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Percorso dei terrazzamenti di Airuno e Valgreghentino

I paesaggi terrazzati esistono da quando i primi esseri umani hanno cominciato a stanziarsi in un territorio scegliendo di abitare i versanti acclivi di montagne e colline scoscese, soprattutto quelli ben esposti al sole. Un incessante opera dell’uomo ha gradualmente addomesticato la verticalità dei pendii, che non avrebbero consentito alcun tipo di coltivazione. La morfologia del territorio locale è stata così completamente modificata per trasformare il paesaggio da ambiente naturale a territorio rurale.Si ritiene che i percorsi di crinale o elevati rispetto al fondo valle siano stati le forme privilegiate nei tempi più antichi per la formazione di insediamenti. I ripidi pendii del Monte di Brianza sono stati oggetto di questa trasformazione soprattutto in prossimità dei centri abitati di mezza costa e alle pendici dei versanti.I nuclei rurali di Veglio, Rappello, Biglio, Campiano, Miglianico e Aizurro conservano ancora il paesaggio terrazzato, purtroppo in buona parte ridotto a causa dell’avanzare tenace del bosco e dell’abbandono dell’attività agricola. Questo itinerario ad anello attraversa tutti questi insediamenti rurali, percorrendo antiche vie di comunicazione, tra sentieri e mulattiere; collegando paesaggi caratterizzati da vaste coperture boschive alternati a paesaggi terrazzati, la cui vocazione agricola è mutata o si è persa nel tempo.Il percorso parte dal parcheggio della stazione di Airuno da cui si imbocca il sottopasso ferroviario e si segue il sentiero n.7. Il sentiero sale ripido per circa un chilometro fino ad incrociare un sentiero a mezzacosta. A questo punto abbandonare il segnavia n.7 e proseguire a destra fino ad arrivare alla cascina Rappello, che potrebbe risalire alla seconda metà del settecento. Sul muro un affresco di San Giobbe, santo protettore dei cavalè, i bachi da seta, ricorda il tempo in cui la bachicoltura, insieme alla gelsicoltura, rappresentava un’importante attività per integrare le magre entrate della vita contadina. I terrazzamenti un tempo erano coltivati a piselli, fagioli, cornetti, patate e porri, prodotti che poi venivano venduti al mercato agricolo di Valgreghentino. In prossimità delle prime case di Aizurro, imboccare il sentiero di sinistra che dolcemente sale fino ad incrociare una strada sterrata che conduce al centro storico.Si hanno notizie del nucleo abitato intorno al 1412: era un piccolo villaggio tipico della Brianza, abitato da coloni e possidenti terrieri. Ancora oggi, il paesaggio conserva la sua vocazione agricola.Giunti in piazza Roma, si arriva a un grande lavatoio ben conservato, un tempo importante luogo di ritrovo per le massaie della frazione. In prossimità della fontana, alla vostra sinistra è visibile una palina con segnavia n.4. L’itinerario continua imboccando la stretta via parallela alla via Tolsera, da cui è possibile godere di un ampio panorama sulla valle dell’Adda, in particolare sul Santuario della Rocchetta, che sorge sulle fondamenta di un antico castello longobardo di cui si hanno notizie già dall'anno 960. La stretta via si ricongiunge poi con via Tolsera e prosegue per una strada sterrata. Il bosco era qui una estesa selva castanile e tracce di terrazzamento sono ancora visibili. Per una larga fascia delle popolazioni del Monte di Brianza, la coltivazione della castagna ha rappresentato un’importante risorsa alimentare che andava ad integrare la povera dieta contadina. Le castagne, vendute nei mercati del Milanese, costituivano un’entrata economica fondamentale per le famiglie. Qui si gode il panorama sulla Valle dell’Adda e sulle Prealpi Bergamasche. Lungo l’itinerario sulla destra si incontrano i primi terrazzamenti, oggi coltivati a zafferano, patate, frumento e una antica varietà di mais, lo scagliolo. Interessante il masso erratico di serpentinite che si trova nel campo al limitare della strada, denominato dai locali “Sass balena” per la sua particolare sagoma.Dopo circa 500 metri si arriva a uno dei più suggestivi