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Il Rogolone

Quercia plurisecolare
Il Rogolone

In Valtellina, nella foresta del Gigiàt

L’autunno in Valtellina è un periodo magico. Questa proposta è tra le passeggiate più semplici del territorio, ma è comunque capace di cogliere pienamente la bellezza dei colori di questa stagione. Si tratta di un sentiero per tutti che parte dal paese di San Martino, entra nella Foresta dei Bagni di Masino fino a raggiungere la vecchia struttura termale.Passeggiando nel silenzio della piccola area boschiva è possibile ammirare alti faggi colorati, enormi massi erratici coperti di muschio verde, betulle dai toni gialli ed immense distese di foglie rosse. La foresta, all’interno della quale ci si immerge, è inserita nel circuito Foreste di Lombardia ed è costituita sia dall’area attorno al Comune Bagni di Masino, sia dalla vicina Val di Mello. Per raggiungere il punto di partenza dell’escursione bisogna imboccare la SP9 e attraversare tutta la Val Masino, fino ad arrivare a San Martino. Giunti in paese è possibile trovare diversi parcheggi a pagamento (7€ al giorno), il più comodo è sicuramente quello posto accanto all’ufficio turistico.Una volta parcheggiata l’auto ci si reca presso l’info point e lo si supera, raggiungendo i parcheggi sterrati posti alle sue spalle. Risalendo l’area del parcheggio si individua facilmente un cartello con indicazione “Bagni di Masino”. Si imbocca quindi l’unico sentiero presente (CAI 455) immergendosi immediatamente nel bosco e passeggiando su uno stupendo tappeto colorato di foglie e muschio. I colori autunnali sono già ben visibili, ma quello che più stupisce sono gli enormi massi granitici interamente ricoperti di muschio verde e disposti in modo sparso tra i grandi faggi e gli abeti. In certe parti del tracciato queste rocce si piegano su se stesse, andando a creare delle suggestive grotte e piccole gallerie che spesso vengono attraversate dal sentiero. Dopo 30 minuti di cammino, in prossimità del camping, si giunge al primo parcheggio della valle. In quest’area il bosco si allarga un po’, aprendo la vista sulle catene montuose che circondano la vallata. I monti non sono particolarmente alti, ma tutte le loro pareti sono letteralmente ricoperte di piccole macchie di colore: gli alberi riescono a crescere sui pendii e in questo periodo le loro chiome dorate danno vita ad uno spettacolo veramente unico. La leggera nebbia che ho trovato durante la mia escursione non ha fatto altro che rendere il tutto ancora più suggestivo. Il sentiero prosegue ora in piano su un’ampia strada sterrata per poi immettersi in un’area piena di ghiaia e rocce. La traccia è però sempre ben visibile e di facilissima percorrenza. Si prosegue in leggera pendenza, tornando ad addentrarsi nel bosco, fino al raggiungimento della strada asfaltata. L’itinerario, quasi per intero, va percorso su un normale sentiero di montagna, ma ci sono un paio di tratti dove è necessario fare pochi metri anche sull’asfalto. Visto che il punto di arrivo è direttamente raggiungibile anche dalla strada, è possibile decidere di uscire dal tracciato per passeggiare lungo la carreggiata. Superato uno stretto tornante della strada, prima di imboccare nuovamente il sentiero che taglia sulla destra in un prato, si può deviare a destra per raggiungere uno dei punti più spettacolari dell’intera passeggiata. In questa zona il bosco si fa praticamente pianeggiante e i piccoli torrenti che scorrono fra le rocce generano delle pozze d’acqua limpida poco profonde. Alzando lo sguardo si possono ammirare una miriade di enormi massi quasi interamente coperti da un mantello di muschio bagnato e, poco oltre, piccoli arbusti, faggi ed enormi abeti vanno a coprire il cielo con le loro fronde creando una magnifica esplosione di verdi accesi, arancioni e rossi intensi. Il consiglio è quindi