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Dal Castello al Santuario

L’antico paese di Urgnano possiede invidiabili opere storiche e artistiche nascoste tra le numerose attività industriali e artigianali, questo perché visse da protagonista importanti momenti della nostra storia. Nasconde tra le sue vie, tracce di un passato che ci appartiene, evidenza di quell'eterno costruire che è proprio dell'uomo. Le sue porte non sono mai state chiuse dinanzi al cambiamento e le sue mura hanno sempre custodito l'essenza della sua cultura, in un processo di progettazione costante, posto al servizio di una comunità che si riconosceva e si riconosce nei valori fondamentali della laboriosità, dell'ospitalità della collaborazione. Gli abitanti di Urgnano si sono da subito distinti per la loro capacità nei commerci, nonché per l’abilità dell’agricoltura. Hanno osservato, adattato, inventato, adeguandosi ai tempi. Grati alla solidarietà e al rispetto, menti e braccia hanno scritto con pietra, legno, marmo e mattoni le vicende straordinarie e i fatti quotidiani, impedendo che il tempo li cancellasse, perché evidenza della propria identità. Passeggiare tra le sue vie oggi significa rileggere la storia di quest'angolo d'Italia, con quanto di unico e irripetibile solo qui sia stato. Significa rileggere l'arte, aggiungendo contributi e sintesi inedite. Significa realizzare come il legame tra uomo e natura sia davvero eterno, e vedere come questa collaborazione sia il giusto telaio, per tessere veli sottili, delicati, preziosi, ricchi. Semplicemente è un forziere da aprire. Con la sensibilità di ammirare sia capolavori indiscussi che rarità introvabili. Le origini di Urgnano risalgono all’epoca romana: alcuni ritrovamenti, tra cui due lapidi funerarie, lo attestano e rendono evidente il ruolo di rilievo avuto nei commerci e nell’anno dei “Quattro imperatori”. A tale periodo risalgono anche due importanti vie di comunicazione: la Francesca e la Cremasca, assi fondamentali dei commerci anche in età medievale. Dopo la caduta del Sacro Romano impero d’Occidente l’area fu sicuramente abitata dai longobardi, tra il Vi e l’VIII secolo; alcune sepolture testimoniano il fatto L’arrivo dei Franchi in Italia (inclusi i nostri territori) risale all’ultimo quarto dell’VIII secolo. Alla loro guida Carlo Magno, erede convinto di una politica che vedeva nell’alleanza tra trono e altare il punto di forza principale, base fondamentale della stabilità sociale. Il re dei franchi fu, in conseguenza a questa politica, incoronato, la notte di Batale dell’800, simbolicamente durante la messa, imperatore. Imperatore non di un semplice impero, bensì di un sacro romano impero, per certi versi anticipatore di quel regno Cristiano sociale per il quale agirono con forza più pontefici, in età moderna e in età contemporanea. L’opera dei franchi in Italia fu di emblematica importanza, non solo per quanto attiene il ruolo della Chiesa nella società, ma anche e soprattutto per ciò che riguarda l’organizzazione economica e Urgnano ne custodisce importanti esempi: non più percorsa nella sua interezza, ma ancora visibile l’importante vis di comunicazione rappresentata dalla Francesca ad esempio. Fu per effetto, diretto e indiretto, del perfezionamento del sistema feudale e per le conseguenze del rinvigorimento economico di Bergamo che si consolidò a Urgnano un insediamento dedito all’agricoltura, impostato secondo la logica del doppio raccolto è orientato a una forma di alternanza di colture e produzioni diverse. Alcuni edifici, tratti di mura, resti di porte, antichi portici rappresentano testimonianze diverse di quest’epoca e di quelle immediatamente successive. A partire da questo periodo si consolidarono tradizioni che, accanto ai documenti scritti (tra cui l’attestazione dell’esistenza dell’insediamento rurale di Urgnano, risalente al 985) , sono pagine di un racconto a colori, con immagini inedite che vengono direttamente dal tempo in cui un bosco diventava campo, le prime case in legno sorgevano non lontano dalle chiese, in pietra e mattone, un dialetto nasceva, delitti si compivano, alleanze si consolidavano, corporazioni e congregazioni dedite all’aiuto dei più deboli si costituivano e radicavano. Un continuo disegno del territorio per costruire un luogo dove abitare, mai finito, mai perduto. Un disegno, un progetto che ha per protagonista la comunità: la sua sopravvivenza. Fu costruito un castello, giacché Urgnano sorgeva in un luogo di contese, tanti da trovarsi, poi, in prossimità di un importante, contestato confine. Quando i Visconti divennero anche signori di Bergamo, Urgnano fece parte della loro giurisdizione e il castello fu interessato da importanti opere, che lo resero una fortezza imponente. Quando, poi, all’inizio del XV secolo, Bergamo si concesse alla Repubblica di Venezia, il fortilizio fu interessato da nuovi lavori, di restauro e di ammodernamento. Nei suoi muri è nelle sue sale l’impronta di personaggi d fondamentali, quali Bartolomeo Colleoni e Gian Gerolamo Albani, per non citarne che alcuni. Le mura, gli angoli, i dipinti, gli spazi verdi di Urgnano solo la manifestazione dell’opera di molte menti nel tempo, versi in prosa che presentano l’intensità del vissuto di gente umile e guide importanti, nel Medioevo, nel Rinascimento. Sonetti che hanno per titolo “l’uomo el’ancien regime”, versi liberi del XVIII, XIX e XX secolo."
Dal Castello al Santuario

