al pubblico reperti naturalistici con lo scopo di far conoscere il patrimonio naturalistico e storico del territorio e favorire lo sviluppo di una mentalità rispettosa delle risorse ambientali.   L’esposizione è articolata in diverse sezioni. La collezione degli uccelli presenta oggi 221 esemplari. La parte più consistente è composta di volatili presenti in habitat diversi del territorio dell’Alto Sebino. A questi si è aggiunta anche l’Aquila reale. Di notevole interesse sono gli uccelli acquatici, presenti con le famiglie degli Anatidi e degli Ardeidi abitatori delle zone umide a nord del lago; i rapaci diurni della famiglia degli Accipitridi e dei Falconidi e i notturni della famiglia degli Strigidi; una coppia di Gallo cedrone rappresenta la famiglia dei Tetraonidi. I mammiferi sono pochi e rappresentati da animali molto diversi per collocazione sistematica come, ad esempio, il cinghiale e il camoscio assieme a roditori e carnivori di piccola taglia. La sezione di Entomologia presenta alcuni diorami tematici, raccolte di diversi Ordini degli Insetti e due collezioni di Lepidotteri (per lo più dell’area Sebino-Camuna come il Parco della Foce dell’Oglio e del monte Cala). Per ragioni di conservazione la maggior parte delle cassette sono osservabili su richiesta. La cospicua collezione malacologica è composta da conchiglie di molluschi mediterranei classificati e rinominati seguendo la nomenclatura più aggiornata. Essa comprende conchiglie rappresentative di circa 400 specie di gasteropodi, 83 di bivalvi, 1 di scafopodi e 1 di cefalopodi. Ad essa si aggiungono alcuni esemplari di conchiglie oceaniche. L’Erbario Generale (consultabile su richiesta) si compone di 2345 campioni essiccati. I campioni più vecchi (1979) provengono dall’Alta Val Salarno (Valle Camonica). La maggior parte degli altri provengono dall’area sebina; a questi si aggiungono diversi campioni provenienti dal territorio camuno (Pizzo Camino e dalla Val Baione), dal monte Tremalzo sul lago di Garda e della zona del Passo Salmurano, sulle Orobie. La sezione dedicata alla mineralogia ospita una raccolta di circa 400 minerali appartenenti a otto famiglie mineralogiche provenienti dal territorio sebino, dalle Orobie e da località diverse del mondo. A questa si aggiungono una importante e cospicua collezione di “microcristalli” (circa 5000 campioni) osservabili in Museo con un microscopio stereo e una collezione di minerali pervenuta recentemente come donazione, da sistemare. Per ragioni di spazio la Sezione di Geologia non può avvalersi di una sala ad essa dedicata, tuttavia la rappresenta una nutrita collezione litologica e una vetrina contenente alcuni reperti paleontologici (bivalvi, ammoniti e pesci fossili). A questo si aggiunge il materiale, debitamente risistemato, proveniente dalla collezione Curioni affidata al Museo dal Comune che l’ha ricevuta in deposito dall’Accademia Tadini. Oltre alla sede espositiva in via Marconi, presso il Municipio, il Museo mette a disposizione una biblioteca e servizi informatici in piazza Vittorio Emanuele, nel centro di Lovere. Gli esperti del museo sono impegnati nella ricerca, nella classificazione di reperti, nella divulgazione scientifica; mantengono contatti con università ed enti di ricerca; forniscono consulenze alle amministrazioni locali, ma soprattutto promuovono attività divulgativa nelle scuole.   Aldo Avogadri  
Museo Civico di Scienze Naturali Alessio Amighetti