quello di uscire brevemente dalla traccia proposta e vagare in questo boschetto dai toni fiabeschi per andare a cercare nuovi scorci e colori diversi. Dopo una lunga pausa si può riprendere il cammino, il sentiero in questo tratto inizia a tagliare i tornanti disegnati della strada, permettendo di arrivare molto più rapidamente a quota 1.150 m. Ad ogni nuovo passo sembra che i colori vogliano accendersi sempre di più, ma è quando si giunge nuovamente sulla strada asfaltata che si mostra lo spettacolo più bello della Foresta di Bagni di Masino. Qui l’asfalto viene letteralmente inghiottito da un bosco rosso fuoco, le foglie cadute ricoprono completamente il lato della strada e gli immensi alberi si chiudono su se stessi andando a creare un’enorme galleria naturale. Sembra di essere entrati in un dipinto troppo bello per essere vero e non si può che ammirare a bocca aperta quello che la natura ci sta regalando. Seppur percorrere la carreggiata a piedi sia veramente invitante (lo si farà al ritorno), il sentiero prevede ora di deviare sulla sinistra e inerpicarsi lungo il ripido bosco. Questa è probabilmente la parte più complessa dell’intera escursione, ma richiede solamente pochi minuti di fatica, in quanto il sentiero quasi subito smette di salire per tornare in piano. Il bosco è particolarmente fitto e le fronde degli alberi vi terranno facilmente al riparo dal sole o da una leggera pioggia. Quello che più stupisce però è che un infinito tappeto di foglie rosse copra completamente l’intera area, andando a nascondere quasi interamente il terreno. Questo tipo di situazione ovviamente non può perdurare per molti giorni e bisogna avere la fortuna di esserci verso la fine dell’autunno, prima delle prime nevicate. Camminando in piano si rimane in questo scenario da fiaba per diversi minuti, fino a raggiungere la fine del bosco. Qui inizia un breve sentiero turistico, detto “sentiero sensoriale”, molto largo, che si estende accanto al vecchio complesso delle terme. Il percorso è diviso in nove tappe con apposite bacheche, che riportano informazioni sulla flora e la fauna locale. Uscendo dal bosco si imbocca l’ampio sentiero che svolta subito a sinistra e si porta vicino al torrente. Il tratto è molto ben tenuto: sono presenti diverse panchine dove poter sostare, un corrimano in legno separa il tracciato dal torrente e il fondo è privo di buche o radici. Dopo pochi passi si può già scorgere una bacheca che riporta alcune informazioni utili sul capriolo, il camoscio alpino, l’orso bruno, la volpe, la martora e il Gigiàt. I primi 5 sono animali che popolano queste montagne e che è possibile vedere se si è abbastanza fortunati, l’ultimo della lista invece è una creatura mitologica considerata il simbolo della valle. Da quanto si dice si tratterebbe di un animale enorme e spaventoso, un incrocio fra un caprone e un camoscio, tuttavia le testimonianze non sono molto chiare. Si può vedere una sua rappresentazione sulla parete di un’abitazione all’inizio di via Ezio Vanoni a San Martino. Il dipinto è accompagnato dalla seguente frase: “El Gigiat, nume tutelare de esta splendida valle. Buono con lo homo che natura rispetta, mala sorte a chi lo trovasse non rispettoso. Onori et gloria a chi el vedesse e notizia ne desse.” Proseguendo si giunge in un’ampia radura delimitata sulla destra dal torrente Masino e riempita dagli immancabili massi erratici. Ci sono diversi tavolini con delle zone per cucinare, si tratta quindi del luogo perfetto dove fermarsi per mangiare qualcosa. Al limite del prato si trova l’ufficio turistico e una curiosa costruzione costituita da 4 monoliti, formati dai 4 principali minerali della valle. Quando ci sono stato una leggera pioggerella e il vento freddo non hanno reso la pausa troppo rilassante, in estate però questo luogo è assolutamente perfetto per stare un po’ al fresco e