Dal Passo Crocedomini al Rifugio Tita Secchi

Siamo nel cuore del Parco dell’Adamello in provincia di Brescia, dove la natura è incontaminata e i paesaggi sono di una bellezza unica.   Questo itinerario è abbastanza semplice, il sentiero è ben tenuto e il dislivello, di poco più di 600 m, viene distribuito lungo un tratto molto esteso, non creando mai dei punti eccessivamente ripidi. Si parte raggiungendo il passo di Crocedomini, dove si può lasciare l’auto nell’ampio parcheggio gratuito accanto a malga Cadino. Il periodo consigliato per l’escursione è quello estivo e autunnale, perché il passo viene chiuso per molti mesi durante l’anno a causa della neve che scende copiosa in inverno e resta fino alla primavera. Per questa ragione è bene verificarne l’apertura, è possibile contattare il Rifugio Passo Crocedomini per avere informazioni a riguardo. La strada per raggiungere il passo è asfaltata, in certi tratti si restringe un po’ ma sono presenti molte piazzole utili per permettere lo scorrimento di due veicoli nella direzione opposta. Un volta parcheggiata l’auto si imbocca la comoda strada sterrata indicata con il segnavia numero 19, la vista spazia subito sugli ampi prati verdi di val Cadino e sul monte Colombina. Il primo luogo che cattura l’attenzione è il Corna Bianca, una formazione di origine calcarea dall’iconico colore bianco acceso, che crea un bellissimo stacco cromatico sui prati verdi e disseminati di fiori colorati di questa zona.Dopo avere fatto qualche scatto fotografico, girando attorno a questa splendida formazione naturale, si prosegue tenendo Corna Bianca sulla destra e camminando per qualche decina di metri su un tratto di sentiero ricoperto da una finissima sabbia bianca, generata proprio dall’erosione del materiale calcareo.La traccia continua su un sentiero lastricato con pendenza abbastanza regolare fino al raggiungimento del piccolo laghetto Nero di Cadino. Qui si può individuare facilmente una deviazione: sulla destra il sentiero con segnavia 19 si stacca e con 5 tornanti molto ripidi permette di superare rapidamente quota 2.200 m e giungere in prossimità delle Creste di Laione, a sinistra invece prosegue salendo in maniera molto più dolce.Si consiglia di proseguire sulla strada di sinistra guadagnando costantemente quota fino al congiungimento con il sentiero 1 (Alta via dell’Adamello). Questa variante consente di avere una vista più centrale sulla splendida valle di Cadino e sul tracciato appena percorso, i 2.300 m di quota ormai raggiunti invece permettono di vedere in lontananza i bellissimi profili delle prealpi bresciane.Il raggiungimento del sentiero 1 segna anche la fine della parte più ripida dell’itinerario, da qui il tratto si fa nuovamente pianeggiante fino al raggiungimento del passo della Vacca. Sarà evidente l’arrivo al passo per via di un curioso masso che effettivamente richiama le forme di una grossa mucca.Il paesaggio è ora estremamente roccioso, davanti si staglia la maestosa parete Ovest del Blumone ed in lontananza, oltre allo scrosciare di un ruscello, si possono sentire i fischi di richiamo delle marmotte. Un ottimo punto di vista viene dato anche dalle rocce appuntite delle Creste di Laione e dal tratto di sentiero che, inerpicandosi su quest’ultime, raggiunge anch’esso la nostra posizione sul passo. Per raggiungere il lago bisogna proseguire lungo l’unico sentiero presente per ancora una decina di minuti e finalmente, dopo l’ultima curva a sinistra, si scorge il torrente Laione, la grande diga in cemento e, in posizione sopraelevata, il Rifugio Tita Secchi. Si supera il torrente con un piccolo ponticello e dopo l’ultima rampa di scale si è arrivati al rifugio.Il lago ha un bacino idrico di 1,56 km², ma non essendoci nessun immissario principale il volume d’acqua dipende solamente dallo scioglimento dei ghiacci e dalle piogge, per questa ragione è possibile vederlo in condizioni molto diverse a seconda dei periodi dell’anno. Ad agosto il livello dell’acqua è solitamente sceso e questo consente di avvicinarsi camminando su rocce altrimenti sommerse in altri periodi. Il verde delle poche chiazze d’erba di quest’area, il grigio delle rocce e il blu intenso dell’acqua creano in questo periodo dell’anno una magnifica combinazione di colori, impossibile da non immortalare in qualche fotografia. Ad impreziosire ulteriormente questo paesaggio ci pensano gli alti picchi di Cima Terre Fredde e del Blumone. Non esiste un vero sentiero che costeggia l’intero bacino, la traccia del n. 1 infatti fiancheggia solamente la sponda orientale per poi deviare sulla destra. Nell’area vicino al rifugio è comunque possibile raggiungere facilmente la costa e fermarsi per riposare un po’ su qualche masso piatto. Per fare un pic-nic si può quindi scegliere una delle numerose rocce con vista lago, oppure si può decidere di fermarsi al Rifugio Tita Secchi per godersi un ottimo pranzo, scegliendo tra la vasta selezione di piatti tipici del loro menù. Il rifugio è aperto sia a pranzo che a cena ma è sempre possibile entrare per un caffè o un te accompagnati da una fetta di crostata fatta in casa.La discesa avviene lungo lo stesso tragitto dell’andata. Il sentiero anche in discesa non presenta nessuna difficoltà particolare e in circa 2 ore si è nuovamente a malga Cadino.
Dal Passo Crocedomini al Rifugio Tita Secchi