borghi rurali del Monte di Brianza: Veglio. Il toponimo potrebbe essere ricondotto al significato di “vegliare”, “fare da guardia”. Dal punto di vista storico, la sua presenza è attestata fin dal 1412. Tutti i campi e i boschi circostanti all’abitato furono di proprietà delle monache della Bernaga (Perego ora La Valletta Brianza). La struttura, antecedente al Settecento, è un raro esempio di abitato montano a cortina chiusa e compatta, che definisce una corte stretta e allungata sulla quale si affacciano gli edifici, costruiti in pietra con piccole e rade finestrature. Attorno, alcuni terrazzamenti sono ancora coltivati come un tempo (i ronchi), a ricordare l’economia di sussistenza contadina: verdura, antiche varietà di frutta e allevamento avicolo. Anche su questi terrazzamenti le coltivazioni erano di piselli, porri, fagioli, cornetti e patate; si coltivava, inoltre, frumento, macinato poi nel mulino di Taiello. La fila di gelsi, ora ridotta a pochi esemplari, costituiva una caratteristica architettura vegetale, che incorniciava l’ingresso di Veglio, a testimonianza della pratica locale della bachicoltura. In un locale della cascina sono ancora presenti dei graticci per l’allevamento del baco da seta. Il percorso prosegue con una visita alla corte della cascina, da cui ci si congeda prendendo le scale che salgono alla nostra sinistra, fino ad intercettare il sentiero che costeggia l’abitato. Proseguire sulla destra.A circa 200 metri alla nostra sinistra in alto sulle balze, si trova una cappelletta votiva dedicata ai morti della peste, il cui affresco appare purtroppo indecifrabile. Il sentiero prosegue salendo fino alle rovine di un vecchio essiccatoio, dove fino ai primi anni del Novecento arrivavano le castagne raccolte nelle selve del monte per essere essiccate, battute e pulite per il commercio nel Milanese. Questo luogo è chiamato “Secaù”.Il sentiero ora sale verso i campi terrazzati, in passato coltivati come quelli di Rappello e Aizurro e ora destinati a prati stabili. Dai terrazzamenti sopra Veglio si apre una notevole veduta panoramica/paesaggistica dalla quale, oltre alle Prealpi e alla Valle dell’Adda, si intravvedono a sud la cima del Monte San Genesio e l’Eremo, mentre a metà costa la piccola frazione di Aizurro con i suoi terrazzamenti. Dopo aver attraversato i campi, il sentiero incrocia una carrareccia che sale ripida verso l’antico nucleo abitativo di Campiano, di cui è attestata la presenza in un atto riferito alla sua selva nel 960. Il suo toponimo significherebbe “campo in piano”. Superato l’abitato di Campiano, cambia il numero di segnavia: non più il n. 4, ma il n.9. Questa mulattiera è un’importante via millenaria di comunicazione che collega a nastro gli agglomerati urbani del monte; in questo tratto attraversa in costa la Valle della Pizza, nome che deriva dalla cima sovrastante. Lungo il percorso sulla sinistra una suggestiva cappelletta dedicata alla Madonna raffigura i morti della peste. Più avanti si incontra uno degli elementi caratteristici del nostro paesaggio rurale: un casotto, in dialetto “cassòt”, ricovero degli attrezzi o avamposto per lo sfruttamento delle risorse legate al bosco e ai terrazzamenti intorno. Nelle vicinanze delle prime case di Biglio Superiore, a sinistra della mulattiera si intravvede un piccolo sentiero che sale sopra un grande pianoro, dal quale si gode una vista imperdibile sul Monte Resegone.Dopo essere tornati sul sentiero principale, il giro vallivo si conclude con l’arrivo a Biglio Superiore, una delle architetture rurali meglio conservate, che documenta il tipico borgo contadino dell’Alta Brianza. L’abitato di Biglio si sviluppa in due parti: una alta, Biglio Superiore e una più bassa su un pianoro sottostante, Biglio Inferiore. Biglio Superiore è ancora abitato e un bel lavatoio, recentemente recuperato, campeggia in mezzo alle case. Poco più avanti si trova l’Agriturismo Il Terrazzo, dove è possibile pranzare previa prenotazione. Scendendo lungo la mulattiera si osserva, oltre al vasto panorama, i terrazzamenti che modellano l’ampio costone tra