respirare aria di montagna. Prima di tornare indietro è possibile fare una rapida visita alla piccola cascata che genera il torrente. Per raggiungerla basterà superare l’area picnic svoltando sulla destra. Qui un cartello indicherà la presenza della cascata a soli 5 minuti di cammino. Si prosegue quindi in un ampio prato circondato da betulle dalle foglie giallo oro e, dopo una brevissima salita, si inizia a sentire sulla destra il fragore dell’acqua. La cascata non è enorme, ma il contesto all’interno della quale è inserita è veramente splendido: alberi colorati e roccia scura si fondono creando un bellissimo gioco di contrasti, ulteriormente impreziosito dai riflessi azzurri dell’acqua che si accumula in piccole pozze. La cascata è il limite superiore dell’escursione ed ora non resta che tornare al parcheggio. Durante il ritorno è però possibile fare un paio di deviazioni per vedere altri due punti veramente interessanti. Tornando dalla cascata si svolta a sinistra con l’obiettivo di aggirare dal lato opposto l’edificio delle terme. Dopo pochi passi ci si trova davanti ad un antico ponticello di roccia invaso dall’onnipresente muschio, che si arrampica anche qui. Superato il ponte si inizia a costeggiare la struttura delle ex terme fino al raggiungimento di una piccola grotta dove da una fontanella, fuoriesce acqua sorgiva a 38 °C. La leggenda narra che questa fonte fu scoperta da un pastore che, deciso ad indagare il motivo per cui una sua mucca facesse molto più latte delle altre, la seguì in questa zona fino a scoprire che l’animale si abbeverava a questa fonte. Se la storia fosse vera si tratterebbe comunque di un fatto molto antico, le acque termali della valle infatti erano note fin dal 1400 e nel corso dei secoli hanno richiamato nobili da diverse città italiane e svizzere. Lo stabilimento termale dei Bagni di Masino che si vede oggi è rimasto in attività per diversi anni. Dal 2015 la struttura è stata chiusa per via dei rischi geologici dell’area. Dopo essersi scaldati alla fonte si può proseguire fino al raggiungimento di una bacheca con scritto “Val Masino”. Il tratto che segue permette di ricongiungersi con il sentiero percorso all’andata, il consiglio però è quello di svoltare a destra per entrare nel giardino delle terme fino a raggiungere il piccolo parcheggio posto alla fine della strada asfaltata. Questa deviazione dal sentiero sterrato serve a tornare allo splendido bosco rosso ammirato in precedenza. Camminando sulla carreggiata ci si ricongiunge molto più rapidamente al sentiero percorso all’andata e si ha anche modo di visitare per intero questa parte del bosco, che probabilmente è anche la più caratteristica. Prendetevi quindi il tempo di ammirare gli immensi alberi, il bel sottobosco, il tappeto rosso di foglie e le rocce bagnate dalla pioggia e invase dal muschio. Seppur non ci sia un sentiero preciso è comunque possibile uscire dalla strada ed entrare nelle aree più pianeggianti di questo fantastico quadro carico di colore. Dopo una lunga pausa per scattare fotografie si ritorna all’inizio dell’area boschiva e, svoltando a sinistra, si imbocca nuovamente il sentiero dell’andata. In 1 ora circa si giunge nuovamente al parcheggio. - Ph: Stefano Poma
In Valtellina, nella foresta del Gigiàt

Teatro Sociale di Stradella