Percorrendo le rive dell’Adda fino a Lodi

Il percorso qui proposto è adatto a tutti, percorre le rive dell’Adda da Zelo Buon Persico fino a Lodi attraversando quello che è il Parco Adda Sud. Questo parco, istituito nel 1983, si estende da Rivolta d’Adda a Castelnuovo Bocca d’Adda comprendendo numerose zone umide di particolare interesse naturalistico. L’obiettivo del parco è quello di coniugare la presenza dell’uomo con la conservazione delle risorse naturali, paesaggistiche e culturali e la ricostituzione graduale di quegli ambienti compromessi e degradati. Si può lasciare la propria automobile al parcheggio della piazza Don Pozzoni di Zelo Buon Persico. Si inizia a pedalare lungo la via Dante, in direzione della Paullese, e, raggiunta quest’ultima, la si segue, lungo una ciclabile a lato, fino ad una coppia di ponti sull’Adda. La ciclabile prosegue lungo il ponte secondario, quello della provinciale rimane alla sinistra, si prosegue dritti, lungo uno stretto ma comodo sentiero e ad un incrocio con un’anonima strada si va a destra e si seguono le indicazioni per il laghetto Canadino. Raggiunta un’abitazione privata si prende un sentiero sulla destra che porta alla ciclabile lungo l’Adda. Si segue la pista sterrata che regala molti scorci dell’Adda e dei campi che lo circondano. Lungo il percorso si incontrano numerose pietre miliari che indicano la direzione per Lodi.Mentre si pedala si possono avvistare molti animali che popolano le rive e vivono nei boschi.Superata un’ansa, all’altezza del bar ristorante pizzeria La Cava, la ciclabile abbandona il fiume per affiancarsi alla SP25. Attraversati diversi campi ci si trova finalmente in vista della Città di Lodi e del ponte Napoleone Bonaparte dove arrivò proprio il famoso condottiero a combattere gli austriaci nel 1796. Lo si supera e, senza un percorso obbligato, si raggiunge il Duomo di Lodi, ovvero la destinazione finale. Il percorso scelto permette di visitare le chiese di San Rocco, subito dopo il ponte, e quella di San Francesco prima di raggiungere la cattedrale. La prima pietra di quest’ultima venne posata nel 1158, anno di fondazione della città. Il duomo e il palazzo comunale, classico broletto del Duecento, dominano la piazza della Vittoria, fulcro della città.Dalla piazza si segue via Francesco Gabba e all’incrocio con via Del Guasto si va a sinistra verso il Parco dell’Isola Carolina che bisogna attraversare per raggiungere viale Milano. Seguendo la ciclabile fino a vedere le indicazioni per un parcheggio del Parco Adda Sud ci si ritrova nei Boschi del Belgiardino, qui il parco ha realizzato un percorso sensoriale per permettere anche alle persone non vedenti di godere delle bellezze naturalistiche dell’area. Di certo vale una piccola sosta per immergersi nel verde e nella natura.Volendo è possibile raggiungere il parco del Belgiardino attraverso una ciclabile diversa che parte dal ponte Napoleone. Riprendendo a pedalare si torna sui propri passi fino a che non si incrocia una sterrata sulla destra, la si prende e la si segue passando prima attraverso campi coltivati e poi affiancando la SP 202. Si raggiuge una rotonda all’altezza di un’area industriale e si prende la seconda uscita, lungo la quale prosegue la ciclabile. Si segue via Roma in direzione di Montanaso Lombardo. Dopo l’unica salita del percorso ci si ferma ad ammirare la chiesa di San Giorgio Martire, l’edificio lascia a bocca aperta per la sua bellezza. Si prosegue nel paese che pare disabitato, si supera il bel comune, con tanto di fontana e, alla fine, ad un incrocio, si prende la via Paullese seguendo le indicazioni per Zelo Buon Persico sulla ciclabile a lato. Quest’ultima porta in un viaggio attraverso diversi paesini, ognuno dei quali con caratteristiche uniche. Il primo che si incontra è Galgagnano, con edifici dal numero esagerato di camini; è poi il turno di Villa Pompeiana, con il parco ittico Paradiso e l’ex oratorio di San Michele che si trova dopo l’abitato lungo la ciclabile. Volendo visitarla bisogna prendere la strada sulla destra subito prima della frazione di Villa Pompeiana.Si prosegue passando a sinistra della Riserva Naturale del Mortone sentendo il canto dei numerosi uccelli che la popolano. È qui che nel ’77 venne ritrovata una piroga monossile risalente al 490 d.C. Questa riserva rappresenta un perfetto esempio di quelle paludi che avrebbero ricoperto il lodigiano se non fosse stato costruito il canale della Muzza. In generale, per descrivere quest’area, bisognerebbe parlare di Lago Gerundo, una vasta area paludosa che avrebbe ricoperto il territorio compreso tra la Muzza, l’Adda e il Serio. In questo lago, secondo le leggende, viveva un antico drago, chiamato Tarantasio, che si cibava di piccoli mammiferi, compresi i bambini, e che inquinava l’area con il suo alito, causa di pestilenze. Un giorno però un valoroso cavaliere sfidò l’animale e lo uccise, dopo l’impresa adottò il drago, che rassomigliava un biscione, come stemma della sua famiglia, i Visconti. Passata la riserva si segue ancora la ciclabile attraverso la frazione di Mignete con la sua parrocchia e infine si entra a Zelo Buon Persico passando per il suo centro e sotto la sua bella chiesa. Proseguendo dritti si riprende la via Dante per tornare al parcheggio.   immagine di copertina: @Mattia Bedetti
Percorrendo le rive dell’Adda fino a Lodi

Lago Maggiore Pennellate d'artista

Affreschi, trompe l’oeil, cicli pittorici lunghi cinque secoli, murales spontanei e organizzati: nei dintorni di Laveno Mombello il colore è ovunque
fondoambiente.it @a.m fumagalli

Il Miglio della Bellezza

L’itinerario d’autore alla scoperta dell’autentica Bellezza di Bergamo

Cammino di San Colombano

Un itinerario che attraversa l’Europa sulle orme di San Colombano
Cammino di San Colombano

Itinerario Giubilare in provincia di Varese

Da Milano alle quattro chiese giubilari di Varese: un percorso di spiritualità e scoperta
Facciata del Santuario della Beata Vergine dei Miracoli a Saronno, capolavoro del Rinascimento lombardo, con la sua imponente architettura ornata di statue e la caratteristica cupola sullo sfondo. A sinistra, il campanile con orologio e meridiana.