Il Castello Oldofredi a Iseo

Il castello Oldofredi, uno dei più antichi e meglio conservati del Bresciano, si trova su un’emergenza rocciosa nella zona meridionale del centro storico. Vi si accede da due ingressi a nord e a est, dove negli anni Ottanta del ‘900 fu addossata una massiccia scalinata. Sorge su un’area insediata fin da età romana e la prima notizia di un castello in Iseo è contenuta nel Polittico di Santa Giulia, elenco delle proprietà del monastero bresciano (fine IX-inizi X secolo). Il nome Oldofredi deriva dalla nobile famiglia iseana, ma non vi sono documenti che ne attestino la proprietà o l’uso. Il corpo di fabbrica più antico è il mastio (fine XI-inizi XII secolo) nell’ala meridionale e non più visibile dall’esterno. È a pianta quadrata di circa 10 m di lato e mozzato a circa 12 m dalla base, con spessi muri di pietra. Probabilmente faceva parte del castrum incendiato da Federico Barbarossa nel 1161 e, in tal caso, sarebbe stato risparmiato dalle devastazioni, in quanto ancora descritto nelle fonti seicentesche. Sul sito del castrum fu eretto fra XIII e XIV secolo un nuovo castello a pianta rettangolare costituito da cortine rettilinee difese agli angoli da torri quadrangolari scudate, cioè con un lato aperto verso l’interno, a base scarpata. Era circondato da un profondo fossato scavato nella roccia e oggi in parte colmato. Vi si accedeva a nord e a sud tramite due porte con arco a sesto acuto e, nelle chiavi di volta, vi era lo stemma della potente famiglia veronese dei Della Scala, che strinse con gli Oldofredi rapporti politici all’inizio del Trecento. Entrambe le porte erano precedute da larghi avancorpi sporgenti che permettevano il passaggio carraio e pedonale; erano chiuse da battenti lignei e da una saracinesca e dotate di ponti levatoi. Il primo era protetto da una torre, oggi completamente perduta, che ne sovrastava l’avancorpo, e il secondo dal mastio, al quale si addossava lateralmente. La rocca aveva il duplice obiettivo di caposaldo strategico nella difesa del territorio e di apparato di controllo militare del paese. Benché la sua datazione coincida con il breve dominio dei Della Scala nel Bresciano e vi sia il loro stemma, non è possibile stabilire se la costruzione sia inquadrabile fra i loro interventi fortificatori, poiché non è ancora stato determinato se le porte siano coeve al resto della struttura o se siano frutto di una ristrutturazione in epoca scaligera di un complesso precedente. Sotto il dominio veneziano il castello perse la sua importanza militare e divenne proprietà dei Celeri fino al 1585, quando venne donato ai frati cappuccini. Subì quindi diverse modifiche: il rivellino triangolare irregolare, costruito oltre il fossato meridionale nel XV secolo a difesa dell’accesso esterno al castello, divenne l’orto dei frati; le torri furono mozzate; fu costruita la chiesa di San Marco, consacrata nel 1629, a navata unica coperta a botte con unghie laterali e con facciata decorata a finte architetture. Fra XVII e XVIII secolo furono aggiunti il corpo a due piani all’esterno del muro nord e gli edifici lungo i tre lati del cortile. Il corpo a sud ha portico e loggiato costituiti da archi sorretti da pilastri in muratura a sezione rettangolare. A piano terra un affresco seicentesco raffigura uno scambio di doni fra un frate e alcuni personaggi in vesti orientali; a livello del loggiato vi sono i resti di una Crocifissione. Affreschi settecenteschi si trovano lungo la scala d’accesso ai piani superiori (Madonna della Misericordia, San Fedele da Sigmaringen), al primo piano (Ecce homo, Sant’Antonio da Padova) e sull’androne di ingresso al cortile (Annunciazione). Con le soppressioni napoleoniche, i frati abbandonarono il convento nel 1797 e il complesso, divenuto proprietà privata, fu trasformato in appartamenti. Fu acquistato dal Comune di Iseo negli anni Sessanta del ‘900 e restaurato. Oggi mantiene in parte la funzione abitativa e ospita la biblioteca comunale, alcune associazioni culturali e, nella ex chiesa di San Marco, la sala civica.   Angelo Valsecchi
Castello Oldofredi Iseo - ph: visitlakeiseo

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