Biglio Superiore e Biglio Inferiore, oggi purtroppo quasi completamente abbandonati.Due filari di vite di fronte ai campi dell’Oratorio dei Santi Filippo e Giacomo, sono la malinconica memoria di un tempo in cui i terrazzamenti erano tutti assiduamente lavorati a ortaggi, cereali, frutta e vite; coltivazioni che consentivano alla povera comunità di Biglio, di avere l’autosufficienza alimentare. L’architettura del nucleo rurale di Biglio Inferiore risente dell’influenza del Bergamasco e di conseguenza della Serenissima. Le costruzioni sono basse e all’interno si trovano stalle, fienili e ricoveri per attrezzi.I terrazzamenti a fianco dell’abitato di Biglio Inferiore sono coltivati a ortaggi e conservano molti alberi da frutta antica. Un abitante di Biglio Inferiore è custode di questa grande ricchezza genetica e sui suoi terrazzamenti si trovano ancora molte varietà di frutta antica comuni a tutto il monte. A Biglio Inferiore seguire la palina a destra che indica il segnavia n. 4 che ci riporterà a Veglio. Dopo aver lasciato alle spalle l’abitato percorrendo un sentiero in piano, ci si inoltra in un fitto bosco (come indicazione, seguire i segni di vernice rossi lasciati su tronchi e pietre).Dopo circa 15 minuti di cammino il percorso intercetta nuovamente il sentiero che sale a Campiano attraverso i campi. A questo punto prendere a sinistra per tornare all’abitato di Veglio. Qui bisogna costeggiarne fino in fondo le case e a destra dell’ingresso della cascina prendere la mulattiera che conduce alla località di Miglianico (mancano totalmente le indicazioni). La mulattiera, che entrando nel bosco diventa poi un sentiero, scende fino ad arrivare ad un trivio. (mancano indicazioni). Prendere il primo sentiero di destra che dopo circa 15 minuti di cammino arriverà all’abitato di Miglianico. Dal vecchio lavatoio in disuso, proseguire fino alla strada asfaltata. Miglianico è una piccola località del comune di Valgreghentino, la cui vocazione agricola di un tempo è testimoniata dalle cascine e dalla presenza di molti terrazzamenti, quasi esclusivamente ora destinati a prato. Il toponimo fa riferimento alla distanza approssimativa di mille passi romani che lo separano da Airuno. Seguire a destra la strada che costeggia i campi e da cui è possibile ammirare il Santuario della Rocchetta. Lungo il percorso sulla destra, a ridosso del torrente Tolsera, si trova un mulino ormai dismesso. Un tempo i contadini della zona portavano qui a macinare frumento e grano. Proseguire sempre dritti sulla strada, oltrepassare la località Taiello e arrivati all’incrocio con la strada che risale a Aizurro, procedere in salita per circa 200 mt, dove sulla nostra sinistra imboccheremo il sentiero con segnavia n.4 che scende fino alla stazione di Airuno.
Percorso dei terrazzamenti di Airuno e Valgreghentino

Monte di Brianza da Olgiate Molgora

Il Monte di Brianza ha mantenuto nel tempo un elevato valore paesaggistico: antichi nuclei rurali e cascine, che insieme ai boschi e ai terrazzamenti, hanno conservato e l’architettura e gli abitati della civiltà contadina tipici dell’Alta Brianza.   Questo paesaggio rappresenta il valore identitario della Brianza che vede i suoi centri abitati collegati da millenarie mulattiere e una articolata rete sentieristica. La morfologia del territorio è stata completamente modificata per lo sfruttamento delle risorse, trasformando il paesaggio da ambiente naturale a territorio rurale. Non solo opere agricole, ma vere opere architettoniche, create dall’uomo per modellare la verticalità dei pendii, ampliare lo spazio coltivabile, contenere l’avanzare tenace del bosco e delimitare le proprietà terriere. Il percorso parte dalla stazione di Olgiate Molgora, dalla quale è possibile già ammirare il rilievo del Monte di Brianza e in particolare a metà costa, il piccolo borgo di Monasterolo. Dalla stazione si raggiunge la località Olcellera, quindi la frazione di Porchera, lungo un sentiero delimitato da alti muri a secco. L’abbandono di alcuni terrazzamenti ha consentito al bosco di avanzare inglobandoli e dando luogo