Lombardia Style

Bellezza senza confini
Lombardia Style

Romanino tra il Sebino, la Valle Camonica e la Franciacorta

Nel territorio di Brescia, dove Girolamo Romanino aveva casa, bottega e famiglia, sono conservate molte opere del pittore che consentono di avvicinarsi all’attività lunga e proficua di quello che è considerato uno degli esponenti di spicco della cultura figurativa veneziana di primo Cinquecento. La Pinacoteca Civica, ad esempio, custodisce alcuni dei suoi lavori importanti, mentre altre opere sono distribuite in diverse chiese cittadine, a volte ancora nelle collocazioni originarie. Ma il percorso romaniniano più ricco e interessante può essere compiuto seguendo un itinerario che si snoda fra il bacino del Sebino, la Franciacorta e la Valle Camonica. Si può partire dalla chiesa di San Pietro a Tavernola Bergamasca dove, intorno al 1512, Romanino esegue due dipinti murali raffiguranti una Madonna col Bambino, san Giorgio, san Maurizio e i santi Pietro e Paolo che presentano gli offerenti e una Crocifissione con astanti. Sono gli anni in cui la città di Brescia subisce l’invasione dei francesi che forzerà la fuoriuscita di molti alla ricerca di stabilità politica ed economica. Fra questi Romanino, verosimilmente esule sulla sponda del lago dove aveva trovato rifugio anche il governo provvisorio della città e da cui si muoverà alla volta di Padova. Con ogni probabilità quello di Tavernola Bergamasca non è più da ritenersi l’unico episodio di pittura romaniniana esistente sul Sebino. Recenti studi hanno infatti attribuito al pittore un ciclo antecedente ubicato a Monte Isola nell’oratorio di San Rocco attiguo alla chiesa parrocchiale di Peschiera Maraglio. Le due testimonianze pittoriche documentano l’esperienza giovanile su muro del pittore contraddistinta, in particolare, dall’uso vistoso del tratteggio grafico di finitura eseguito a punta di pennello: una traccia delle abitudini di Romanino, e di molti altri pittori dell’epoca, ad utilizzare le stampe come strumento per formarsi e aggiornarsi e come inventario dal quale trarre non solo modelli figurativi ma anche espedienti tecnici da trasferire in pittura. Nei primi anni Venti del Cinquecento Romanino, impegnato in Brescia, riceve anche incarichi prestigiosi dal circondario. A Capriolo, ad esempio, in Franciacorta, sull’altare della Scuola del Santissimo Sacramento nella parrocchiale di San Giorgio si può ancora oggi osservare una grande tavola centinata raffigurante una Resurrezione. Realizzata intorno al 1525, caratterizzata dall’intensità cromatica e dall’audacia compositiva, l’opera precede di pochi anni una delle commissioni importanti che apriranno al pittore la pista verso il nord della provincia, la decorazione del refettorio della foresteria dell’abbazia olivetana di Rodengo Saiano. L’ambiente era stato completamente rivestito da una zoccolatura e da un’architettura illusionistica ancora parzialmente visibili che facevano da fondale a un programma iconografico attinente al tema dell’ospitalità, connessa alla funzione della stanza. Oggi non è più possibile valutare la portata dell’insieme originario. Nel 1864 il ciclo è stato in parte strappato: due scene con la Cena in Emmaus e la Cena in casa di Simon Fariseo si trovano esposte presso la Pinacoteca di Brescia. In loco sono rimasti una Madonna col Bambino e san Giovannino e due riquadri raffiguranti rispettivamente Cristo e la Samaritana e una Dispensa con stoviglie, oltre a due angeli reggenti lo stemma olivetano sopra una porta d’ingresso. Il cromatismo acceso giocato sui colori contrastanti, la torsione e il gigantismo delle figure e una pittura già ampiamente basata sull’uso di pennellate larghe e mosse, documentano il percorso di evoluzione dei modi esecutivi del pittore alla fine del terzo decennio: i dipinti hanno infatti trovato una datazione concorde intorno al 1528. Si situano invece alla metà degli anni Venti alcuni dipinti murali, originariamente collocati nella cappella di San Rocco adiacente alla chiesa parrocchiale di Villongo San Filastrio. Questi resti di un piccolo ciclo con una Madonna e alcuni santi possono, secondo molti studiosi, essere ascritti alla mano di Romanino. L’attribuzione però non è concorde. Il parere di altri propende per riconoscere nei dipinti e nelle sinopie rimaste sul muro a seguito dello strappo, un intervento del pittore lodigiano Callisto Piazza, in un momento della sua produzione in cui le tangenze di stile e di tecnica con Romanino sono molto evidenti. Romanino risalirà la sponda del Sebino per giungere in Valle Camonica qualche anno dopo. I suoi interventi a Pisogne, Breno e Bienno, considerati in successione secondo l’ordine cronologico, si inseriscono in un contesto che beneficia di una situazione di particolare stabilità politica, sancita dai patti della Pace di Bologna del dicembre del 1529, e di grande risveglio economico. La Repubblica di Venezia aveva di fatto consolidato il proprio dominio sul territorio e avviato politiche di sostegno per i singoli comuni. In questo clima si assiste alla ripresa delle commissioni artistiche e all’arrivo del pittore reduce dai lavori nel Magno Palazzo di Trento e in una dimora a San Felice del Benaco. Ciò che qualifica anzitutto i cantieri di pittura murale di Santa Maria della Neve a Pisogne, di Sant’Antonio a Breno e di Santa Maria Annunciata a Bienno è il loro carattere civico e comunitario: i tre lavori sono promossi dalle autorità civili delle tre località a nome delle rispettive comunità che esercitano patronato pubblico sugli edifici e caratterizzati come uno sforzo significativo di aggiornamento dell’apparato decorativo già esistente. La datazione degli interventi non è direttamente documentata, ma è legata per Pisogne a un credito contratto da Romanino nel 1534 con i committenti, per Breno alla traslazione nel 1535 del Santissimo dalla Parrocchiale a Sant’Antonio, per Bienno alla risoluzione nel 1540 di una disputa sulla proprietà della chiesa. A Pisogne i dipinti, estesi sull’intero corpo della chiesa, propongono un programma incentrato sulla Storie della passione e della resurrezione di Cristo. A Breno, nel coro, si dispiega un ciclo con episodi salienti del Libro biblico del profeta Daniele dedicato alle vicende esemplari dei re Nabucodonosor, Balthasar e Dario il Medo che sperimentano la facoltà divina di dare o togliere il regno in funzione dell’esercizio più o meno corretto del potere: un significato che risulta direttamente collegato alle funzioni politiche della chiesa, luogo di investitura del Capitano di Valle nominato dal Senato della Repubblica di Venezia. A Bienno, i soggetti sono ricavati dalla narrazione della vita della Vergine compresa nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine e sistemati nel presbiterio con un’insolita disposizione a chiasmo che trasgredisce l’ordine scritto. I tre cicli sono caratterizzati dall’impiego libero dei mezzi pittorici: le forme anatomiche distorte, i tocchi di colore saturo, l’ampio uso della pittura lasciata abbozzata, l’intonaco a vista, documentano l’avvio di una nuova stagione espressiva del pittore. Si tratta di una scelta che testimonia la volontà di esibire il virtuosismo di una pittura immediata e sprezzante, che costituisce uno degli orientamenti più aggiornati e innovativi della cultura degli anni trenta del Cinquecento evidentemente apprezzato dai committenti camuni. Oltre ai dipinti murali, in Valle Camonica è custodita presso il Museo Camuno di Breno una tela con Cristo Crocifisso collocabile al 1550. L’opera è dipinta da entrambi i lati. Sul retro è osservabile un abbozzo con la Madonna col Bambino e santa Caterina lasciato incompiuto da Romanino, come mostrano diversi pentimenti. Nella stessa sala sono esposti anche due frammenti ricomposti di una tela a tempera con Teste di prelati che in origine avevano verosimilmente la funzione di anta d’organo. L’attribuzione del pezzo è ancora oggi dibattuta fra Romanino e Callisto Piazza. Sempre a Breno, in San Valentino, si trova una tavola con una Madonna col Bambino e Giovannino tra i santi Valentino e Maurizio da alcuni ritenuta un’opera giovanile del pittore.   Sara Marazzani
Romanino

