Ho trovato 332 risultati per strutture ricettive storiche

Santa Maria Assunta a Solto Collina

La fondazione della parrocchiale di Solto risale al XII secolo, essendo documentata per la prima volta in un documento del 1180. Una prima grande opera di riedificazione fu intrapresa nel corso del XV secolo e dovette essere sostanzialmente terminata il 24 luglio 1471, quando la chiesa fu consacrata dal vescovo di Bergamo Ludovico Donato. I lavori che si susseguirono nei secoli mantennero, nel paramento esterno, la struttura semplice e sobria delle pievi valligiane. Le decorazioni in pietra di Sarnico si concentrano sul portale principale e sulla trifora sovrastante. Le volute e i motivi decorativi con sirene, festoni e candelabre possono essere riferiti al pieno Cinquecento e sarebbero da porre in relazione con alcuni lavori di ristrutturazione interna compiuti in un momento imprecisato tra 1535 e 1575; in questi decenni il numero degli altari passò da tre a cinque. Al medesimo periodo sono documentate opere non più esistenti ma di notevole interesse, come il vecchio campanile – assai diverso da quello attuale, a forma di torre con tre campane – e l’antica ancona scolpita con la Madonna Assunta, chiusa da ante, in un complesso che doveva già risultare piuttosto imponente. Tra 1615 e 1629 fu demolito il vecchio coro e costruito l’attuale profondo presbiterio con l’annessa sagrestia. Tutta la parte posteriore della chiesa subì una nuova ristrutturazione nel 1778, quando fu riedificato il campanile e si compirono alcuni ritocchi al paramento esterno del coro. Nel 1780 i lavori si potevano dire conclusi e si procedette alla consacrazione del nuovo altare maggiore dedicato a santa Maria Assunta, da parte del vescovo Dolfin. Nel 1813 fu chiamato il pittore Vincenzo Orelli ad affrescare la navata. Il ciclo, perduto con i rifacimenti successivi, doveva costituire una preziosa testimonianza dell’ultima attività dell’artista, morto nello stesso anno, e della sua florida bottega, che continuò a coltivare le forme di un barocchetto leggero fino a XIX secolo inoltrato. Dal 1908 l’architetto Elia Fornoni avviò un progetto che, pur mantenendo l’impianto della chiesa, conferì all’interno una maggiore uniformità, secondo uno stile neosettecentesco. Fornoni, personalità di spicco nella cultura bergamasca a cavallo dei due secoli, prediligeva gli stili storici in tutti i suoi interventi. Nuove cornici e intonaci rivestirono le pareti interne, esaltando le otto cappelle laterali (quattro per lato), le grandi arcate e la slanciatissima volta con ampie vele e luminose finestre. Il pittore Giuseppe Riva si occupò di ridecorare le volte della chiesa e del presbiterio, forse perché in breve tempo rovinate, suddividendole in grandi campiture mistilinee con figure di profeti e scene della vita di Maria. Per certi versi affine a Fornoni, in termini di gusto e sensibilità, Riva sviluppò un ciclo di grande impatto decorativo, di un classicismo sobrio ed elegante, pienamente allineato ai maestri ufficiali che l’artista conobbe frequentando l’Accademia Carrara e, soprattutto, l’Accademia di Belle Arti di Roma. La chiesa conserva opere e dipinti di varie epoche. La grande tela dell’altare maggiore, raffigurante l’Assunzione della Vergine (3 x 5 m), è considerata l’ultima opera di Giambettino Cignaroli, iniziata nel 1770 e portata a termine dal suo allievo Pio Piatti. Sulle pareti del coro, si riconosce una Madonna con Bambino di Gian Antonio Zonca (1689), mentre l’architetto Luigi Angelini disegnò la nuova tribuna dell’altare maggiore, in marmi policromi (1937). Sul terzo altare a sinistra si conserva un’Annunciazione della Vergine, opera tarda e di altissima qualità di Domenico Carpinoni. Tra i dipinti più antichi della chiesa, sul primo altare a destra si ammira una delle copie di migliore qualità dello Sposalizio della Vergine dipinto da Romanino per San Giovanni Evangelista a Brescia. L’organo e la cantoria sono opera di Egidio Sgritta (1863), mentre la mostra è un lavoro originale di Andrea Fantoni(1708). Il grandioso pulpito ligneo, antistante all’organo, fu scolpito da Cesare Zonca da Treviolo (1898) su chiara ispirazione fantoniana; dello stesso sono anche i confessionali.   Fiorenzo Fisogni
Chiesa di Santa Maria Assunta