«Un teatro sorto come per incanto e d’un’eleganza che mai ebbe l’eguale» Così le cronache dell’epoca salutarono, nel settembre 1846, l’inaugurazione del Teatro Sociale di Stradella, con le note dell’Ernani diretta da Angelo Mariani, noto maestro concertatore e direttore d’orchestra che tanta parte avrà nel melodramma italiano del ‘grande Ottocento’. Il Teatro venne costruito grazie all’iniziativa di alcuni maggiorenti della città, che avevano costituito, due anni prima, la «Società per l’erezione del teatro». Ne facevano parte: l’avvocato Baldassarre Locatelli, l’avvocato Agostino Depretis, il conte Arnaboldi Gazzaniga, l’ingegner Giuseppe Sabbia, l’ingegner Callisto Longhi, l’ingegner Antonio Visini, l’ingegner Battista Coelli ed “altri nativi del Borgo”. Essi acquistarono, a nome e per conto della «Società degli azionisti», «un sedime della superficie di una pertica circa denominato l’ospizio». Su quest’area progettarono la costruzione del nuovo edificio. La società era composta da 44 azionisti le cui «azioni furono determinate di diverso valore a seconda dei palchetti […] che variava per la diversità dell’ordine, della posizione e anche dell’ampiezza». Il valore complessivo delle azioni inizialmente fu di lire 58.400 e si dichiarava che gli azionisti dovessero «considerarsi proprietari speciali ed esclusivi di ciascun palchetto e comproprietari del comune ed indiviso restante edificio». Costruito su progetto dell’architetto Giovanbattista Chiappa, autore di importanti opere, sia private sia pubbliche, a Pavia, Lodi e Milano, l’edificio ricalca la tipologia del teatro neoclassico in voga nel secolo. Il modello è dichiaratamente il Teatro alla Scala, costruito nel 1778 dal Piermarini.La sede del teatro occupa la parte centrale di un sobrio edificio neoclassico di grandi dimensioni con facciata intonacata e marcapiani. La facciata, concepita per essere vista dalla piazza, è tripartita, con la parte centrale lievemente rientrante e arricchita da un balconcino a balaustrini. Notevole è il portale d’ingresso con sovrastante bassorilievo in pietra con maschere e strumenti musicali a fianco di una lira centrale. Il teatro è organizzato con atrio d’ingresso (da cui dipartono le due scale a rampe curve che portano ai corridoi d’accesso ai palchi), platea a forma di ferro di cavallo e palcoscenico al piano terreno, tre ordini di palchi con balconate di legno e il loggione. Originariamente la platea era chiusa in alto da una cupola decorata, demolita nel 1910, per costruire, su progetto dell’architetto milanese Cesare Brotti, il terzo ordine di palchi e il loggione. Il soffitto è impreziosito da un grande rosone di stile neoclassico. Il ridotto si trova all’altezza della seconda fila di palchi. Questi ultimi sono 44, tanti quanti erano all’origine i soci della “Società del teatro”; i posti attualmente recuperati sono circa 300. Merita sicuramente un cenno il pregevole sipario storico, con scene da I promessi sposi realizzato nel 1846 dal pittore milanese Felice De Maurizio, scenografo, calcografo e incisore, autore della Pala d’altare della Chiesa del Crocefisso di Milano e Conservatore della Pinacoteca di Brera dal 1867 al 1882. Il sipario, realizzato nel 1844, misura otto metri di larghezza e sei in altezza. La scena, che raffigura il matrimonio di Renzo e Lucia, si svolge sullo sfondo del lago di Como e rappresenta i due sposi che, in abiti seicenteschi dai colori vivaci, avanzano al centro del dipinto, preceduti da un gruppo di ‘bravi’ che con lunghi fucili sparano in aria. Gli sposi sono attesi da Agnese, madre di Lucia, e da Fra Cristoforo sulla soglia della chiesa. Da alcuni documenti d’archivio si apprende che la stagione principale, inaugurata nel 1846, era quella d’autunno e nel periodo della vendemmia, quando il concorso dei forestieri era molto alto, si allestivano anche balli e spettacoli di marionette. La peculiarità dell’istituzione era infatti quella di aprirsi a espressioni artistiche variegate ed eterogenee, non solo all’opera lirica, talora con scopi ben precisi e nobili, proposte da circoli locali. Nel 1857, ad esempio, la Drammatica Compagnia Toscana decise di destinare l’incasso di due rappresentazioni – Lo gran Cornelio e La guerra delle mogli contro i mariti fumatori – a beneficio degli abitanti di Portalbera rimasti toccati da una grande alluvione del Po; il Circolo di Ricreazione e l’Unione delle Arti e del Commercio idearono