Rocche, castelli e torri sul Lago d'Iseo

Il lago d’Iseo segna il confine tra Bergamo e Brescia e fin dall’epoca medievale, oltre ad essere una risorsa economica per la popolazione locale, costituiva un’area di confronto politico.   Era, infatti, il punto in cui si manifestavano appieno i contrasti tra le due realtà cittadine, specialmente nell’alto lago per il controllo dei traffici commerciali provenienti dalla Valle Camonica e nella tratta a sud, dove si generava lo scontro per la giurisdizione del territorio della signoria di Calepio. Monte Isola, al centro, era a contatto tra queste due realtà in una posizione di controllo dei traffici sul lago che si svolgevano soprattutto attraverso il canale di Tavernola. Le differenze politiche si accompagnano a differenti forme insediative e architettoniche: sulla sponda bergamasca, infatti, sorgevano edifici fortificati in un contesto prealpino montuoso e piuttosto aspro; sulla sponda orientale, invece, i centri si sviluppano in aree collinari dove non sempre sorgevano strutture di controllo. Sul piano dell’articolazione ecclesiastica la sponda bresciana era divisa tra le pievi di Iseo e Sale Marasino cui si affiancò, dall’XI secolo, Pisogne. La sponda bergamasca era suddivisa tra Calepio e Mologno (l’odierna Casazza in Val Cavallina), poi sostituita nella cura pastorale della sponda sebina settentrionale dalla pieve di Solto, fondata nel XII secolo. Questa situazione portò a una frammentazione del potere, che emerge nel XII secolo quando i comuni si organizzano entro i confini già definiti dalle pievi. Sulla sponda bresciana l’alto lago dal X-XI secolo era sotto il controllo del vescovo, cui si affiancavano i monasteri, in particolare quello di Santa Giulia che aveva possedimenti sulla sponda del lago. Iseo era sede di mercato fin dal X secolo e snodo commerciale sul confine, elementi che attirarono l’interesse del comune di Brescia. Il centro era gestito dal vescovo, che con la monumentale chiesa plebana di Sant’Andrea  ribadiva l’egemonia politica, e dalle signorie locali con la classe media mercantile (Brusati, De Iseo/Oldofredi) che favorì l’espansione edilizia dell’abitato. Il castello di Iseo, sorto su un preesistente torrione e poi modificato tra XIII e XIV secolo con cortina muraria e torri scudate, costituiva il caposaldo strategico per la difesa militare del borgo: Iseo fu coinvolta nelle guerre del comune di Brescia e subì nel 1161 un devastante assedio e incendio da parte di Federico Barbarossa. Altre strutture di difesa a rappresentanza del potere signorile si trovano nella vicina Paratico: il castello vicinale e la torre Lantieri sono il simbolo del prestigio raggiunto da questa famiglia, che conviveva con la signoria rurale laica De Paratico. Il potere religioso e civile convivevano, invece, nella vicina Clusane, dove dalla fine dell’XI secolo c’era un castello e i monaci cluniacensi si insediarono sul promontorio e vi fondarono un priorato (poi affidato al vicino monastero di Provaglio d’Iseo). L’emergere della signoria degli Isei/Oldofredi portò alla costruzione, nel XIV secolo, del castello “del Carmagnola”, poi circondato da mura e ponte levatoio. Nelle mani degli Oldofredi di Iseo era anche Monte Isola, occupata nella fascia pede-collinare dai possedimenti monastici di Santa Giulia, ricordati fin dal X secolo. Tra XII e XIII secolo gli Oldofredi di Iseo commissionarono due rocche di difesa: la possente torre a Siviano, e il castello a Menzino, in un punto strategico di controllo della sponda bergamasca; a Peschiera Maraglio, nell’estremità meridionale dell’isola verso la sponda bresciana, si trova un altro castello di proprietà degli Oldofredi. A Marone, invece, la popolazione si rifugiò nella zona pedecollinare, dove si trovava un fortilizio a Pregasso poi distrutto nel Seicento: anche questa zona divenne roccaforte degli Oldofredi, fedelissimi alleati dei Visconti, fino all’arrivo di Venezia. Differente, invece, è il panorama della sponda occidentale: a sud il territorio era presidiato da Sarnico, borgo dipende dalla signoria filobresciana dei Calepio, che condusse una politica autonoma rispetto al Comune di Bergamo. Tale posizione generò la creazione di contesti fortificati in modo più fitto rispetto alla sponda opposta, delineando l’esistenza di un potere signorile locale ben radicato. Nella costa mediana, da Predore a Tavernola, sorsero aggregati sparsi, funzionali allo sfruttamento economico del territorio: questo policentrismo impediva di generare centri demograficamente rilevanti. Tale organizzazione permane fino al XIV secolo, quando la lunga persistenza signorile dà esito a piccole entità demografiche riferite ad un unico beneficio parrocchiale. In questa zona mancava un potere politico forte, e le famiglie signorili manifestarono la propria presenza sul territorio attraverso torri e case-torri disseminate nei borghi (come fecero i Fenaroli a Tavernola, Vigolo e Parzanica). L’assenza di un forte potere comitale è evidente nella mancanza di ampie strutture architettoniche fortificate – ad eccezione di Zorzino–, presenti invece sulla sponda bresciana: lungo la costa bergamasca si trovano prevalentemente torri isolate, come quelle di Predore e Tavernola. A Riva di Solto, Solto Collinae Castro, uniti fin dal XIII secolo sotto il controllo della famiglia Foresti, qui imposta dal comune di Bergamo per esautorare le antiche famiglie di lignaggio vescovile, furono erette numerose torri: le strutture servivano per la difesa degli spazi dell’autorità signorile. L’architettura era la testimonianza dell’importanza delle signorie locali, manifestava il ruolo sociale e il benessere economico raggiunto. Nell’alto lago, infine, si riscontra una situazione completamente differente: Pisogne, Costa Volpino e Lovere furono teatro di violenti scontri tra Bergamo e Brescia per il monopolio dei traffici lacustri. Pisogne, che controllava le rotte commerciali dalla Valle Camonica, fu il feudo del vescovo di Brescia e assunse la funzione politica di capocuria: nel 1119 fu distrutta dopo essere stata coinvolta nella guerra tra Bergamo e Brescia per il controllo di Volpino; fu poi ricostruita per volere del vescovo che la dotò di una cinta muraria con porte e torri difensive, tra cui la cosiddetta Torre del Vescovo. Il potere vescovile da Pisogne si espanse poi verso Lovere, controllata dal Comune di Bergamo, ma sotto la circoscrizione diocesana di Brescia: qui furono innalzati diversi edifici fortificati, tra cui il castello dei Celeri, nobile famiglia locale, la torre Zucca e la torre Alghisi – residenza di importanti famiglie locali – e la torre del Porto a controllo l’ingresso via lago. Altro luogo strategico conteso tra Bergamo e Brescia era Costa Volpino, zona di presidio militare e di controllo della Valle Camonica e dello sbocco del fiume Oglio: i documenti ricordano il dongione e la torre del castello di Volpino, a suggerire una struttura fortificata complessa e potente. Il castello fu a lungo conteso, fino alla pace del 1192, ma qui la politica bresciana sarà fallimentare di fronte a un solido tessuto signorile che – pur filo bresciano – si muoverà verso una progressiva autonomia e alle mire mai sopite del Comune di Bergamo. Nemmeno la fondazione, ad opera del Comune di Brescia, del borgo franco di Castelfranco tra Rogno e Costa Volpino (1255), consentirà a Brescia di avere un ruolo chiave nella politica di valle.   Federica Matteoni  
Rocche, castelli e torri sul lago d'Iseo - ph: visitlakeiseo.info