a consistenti porzioni di bosco terrazzato. Dopo aver attraversato il sedime della vecchia ferrovia, proseguire lungo lo stretto vicolo fino a scendere all’abitato. Il toponimo di Porchera, derivante da “porcaria”, ovvero “stalla di porci”, lascia chiaramente intendere che un tempo questa era una località caratterizzata dalla presenza di grandi allevamenti di maiali mentre oggi si presenta come un agglomerato di cascine e vecchi edifici. Seguendo l’acciottolato si arriva di fronte a un bivio. Oltrepassando il sottopasso sotto il sedime ferroviario si arriva in località Stalasc (stallacce), punto di partenza di una lunghissima scalinata, grandiosa opera di architettura contadina che conta ben 1117 gradini e che rappresentava l’arteria principale per raggiungere i numerosi terrazzamenti e ronchi, realizzati utilizzando la pietra locale, in prevalenza arenaria e molera.Nella porzione più alta della scalinata, degna di nota è la presenza, a destra e a sinistra, di scale costituite da pietre a sbalzo nel vuoto costruite per rimontare i muri del terrazzamento e raggiungere quello superiore o viceversa. Un tempo questi terrazzamenti, oggi ormai quasi assorbiti dall’avanzare dei rovi, erano coltivati soprattutto a vite per la produzione del vino locale chiamato “Nustranel” e per la coltivazione di frutta e verdura tipica dell’economia di sussistenza contadina. I prodotti che invece venivano prodotti per essere venduti sui mercati agricoli erano principalmente piselli e taccole.La scalinata di Porchera presenta dei tratti esposti e per tale ragione è opportuno non percorrerla in discesa, soprattutto se bagnata. Al termine della scalinata si percorre a sinistra il sentiero in piano fino al nucleo di Monasterolo, chiamato così perché in origine era un monastero di monache di clausura, fondato intorno al 1400 da una nobile della famiglia Corno. Fu chiamato Monasterolo per distinguerlo dal più grande e famoso monastero della vicina Bernaga. Nel 1858, lo storico Giovanni Dozio aveva scritto al riguardo: “A mezzo il monte, che s'alza sopra capo a Porchera, in un angusto ripiano è il Monasterolo, un gruppo di meschine case e quasi decadenti, con un oratorio eretto ad onore di San Giuseppe nel 1736”. Al limitare del borgo si trova la chiesa di San Giuseppe, ora sconsacrata e adibita ad abitazione privata. La piccola piazza del borgo, dove è possibile approvvigionarsi d’acqua potabile ad una fontanella, merita una sosta. I terrazzamenti intorno all’antico nucleo erano coltivati per consentire l’autosufficienza alimentare, ora invece sono in buona parte abbandonati e lasciati a prato. Il sentiero continua in salita con segnavia n.2 e a un trivio bisogna mantenere sempre la sinistra, ma vale la pena svoltare a destra per una sosta nell’ampia radura chiamata “camp di tedesch”, dalla quale si gode di un magnifico panorama sulle colline di Montevecchia e alle cui spalle nelle belle giornate si può vede Milano fino a giungere agli Appennini e all’Oltrepò Pavese. Il sentiero si snoda per circa un chilometro in un bosco di castagno, roverella, frassino, ciliegi e acero montano fino ad arrivare ad un’area di sosta. Si segue il segnavia verso Beverate e si scende fino ad incontrare un bivio. Mantenersi sempre a sinistra sul sentiero n. 6 fino ad intercettare un’ampia strada boschiva, che si segue fino ad arrivare a cascina Rapello. Sul muro della cascina, da far risalire alla seconda metà del settecento, un affresco di San Giobbe, venerato santo protettore dei cavalè, i bachi da seta, ricorda il tempo in cui la bachicoltura rappresentava un’importante attività per integrare le magre entrate della vita contadina. A quel tempo, sui terrazzamenti era praticata anche la gelsicoltura. Il sentiero continua in costa fino alla frazione di Aizurro, di cui si scorge tra gli alberi la chiesa.I terrazzamenti un tempo erano coltivati a piselli, fagioli, cornetti, patate e porri, prodotti che poi venivano venduti al mercato agricolo di Valgreghentino.In prossimità delle prime case di Aizurro il sentiero si divide e si imbocca la sezione che dolcemente