invece a più riprese nel corso delle varie stagioni l’organizzazione di imponenti balli per raccogliere fondi da destinare, gli uni, in beneficenza e, gli altri, alla cassa pensioni della società stessa. In tale contesto la costante attività teatrale aveva favorito lo sviluppo del «Caffè del Teatro» e di altre iniziative come quella del Gabinetto di Lettura che fu il primo passo per la costituzione di una biblioteca. Nel settembre 1899 venne inaugurata una nuova fila di posti a sedere numerata e prenotabile con un supplemento di 10 centesimi al costo del biglietto di ingresso. In tal modo il teatro poté accogliere anche spettacoli sportivi tra cui il saggio dell’Accademia di scherma che fece emergere, tra i suoi tiratori più illustri, il maestro stradellino Luigi Colombetti.Proprio nel 1910, quando si aggiunse il quarto ordine o loggione, il teatro fu luogo della raccolta di fondi da destinare ai senza tetto del terremoto di Sicilia. I gestori organizzarono conferenze, ospitarono la presentazione di brani letterari e favorirono le rappresentazioni drammatiche tra cui quella ideata dalla Compagnia dialettale condotta da Francesco Grassi, padre di Paolo Grassi fondatore del Piccolo Teatro.   L’intensa vita artistica che ruotava attorno all’istituzione incentivò anche la costituzione di compagnie locali: nel novembre 1918 nacque la Compagnia Filodrammatica Città di Stradella sotto la direzione artistica di Ritù Rizzi, compagnia che fu stabile per circa vent’anni, mentre nel 1939 fu fondata, sempre dalla stessa artista, la Compagnia Operettistica Città di Stradella, che debuttò con l’operetta Primarosa di Giuseppe Pietri, mietendo successivamente consensi con gli allestimenti dei più famosi titoli: La vedova Allegra, Il paese dei campanelli, Cincillà, Scugnizza, Il conte di Lussemburgo. Tra il 1930 e il 1934 l’attività teatrale fu sostituita da un programma di proiezioni cinematografiche mentre negli anni successivi ogni forma di spettacolo cessò definitivamente a causa degli eventi bellici. Solo nel secondo dopoguerra l’attività riprese con feste da ballo per il carnevale che si affiancarono alle proiezioni cinematografiche.Nel 1949 il teatro fu dichiarato monumento nazionale in quanto considerato «un esempio caratteristico di architettura interna teatrale della prima metà del secolo XIX».‘Bene culturale’ di prestigio, dunque, e, insieme, spazio deputato alla promozione delle attività dello spettacolo, il nostro teatro ha l’ambizione di proporsi come un tassello fondamentale di un progetto di valorizzazione complessiva del patrimonio storico-culturale di un territorio. Non solo, quindi, teatro come spazio di consumo, più o meno tradizionale, ma come luogo dinamico, aperto alle diversità delle arti e alle culture del mondo. Un vero e proprio «cantiere della mente». La costruzione del Teatro Sociale è coincisa con il passaggio di Stradella da borgo a città. Il Teatro è diventato in varia misura, a metà Ottocento, il simbolo del dinamismo economico e della vivacità culturale, di una città che entrava prepotentemente nei tempi nuovi della raggiunta unità nazionale. Una città – scriveva il 20 gennaio 1871, il “Cittadino Vogherese” – che “secondando il proprio genio, ha compiuto da pochi anni opere di considerazione che la fecero salire in molta reputazione di avanzamento”. Ebbene, allo stesso modo, il teatro potrà testimoniare, oggi, di una città (e di un territorio) che, volendo salire ancora “in molta reputazione di avanzamento”, possono – e devono – mantenersi fedeli custodi del proprio passato e del proprio patrimonio storico-artistico ed essere, al tempo stesso, città e territorio vivi, attivi e proiettati nel futuro, sapendo leggere e ripensare con intelligenza la loro storia. A cura di Pierangelo Lombardi  Fonte: www.teatrosocialestradella.it
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