Val di Mello da fiaba

In provincia di Sondrio, proprio alla fine della Val Masino, si trova la fiabesca Val di Mello, diventata riserva naturale dal 2009.   Preserva un equilibrio ambientale non stravolto dal turismo di massa che richiama un visitatore attento e sensibile, partecipe dello spettacolo che qui la natura offre senza risparmiarsi. Uno scenario caratterizzato da torrenti cristallini e spumeggianti, cascate e laghetti, ponticelli in legno, baite in roccia perfettamente conservate e animali al pascolo. Tutto questo visibile e raggiungibile con un’escursione molto semplice e adatta a tutti. Per raggiungere la Val di Mello bisogna seguire le indicazioni per Val Masino, si percorre la strada superando i paesi di Cornolo e Cataeggio per poi giungere al piccolo borgo di San Martino.In paese è possibile lasciare il proprio mezzo di trasporto in uno dei numerosi parcheggi a lato della strada provinciale 9, o svoltando in via Ezio Vanoni e seguire le indicazioni per il parcheggio di terra battuta del campo sportivo. Qui la maggior parte dei posti sono a pagamento e la tariffa è di 7 € per l’intera giornata. Per chi non vuole camminare è a disposizione un servizio di bus navetta, che dal paese porta direttamente nella valle percorrendo il primo tratto di strada asfaltata. In certi periodi l’accesso è inoltre consentito a un numero fisso di automobili, previo acquisto di un pass da 10 €. Per avere maggiori informazioni si deve telefonare all’info point di San Martino o consultare il portale ufficiale della Val Masino. Nei pressi del parcheggio una bacheca mostra il percorso per raggiungere la valle, lungo il tragitto sono presenti numerosi cartelli con indicazioni accurate. Dopo aver parcheggiato si torna indietro seguendo via Ezio Vanoni e, una volta superato un ponte, si svolta immediatamente a destra lungo via Mulini.Lungo la prima curva a sinistra della via, un cartello indica la presenza di un piccolo sentiero sulla destra con indicazione “Val di Mello”.Il sentiero non numerato costeggia il torrente Valle di Mello e in pochi minuti si unisce ad una strada asfaltata (via Val di Mello). L'itinerario assume in diversi tratti le caratteristiche di un normale sentiero di montagna, nonostante ciò la Val di Mello può essere percorsa anche camminando solamente su strade asfaltate e sterrate. Per far ciò basterà attraversare il paese di San Martino ed imboccare via Val di Mello, la strada si estende lungo tutta la valle e permette di visitare tutti i luoghi presenti in questo itinerario.Il consiglio, però, è quello di seguire l’escursione proposta, in quanto i sentieri alternativi presentati vi permetteranno di immergervi maggiormente nel contesto alpino di questa valle, evitando la folla e le auto della strada principale. Dopo aver percorso qualche metro sulla strada, nei pressi di una piazzola di sosta, si svolta a destra salendo su un piccolo ponte che permette di attraversare il torrente. Fermandosi a metà ponte ci si può già fare un’idea della bellezza delle acque di questa valle, alzando lo sguardo invece si scorgono i picchi più alti (molto spesso innevati) che accompagneranno l’escursionista lungo tutto il percorso. La successiva parte del sentiero si sviluppa tra boschi e piccoli prati verdi, affiancando il torrente per lunghi tratti per poi distaccarsi ed entrare nel fitto degli alberi. In quest’area non sarà nemmeno raro incontrare qualche animale al pascolo.Giunti alla fine della prima sezione di bosco c’è la possibilità di deviare a sinistra, attraversare nuovamente il torrente e tornare sulla strada principale ormai divenuta sterrata.La svolta è consigliata, perché in quest’area il torrente si allarga e gli scorci visibili nel mezzo del ponticello in legno che lo attraversa sono molto suggestivi.Lo scrosciare dell’acqua cristallina sotto i piedi, le sponde tappezzate d’erba, il bosco in lontananza e, per concludere, la Punta di Cameraccio (3.026 m) colorata di bianco da una nevicata: impossibile non fermarsi per ammirare questo spettacolo.Superato il torrente si ha accesso a uno dei primi punti di ristoro della valle: il campeggio Ground Jack e la Trattoria Gatto Rosso (siamo a circa 30 minuti dalla partenza). Per chi preferisse non proseguire ulteriormente nella camminata, già questo luogo è perfetto per fermarsi e fare un pic-nic.Da qui, con una deviazione di soli 10/15 minuti, si possono raggiungere le Cascate del Ferro (probabilmente le più belle di tutta la valle). Le imponenti pareti rocciose di queste zone e gli immensi massi posati sui tappeti d’erba ci mostrano chiaramente il perché Val di Mello sia famosa anche per l'arrampicata su roccia e il bouldering.La mulattiera prosegue ora con pendenza molto dolce e in pochi minuti permette di superare il piccolo agglomerato di case appena incontrato. Giunti alla successiva deviazione destrorsa si svolta per avere l’ennesima possibilità di attraversare il torrente (qui un po’ più stretto) lungo un ponticello di legno.Dopo pochi minuti, da compiere in piano all’interno di un boschetto, si iniziano ad intravedere dei riflessi azzurri, ancora pochi passi e si arriva probabilmente nella località più spettacolare dell’intera valle: il Laghetto del Qualido formato nel 2009 dopo una frana, ora rappresenta uno dei punti più iconici dell’intera valle. Le sue acque, a seconda delle stagioni e delle condizioni di luce, si colorano di un verde intenso o di un blu profondo. Per chi se la sente e non è freddoloso c’è anche la possibilità di fare un tuffo.Probabilmente la sponda destra del piccolo specchio d’acqua non è la più spettacolare, ma la parte sinistra verrà percorsa durante il ritorno. Si prosegue lasciandosi alle spalle il lago e giungendo in Località Cà di Carna (ennesimo punto di ristoro di Val di Mello).La cosa che più colpisce è come in questo luogo la valle si apra molto, liberandosi di tutti gli alberi ed estendendosi in un gigantesco prato verde. Oltre alla Punta di Cameraccio da qui si inizia a vedere anche il Ghiacciaio del Monte Disgrazia (3.678m). Oltre l'agglomerato di case chiamato Cà di Carna non è più possibile seguire il torrente lungo il suo versante destro, così, attraversando un ponte in legno, ci si ricongiunge con la strada sterrata sulla sinistra.Qui, dopo pochissimi passi, è possibile scorgere un allargamento del torrente, che va a formare lo specchio d’acqua denominato “Bidet della contessa”. Quest’ultimo è molto celebre per il nome bizzarro, per i suoi colori intensi e per l’enorme masso caduto al suo interno.Dopo un’altra doverosa sosta per fare qualche scatto si prosegue sulla strada sterrata per una decina di minuti fino a raggiungere Cascina Piana, il più grande agglomerato di baite dell’intera valle. In questo spiano gli alberi tornano a farsi radi e la vista viene richiamata dalle numerose casette in pietra e dagli enormi massi sparsi su tutto il prato, che insieme creano un contesto veramente singolare. Girandoci verso l’inizio della valle è inoltre possibile vedere la splendida parete di Cima Calvo: questo è probabilmente il punto migliore per rendersi conto della bellezza delle altissime pareti di roccia che circondano completamente la Val di Mello. Nella piana sono inoltre presenti due ulteriori punti d’appoggio: il Rifugio Mello e il Rifugio Luna Nascente. Se volete fermarvi per cenare questo è il momento giusto: i camini sono accesi, il sole è quasi sceso sotto l’orizzonte e dalle cucine dei due rifugi fuoriesce un profumo veramente invitante.Questa escursione ha il grande vantaggio di non avere una vera e propria fine, ognuno è libero di adattare la camminata alle proprie esigenze, fermarsi in un rifugio e sulle sponde del torrente, per poi tornare indietro lungo il tratto appena percorso.Da Località Cascina Piana si prosegue addentrandosi in un fitto bosco di abeti, qui il sentiero dà la possibilità, come al solito, di rimanere sulla sinistra del torrente o di deviare e raggiungere il versante destro. Anche in questo caso il ponte di legno inserito nel contesto del bosco crea un fantastico scorcio.Con altri 10/15 minuti di marcia si può superare l’Agriturismo Al Camer e giungere all’ultimo gruppo di case: Località Rasica.L’escursione finisce qui, e la via del ritorno ricalca lo stesso tratto fatto durante l’andata. Per poter ammirare in modo diverso alcuni dei luoghi appena visitati è possibile decidere di passare lungo l’altro versante del laghetto del Qualido. Una volta giunti alla Trattoria Gatto Rosso si può decidere di scendere lungo la strada asfaltata (molto più veloce del sentiero) e giungere così direttamente al centro del paese di San Martino (la traccia gps mostra questa possibilità).
Val di Mello da fiaba