sale fino ad incrociare una strada sterrata che conduce al centro storico. Si hanno notizie di questo nucleo abitato intorno al 1412. Giunti in piazza Roma, si arriva a un grande lavatoio ben conservato, un tempo importante luogo di ritrovo per le massaie della frazione.L’itinerario continua imboccando la stretta via parallela alla via Tolsera, lungo la quale è possibile godere di un ampio panorama sulla valle dell’Adda, in particolare sul Santuario della Rocchetta, che sorge sulle fondamenta di un antico castello longobardo di cui si hanno notizie già dall'anno 960. La stretta via si ricongiunge poi con via Tolsera e prosegue per una strada sterrata che si sviluppa a mezza costa tra qualche saliscendi fino al nucleo rurale di Veglio.Il bosco era qui una estesa selva castanile e tracce di terrazzamento sono ancora visibili. Per una larga fascia delle popolazioni del Monte di Brianza, la coltivazione della castagna ha rappresentato un’importante risorsa alimentare che andava ad integrare la povera dieta contadina. Le castagne, vendute nei mercati del Milanese, costituivano un’entrata economica fondamentale per le famiglie. Da qui si può godere del panorama sulla Valle dell’Adda e sulle Prealpi Bergamasche. Lungo l’itinerario sulla destra si incontrano terrazzamenti, coltivati a zafferano, patate, frumento e una antica varietà di mais, lo scagliolo. Interessante il masso erratico di serpentinite che si trova lungo la strada, denominato “Sass balena” per la sua particolare sagoma. Dopo circa 500 metri si arriva a uno dei più suggestivi borghi rurali del Monte di Brianza: Veglio. Il toponimo potrebbe essere ricondotto al significato di “vegliare”, “fare da guardia”. La sua presenza è attestata fin dal 1412. I terreni circostanti appartenevano alle monache del monastero della Bernaga (Perego ora La Valletta Brianza). La struttura, antecedente al Settecento, è un raro esempio di abitato montano a cortina chiusa e compatta, che definisce una corte stretta e allungata sulla quale si affacciano gli edifici, costruiti in pietra con piccole e rade finestrature.La fila di gelsi, ora ridotta a pochi esemplari, costituiva una caratteristica architettura vegetale, che incorniciava l’ingresso di Veglio, a testimonianza della pratica della bachicoltura, comprovata anche dalla presenza in un locale della cascina di graticci per l’allevamento del baco da seta. Si prosegue e a circa 200 metri in alto sulle balze, si trova una cappelletta votiva dedicata ai morti della peste, il cui affresco appare purtroppo indecifrabile. Poco più avanti sulla destra prendere il segnavia che indica la direzione Biglio. Il sentiero attraversa nel bosco la valle della Pizza, lungo la quale si notano grandi massi erratici di granito-ghiandone, testimonianza del ghiacciaio nella Valle dell’Adda.Si abbandona il bosco solo in prossimità delle prime case di Biglio che documenta il tipico borgo contadino dell’Alta Brianza. L’abitato si sviluppa in due parti: Biglio Inferiore e sopra un pianoro più in alto, Biglio Superiore. Nel suo “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani”, redatto tra il 1290 e il 1311, Goffredo da Bussero ne cita la piccola chiesa di campagna. Le cronache riferiscono della presenza di un piccolo cimitero ora scomparso. L’architettura del nucleo rurale di Biglio Inferiore risente dell’influenza del Bergamasco e di conseguenza della Serenissima. Le costruzioni sono basse e all’interno si trovano stalle, fienili e ricoveri per attrezzi.Salendo lungo la mulattiera si osserva, oltre al vasto panorama, i terrazzamenti che modellano l’ampio costone tra Biglio Superiore e Biglio Inferiore. Qui il paesaggio offre uno degli scorci più significativi e di grande bellezza del Monte di Brianza.I terrazzamenti a fianco dell’abitato di Biglio Inferiore sono coltivati a ortaggi e conservano molti alberi da frutta antica. Biglio Superiore è ancora abitato e un bel lavatoio, recentemente recuperato, campeggia in mezzo alle case presso l’Agriturismo “Il Terrazzo”. Il giro vallivo continua salendo per la mulattiera mantenendo la sinistra. Dopo