Viaggio nel tempo nelle innevate Case di Viso

In alta val Camonica, poco oltre la rinomata località turistica di Ponte di Legno, sorge il piccolo borgo alpino di Case di Viso. Un luogo dalla bellezza antica, rimasta incontaminata, dove il tempo pare essersi fermato, fissando il calendario a qualche secolo fa. Il pittoresco raggruppamento di baite ha saputo mantenere fino ad oggi la sua tipica architettura di inizio XIV secolo, caratterizzata da spesse pareti in roccia, balconi in legno e tetti coperti da grandi lastre di ardesia.Camminare tra le piccole viuzze, osservando queste antiche costruzioni, soprattutto durante o dopo una bella nevicata, è un’esperienza unica, che vale la pena di essere vissuta anche da chi non è troppo abituato a camminare in montagna. Il sentiero per raggiungere Case di Viso è di facilissima percorrenza ed adatto a tutti. Il dislivello è di soli 200 m e la strada, molto larga e quasi sempre ben battuta, diviene ideale per una facile escursione con le ciaspole in caso di neve. L’escursione inizia dal piccolo comune di Pezzo. Per raggiungere l’abitato, da Ponte di Legno, bisogna imboccare la strada per il passo Gavia. Dopo circa 10 minuti di auto si inizieranno a scorgere le case del paese e dopo poche centinaia di metri un’uscita sulla destra. Durante il periodo invernale la strada per il passo viene chiusa appena dopo Pezzo, quindi è impossibile sbagliare l’uscita, proprio perché la strada non permette di proseguire oltre.I posti auto non sono moltissimi, ma è comunque presente un parcheggio gratuito ad inizio di via Viso, appena dopo il bar “De Pess”.Durante l’inverno non si trovano negozi e ristoranti aperti nel paesino di Pezzo, bisogna dunque fermarsi a pranzare o a far spesa lungo la strada, non si trova neppure acqua lungo il tragitto. Per il noleggio di attrezzatura invernale è necessario fermarsi a Ponte di Legno dove sono presenti svariati negozi. Il sentiero proposto si sviluppa interamente su via Viso, la strada che parte dal parcheggio e, dopo un ampio tornante sulla sinistra, supera il paese dall’alto fino a raggiungere località Case di Viso. In estate la via è liberamente percorribile in auto ed è possibile proseguire per circa 3 km fino a parcheggiare direttamente nell’ampio parcheggio posto all’inizio di Case di Viso. In inverno la strada ovviamente non viene spazzata e si trasforma in un comodo sentiero da percorrere con le ciaspole o con i ramponcini.Seppur con molta neve sia abbastanza difficile scorgere altri tratti al di fuori della via principale, osservando una mappa e controllando le indicazioni sui cartelli è possibile notare come l’intera escursione possa essere affrontata anche su due tratti paralleli alla via.A sinistra si estende il sentiero CAI 162, mentre sul versante opposto della piccola valle è presente un’altra traccia che conduce sempre alla stessa destinazione.Questi tratti alternativi sono generalmente percorsi in estate, per evitare di camminare sulla strada asfaltata, continuamente percorsa da automobili. In inverno diventano un’alternativa leggermente più impegnativa rispetto al percorso lungo la strada. Se si è alla prima esperienza con le ciaspole o si sta affrontando il trekking con dei bambini si consiglia di percorrere la via principale. Si incomincia a camminare attraverso il piccolo paesino e, una volta giunti al limitare delle case, si svolta a sinistra per raggiungere la sbarra che impedisce alle automobili di proseguire oltre. Superata quest’ultima, potrà essere fin da subito necessario indossare le ciaspole. La strada è abbastanza battuta e generalmente viene spianata da un gatto delle nevi, quindi alcuni tratti potrebbero essere facilmente percorribili anche con normali scarponi e magari con l’aggiunta dei ramponcini. Le racchette da neve, diventano però assolutamente necessarie, dopo un’abbondante nevicata o se voleste deviare leggermente dal sentiero principale.Indossate le ciaspole si incomincia a camminare lungo il versante sinistro della stretta valle di Viso. I primi metri non presentano scorci paesaggistici degni di nota, ma già dopo pochi minuti la strada si addentra in un suggestivo boschetto di abeti. Qui è possibile ripararsi un po’ dalla neve e iniziare a scattare qualche fotografia alle cime più alte di questa zona: il Corno Baitone e le Cime di Vallaro sono molto ben visibili girandosi verso il punto di partenza. La passeggiata prosegue quasi in piano e dopo circa 