poche decine di metri dalle ultime case di Biglio si intravvede sulla destra della riva un piccolo sentiero che sale sopra un grande pianoro, dal quale la vista sul Monte Resegone è imperdibile.Si segue sempre il segnavia n.9.Dopo circa un chilometro si incontra uno dei più caratteristici elementi del nostro paesaggio rurale: un casotto, in dialetto “cassòt”, ricovero degli attrezzi o avamposto per lo sfruttamento delle risorse legate al bosco e ai terrazzamenti, e più avanti una bella cappelletta dedicata alla Madonna e ai morti della peste. Dopo circa due chilometri dall’abitato di Biglio, si arriva in prossimità di Campiano, di cui è attestata la presenza in un atto riferito alla sua selva nel 960. Il toponimo significherebbe “campo in piano”. Da Campiano si raggiunge l’’Eremo del San Genesio seguendo il segnavia n. 4, percorrendo un ripido sentiero. Al Ristoro Alpino San Genesio il servizio è garantito nei giorni di sabato e domenica. Dalla sommità del Monte San Genesio è possibile spaziare su un ampio panorama. Si racconta che anticamente su questo colle ci fosse un tempietto dedicato a Giove (da cui il toponimo del vicino paese di Giovenzana) o a Giano (da cui deriverebbe Genesio). Il primo documento storico in cui si parla di una cappella di S. Genesio sul Monte Suma risale all'anno 950.Nei secoli fu dimora prima dei monaci agostiniani e successivamente dei monaci camaldolesi. L’eremo è oggi proprietà privata. Ancora ben tenuti sono i terrazzamenti che disegnano e contengono il grande giardino intorno all’eremo.Dall’Eremo si segue e sempre il segnavia n. 1 fino ad arrivare alle prime case di Campsirago, nascoste dietro grandi affioramenti di roccia arenaria, il cui nome deriva da "campi sirati", che significa "terreni coltivati e muniti di silos", e testimonia la più che millenaria tradizione agricola di questo centro. Molto probabilmente la piccola comunità conservava cibi e raccolti in questi depositi (forse anche sotterranei) e poteva così essere autosufficiente in tutte le sue necessità. Le attuali costruzioni risalgono al XIV - XV secolo con alcuni edifici forse di epoca medievale.I terrazzamenti sono mantenuti a prato, testimoniando la transizione della vocazione di Campsirago, da borgo agricolo a borgo residenziale. Lasciando alle spalle le ultime case, prima del grande parcheggio della frazione, svoltare a sinistra e seguire il sentiero n. 1. Questo consente, attraverso una millenaria mulattiera, di camminare agevolmente in bosco per due chilometri fino alla frazione di Mondonico.Durante il percorso è interessante notare muri a secco di buona fattura e efficienti opere di ingegneria idraulica per governare i numerosi affluenti del torrente Molgora che nascono proprio in questa valle. Degna di nota, nei pressi della località Campione, è la presenza di un enorme masso coppellato in arenaria, importante reperto archeologico che attesta la presenza dell’uomo ancora prima dell’Età del Ferro.Prima di arrivare a Mondonico, una evidente mulattiera sulla sinistra invita a raggiungere il vecchio nucleo rurale con un piccolo oratorio dedicato al Santo Crocifisso. La località è nota con il nome di il Casino e il toponimo potrebbe riferirsi all'uso di uno degli edifici come residenza rurale signorile adibita all'attività venatoria. Passando a lato dell’Oratorio del Santo Crocifisso, il percorso fiancheggia notevoli muri a secco e terrazzamenti abbandonati, invasi dai rovi. Il bosco terrazzato ha preso il sopravvento sia a valle che a monte del percorso. Dopo aver oltrepassato un caseggiato bianco sulla sinistra, chiamato Cà Bianca, il sentiero si dirama in un bivio. Piegare a destra e al masso erratico con una piccola cappelletta votiva alla Madonna proseguire a sinistra verso Monasterolo attraversando la Valle del Corna, dove scorre l’omonimo torrente. Sotto l’abitato di Monasterolo, prendere la direzione per Olgiate Stazione, scendendo per una suggestiva mulattiera tra terrazzamenti e alti muri a secco fino all’imbocco del sentiero a destra, che conclude l’anello e arriva alla stazione di Olgiate Molgora.
Monte di Brianza da Olgiate Molgora

Il Palazzo Comunale

Un simbolo della storia della Città
il Palazzo Comunale visto da Piazza Visconti

Monte di Brianza da Calolziocorte

Dalla Valle San Martino l’itinerario percorre le sponde dell’Adda, lo attraversa e sale lungo la Valle del torrente Aspide fino ad arrivare a Consonno. Alla stazione di Calolziocorte prendere il sottopasso che conduce all’imbocco di Via Stoppani. Svoltare a destra e percorrere la via fino ad intercettare sulla destra il percorso pedonale che arriva al lungo lago.Camminando verso il ponte di Olginate è possibile osservare varie specie di uccelli acquatici come svassi, tuffetti, folaghe, gallinelle d’acqua, cigni reali e varie specie di anatre. Il rilievo del Monte di Brianza domina a ovest il panorama e tra la sua copertura boschiva è possibile osservare i numerosi nuclei rurali e borghi che ne costellano il versante.Attraversando il fiume osservando il percorso pedonale del ponte, si può vedere a destra la diga, impiegata per la regolazione del livello delle acque nel Lago di Como e della portata del fiume Adda a valle del lago, divide i laghi di Garlate e di Olginate. Dopo aver sceso le scale che si collegano al percorso pedonale del lungo lago, svoltare a destra fino ad arrivare ad una delle vie che portano al centro storico di Olginate, come via Barozzi o anche via Alessandro Manzoni, dove si trova la Torre del Porto. Costruita a metà del Quattrocento e utilizzata come presidio di sorveglianza quando l’Adda fungeva da confine tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia. Una volta giunti in Via Sant’Agnese, svoltare a sinistra, attraversare sulle strisce pedonali e percorrere la lunga via Don Ambrogio Colombo, che passa accanto all’Oratorio. Alla rotonda attraversare la strada provinciale e salire lungo la via Belvedere per circa 500 mt. fino ad arrivare alla località Praderigo, dove i terrazzamenti sono stati in buona parte inglobati nei giardini delle numerose abitazioni sorte negli ultimi decenni.Superato l’abitato, sempre percorrendo la strada in salita, prendere in prossimità della curva, una larga strada boschiva lungo cui, sulla destra, si trova una palina che indica il segnavia n. 209 per Consonno, Cà Benaglia. Percorrere la strada boschiva e poi seguendo le indicazioni, salire a sinistra lungo la mulattiera che corre accanto al Torrente Aspide, il cui toponimo lascia pochi dubbi sull’interpretazione. Secondo l’Olivieri, il toponimo stava ad indicare che le sue rive boscose erano originariamente infestate dalle vipere. Salendo, il sentiero si dirama. Si prosegue mantenendo la sinistra, ma non prima di aver visitato sulla destra il filatoio di Cà Benaglia, che nonostante l’abbandono, rappresenta uno dei più interessanti siti di archeologia industriale locale. L'edificio è un piccolo filatoio che sorge molto isolato dal paese. Nel 1900 a Cà Benaglia vi erano 6 filatori, 3 rochelere e un fuochista. Il filatoio di Cà Benaglia testimonia il passaggio dalla vocazione agricola di questo territorio ad una artigiana-industriale. La mulattiera sale snodandosi in una fitta copertura boschiva, dove domina in prevalenza il castagno e incontra più volte, lungo il suo percorso, il torrente Aspide nelle sue evoluzioni tra gorghi, vasche e piccole cascate. A 550 mt di quota, il bosco si dirada e si apre per lasciare spazio a una grande stratificazione di roccia sedimentaria, costituita da arenaria/molera che sovrasta incombente. Una piccola cascata d’acqua, scende lungo la parete rocciosa. Questa località è chiamata Ceppon. Recentemente è stata oggetto di un intervento di sistemazione idraulica forestale da parte del Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone. Il percorso si immerge nuovamente in pieno bosco fino ad arrivare da lì a poco al piccolo cimitero di Consonno, l’unica struttura dell’antico borgo, insieme alla Canonica e la Chiesa di San Maurizio, che si sono salvate dalla distruzione. Sulla sinistra del cimitero si trova il Monte Mario, la collina che il Conte Bagno aveva fatto spianare per consentire la vista del Resegone e che ora versa nel totale abbandono. Dopo aver superato il cimitero prendere la strada asfaltata che procede pianeggiante sulla destra. Dopo qualche centinaio di metri si arriva di fronte al minareto e all’enorme palazzo in stile arabeggiante che ospitava la galleria commerciale. Il borgo di Consonno ha un’origine antica. Il toponimo “Consonnum” è citato in una pergamena già nell’anno 1085. Consonno era un tempo un tipico paese dell’Alta Brianza, il cui abitato era costituito da cascine, stalle