30 minuti di cammino su un sentiero sempre molto largo e con un dislivello minimo, l’area si allarga un po’, permettendo di contemplare il panorama sulle alte vette che chiudono la vallata: il Corno dei Tre Signori, punta Albiolo, Montozzo ed Ercavallo. Con un buon occhio e con un po’ di fortuna, da questa zona in estate è anche possibile avvistare animali selvatici quali cervi, stambecchi e camosci. In inverno ci si deve accontentare delle immense pareti bianche alle quali si aggrappano radi gruppi di alberi.La successiva parte della mulattiera è un continuo susseguirsi di ampie radure innevate e brevi tratti immersi in piccoli boschi, il tutto splendidamente incorniciato da immense creste rocciose, dipinte con ampie pennellate di bianco. Il contesto, già eccezionale, diviene semplicemente magico se accompagnato anche da una bella nevicata. Dopo un’ora di cammino, tempo che si riduce molto se si ha un buon passo e non si fanno pause, si giunge finalmente all’ampio parcheggio di Case di Viso e, gradualmente, da dietro delle collinette bianche iniziano a spuntare delle piccole baite scure, costruite in pietra. Le abitazioni in totale sono circa una ventina e sono quasi tutte raggruppate all’interno di una piccola conca, sulle sponde del torrente Arcanello.Anticamente questo era l’alpeggio di Pezzo, dove veniva portato il bestiame durante i mesi più caldi dell’anno. Oggi quasi tutte le baite sono di proprietà privata e vengono sfruttate come case vacanza. Ciò che più stupisce però è come i nuovi proprietari abbiano avuto una cura puntigliosa nella conservazione e nella ristrutturazione di queste antiche costruzioni, mantenendo quindi pressoché intatto il loro aspetto originale.Oltre al grande valore artistico Case di Viso racchiude dentro di sé anche molta storia: questo luogo fu infatti teatro di una rappresaglia nazista; la piccola chiesetta e le varie croci servono a ricordare i partigiani che qui hanno perso la vita. Ciò che rende particolarmente suggestiva questa escursione in inverno è l'assoluto silenzio della zona: non ci sono animali al pascolo, le case sono completamente chiuse e lo spesso strato di neve assorbe completamente i rumori dei passi degli escursionisti, lasciando udire solamente il flebile scorrere del torrente. È solo in estate che l’intero borgo prende vita, passeggiando tra le vie, nei mesi più caldi dell’anno, potrete trovare un mini caseificio dove acquistare formaggio (lo Silter è quello tipico di questa zona), burro e ricotta e sarà inoltre possibile fermarsi a mangiare in un bar-ristorante. Si tratta quindi di un luogo che cambia totalmente aspetto a seconda del periodo della visita e proprio per questa ragione il consiglio è quello di tornarci più di una volta, per poter cogliere al meglio tutto quello che questo fantastico borgo può offrire. L’escursione non può dirsi conclusa senza aver percorso, per tutta la sua lunghezza, la piana dove sorgono le case. La mulattiera prosegue al centro del borgo permettendo di passare accanto a tutte le abitazioni, per poi proseguire in leggera salita verso un’area pic-nic dalla quale è possibile osservare l’intero abitato dall'alto.Camminare lungo le sole due vie dell’alpeggio, osservando la bellezza di questo luogo è veramente un piacere. Inoltre, per i più piccoli, l’ampia zona pianeggiante diventa anche un fantastico spiazzo per divertirsi giocando con la neve. Rimanendo accanto alle case non ci sono aree pericolose, bisogna fare solamente attenzione alle varie diramazioni del torrente, le quali non sempre vengono recintate o segnalate da staccionate.Spingendosi oltre le case sono inoltre presenti anche alcune piccole collinette sfruttabili per fare qualche discesa con lo slittino. Ovviamente in estate da questa zona si articolano diverse escursioni più impegnative: da Case di Viso è possibile raggiungere il Rifugio Bozzi, il passo dei Contrabbandieri, i laghi di Ercavallo, il forcellino del Montozzo e svariate altre mete. Compiere queste escursioni in inverno è più impegnativo e la scelta deve essere ponderata sulla base della propria capacità fisica, della propria attrezzatura e soprattutto considerando lo stato del manto nevoso. Il ritorno avviene lungo lo stesso tragitto dell’andata, percorrendo a ritroso i circa 3 km di via Viso. La leggera pendenza del sentiero in questo caso può anche essere sfruttata per fare brevi discese con lo slittino.
Viaggio nel tempo nelle innevate Case di Viso