e fienili. I suoi terrazzamenti erano coltivati per la produzione di ortaggi, soprattutto porri e taccole, che venivano poi venduti nei mercati di Milano; mentre i marroni venivano coltivati nelle selve castanili lì intorno, come attesta la presenza di un importante essiccatoio, andato distrutto insieme al borgo. Negli anni ’60 un eccentrico imprenditore milanese, Conte Mario Bagno acquistò Consonno pensando che fosse il luogo ideale in cui costruire una "città dei balocchi". Il borgo fu così demolito per fare spazio a ristoranti, una balera, un albergo di lusso, diverse costruzioni con richiami alle più variegate culture e stili architettonici, un castello medievale e il celeberrimo minareto, un campo di golf, un tiro assegno, una pista per il pattinaggio, un luna park e un giardino zoologico. Nell’ottobre 1976 continue piogge provocarono una frana che interruppe la strada che saliva a Consonno. Fu l’inizio del declino della città fantasma. Anche gli ultimi abitanti di Consonno, che avevano visto una opportunità per vendere i propri prodotti agricoli ai turisti lo abbondarono. Oggi Consonno si presenta in uno stato di totale abbandono e degrado. Molti degli edifici rimasti sono pericolanti e ne è vietato l'accesso perché è proprietà privata e in secondo luogo per motivi di sicurezza. I suoi terrazzamenti e le sue selve castanili sono oggi avvolti dai rovi e assorbiti dal bosco che avanza.Dal minareto camminare seguendo la strada asfaltata che scende fino ad incrociare la strada che sale alla Canonica di San Maurizio. Svoltare quindi a destra per visitare la Chiesa di San Maurizio e la canonica, ora utilizzata come edificio rurale e le rovine di Consonno, come l’Hotel Plaza. Dalla Chiesa di Consonno, l’itinerario ritorna a sinistra sulla strada già percorsa e che accoglie i visitatori con imponenti insegne arrugginite che recitano "A Consonno è sempre festa" oppure "A Consonno tutto è meraviglioso", fino ad arrivare ad una grande costruzione in rovina che sovrasta la strada, un tempo hotel chiamato “Pavesino”. Il panorama che si gode sulla Valle dell’Adda è magnifico e richiama paesaggi leonardeschi. Superato l’edificio svoltare subito a destra lambendolo, percorrendo per circa un paio di chilometri unsentiero che, incrocia più volte il taglio per la pulizia delle linee elettriche e lungo il quale infestanti di varia natura banalizzano dal punto di vista della vegetazione l’ambiente boschivo. Scendendo, il percorso offre una bellissima vista sul versante bergamasco e il paese di Carenno. Prima di arrivare alle prime case del piccolo borgo di Serigola, si può osservare la presenza di boschi terrazzati con la prevalenza di formazione di ciliegi. Il piccolo nucleo rurale, chiamato in dialetto "Serigula" si trova nel comune di Olginate. Il suo toponimo è legato all’acqua e il suo significato deriverebbe da roggia, acqua corrente; come il torrente che scorre proprio al limitare delle prime abitazioni. Il paesaggio attorno all’abitato è caratterizzato da numerosi terrazzamenti in buona parte ancora coltivati a frutta e ortaggi, con la presenza di molti ronchi (i tipici orti della civiltà contadina). Superato l’abitato di Serigola, all’altezza della cappella mariana, prendere l’acciottolato che corre parallelo alla strada e proseguire fino ad arrivare alla frazione di Bornedo. I terrazzamenti sopra Bornedo sono a terra riportata senza l’utilizzo di muretti a secco e sorgono su un pendio che colpisce per la sua verticalità. Si nota la presenza di boschi terrazzati su tutto questo versante. Arrivati alle prime case di Molino, proseguire percorrendo la via Molino che attraversa anche l’abitato di Bornedo, fino a svoltare a sinistra nella via Michelangelo mantenendo la sinistra dove la strada diventa un bell’acciottolato e dove sono presenti terrazzamenti coltivati a uliveto. L’acciottolato diventa in seguito un’ampia carrareccia che corre tra campi terrazzati lasciati a prato e coltivati a frutta e verdura. All’incrocio con via Albegno, svoltare a destra e camminare fino ad arrivare alla Chiesa Conventuale Santa Maria La Vite. All’incrocio con Via Santa Maria, attraversare la strada e svoltare a sinistra fino ad imboccare il sottopasso che attraversa la strada provinciale. Svoltare poi ancora a sinistra in via del Pino e poi seguire le indicazioni per il centro di Olginate. Di fronte al cimitero svoltare a destra e proseguire fino all’imbocco con la strada principale che attraversa il centro paese. Per tornare sul percorso del lungolago prendere una delle vie laterali sulla destra.
Monte di Brianza da Calolziocorte