Il Castello Oldofredi a Iseo

Il castello Oldofredi, uno dei più antichi e meglio conservati del Bresciano, si trova su un’emergenza rocciosa nella zona meridionale del centro storico. Vi si accede da due ingressi a nord e a est, dove negli anni Ottanta del ‘900 fu addossata una massiccia scalinata. Sorge su un’area insediata fin da età romana e la prima notizia di un castello in Iseo è contenuta nel Polittico di Santa Giulia, elenco delle proprietà del monastero bresciano (fine IX-inizi X secolo). Il nome Oldofredi deriva dalla nobile famiglia iseana, ma non vi sono documenti che ne attestino la proprietà o l’uso. Il corpo di fabbrica più antico è il mastio (fine XI-inizi XII secolo) nell’ala meridionale e non più visibile dall’esterno. È a pianta quadrata di circa 10 m di lato e mozzato a circa 12 m dalla base, con spessi muri di pietra. Probabilmente faceva parte del castrum incendiato da Federico Barbarossa nel 1161 e, in tal caso, sarebbe stato risparmiato dalle devastazioni, in quanto ancora descritto nelle fonti seicentesche. Sul sito del castrum fu eretto fra XIII e XIV secolo un nuovo castello a pianta rettangolare costituito da cortine rettilinee difese agli angoli da torri quadrangolari scudate, cioè con un lato aperto verso l’interno, a base scarpata. Era circondato da un profondo fossato scavato nella roccia e oggi in parte colmato. Vi si accedeva a nord e a sud tramite due porte con arco a sesto acuto e, nelle chiavi di volta, vi era lo stemma della potente famiglia veronese dei Della Scala, che strinse con gli Oldofredi rapporti politici all’inizio del Trecento. Entrambe le porte erano precedute da larghi avancorpi sporgenti che permettevano il passaggio carraio e pedonale; erano chiuse da battenti lignei e da una saracinesca e dotate di ponti levatoi. Il primo era protetto da una torre, oggi completamente perduta, che ne sovrastava l’avancorpo, e il secondo dal mastio, al quale si addossava lateralmente. La rocca aveva il duplice obiettivo di caposaldo strategico nella difesa del territorio e di apparato di controllo militare del paese. Benché la sua datazione coincida con il breve dominio dei Della Scala nel Bresciano e vi sia il loro stemma, non è possibile stabilire se la costruzione sia inquadrabile fra i loro interventi fortificatori, poiché non è ancora stato determinato se le porte siano coeve al resto della struttura o se siano frutto di una ristrutturazione in epoca scaligera di un complesso precedente. Sotto il dominio veneziano il castello perse la sua importanza militare e divenne proprietà dei Celeri fino al 1585, quando venne donato ai frati cappuccini. Subì quindi diverse modifiche: il rivellino triangolare irregolare, costruito oltre il fossato meridionale nel XV secolo a difesa dell’accesso esterno al castello, divenne l’orto dei frati; le torri furono mozzate; fu costruita la chiesa di San Marco, consacrata nel 1629, a navata unica coperta a botte con unghie laterali e con facciata decorata a finte architetture. Fra XVII e XVIII secolo furono aggiunti il corpo a due piani all’esterno del muro nord e gli edifici lungo i tre lati del cortile. Il corpo a sud ha portico e loggiato costituiti da archi sorretti da pilastri in muratura a sezione rettangolare. A piano terra un affresco seicentesco raffigura uno scambio di doni fra un frate e alcuni personaggi in vesti orientali; a livello del loggiato vi sono i resti di una Crocifissione. Affreschi settecenteschi si trovano lungo la scala d’accesso ai piani superiori (Madonna della Misericordia, San Fedele da Sigmaringen), al primo piano (Ecce homo, Sant’Antonio da Padova) e sull’androne di ingresso al cortile (Annunciazione). Con le soppressioni napoleoniche, i frati abbandonarono il convento nel 1797 e il complesso, divenuto proprietà privata, fu trasformato in appartamenti. Fu acquistato dal Comune di Iseo negli anni Sessanta del ‘900 e restaurato. Oggi mantiene in parte la funzione abitativa e ospita la biblioteca comunale, alcune associazioni culturali e, nella ex chiesa di San Marco, la sala civica.   Angelo Valsecchi
Castello Oldofredi Iseo - ph: visitlakeiseo

Alla scoperta di un luogo mistico… a Tirano

Itinerario culturale in media Valtellina

Lombardia archeologica per tutti: l'ex monastero e l'isolotto

Chi dice che interessa solo agli archeologi? Ci troviamo a Cairate a poca distanza dal Parco RTO (Rile Tenore Olona) e dal Parco Archeologico di Castelseprio-Torba. Prima dei Romani Cairate era abitata da popolazioni celtiche e gli scavi archeologici del 1981 condotti sotto la guida del prof. Brogiolo hanno evidenziato l’importanza strategica del centro per i Longobardi per controllare le vie che da sud e da ovest confluivano a Castelseprio.  La visita guidata che propongo inizierà proprio qui a Cairate nel monastero benedettino di Santa Maria Assunta per continuare verso il Lago di Varese sull’Isolino Virginia a Biandronno che dista meno di 30 km e dal 2011 è diventato patrimonio mondiale dell’Unesco.  Le origini del monastero sono legate alla figura misteriosa della nobildonna longobarda Manigunda che lo fece erigere quale ex voto dopo essere guarita miracolosamente da una malattia renale, grazie all’acqua bevuta dalla fonte di Bergoro, un tempo nelle vicinanze. In effetti il complesso conserva un sarcofago del III-IV secolo d.C. probabile luogo di sepoltura di una donna riccamente abbigliata. Per circa un millennio il monastero, che possedeva i 2/3 del territorio cairatese e quattro mulini, è stato il centro economico e sociale di Cairate, vi si accedeva attraverso l’arco trionfale ancora visibile all’esterno; l’arrivo di Napoleone (1799) ne decretò la soppressione con la conseguente vendita all’asta dei beni. A partire dagli anni Ottanta viene acquisito in più fasi dal Comune e dalla Provincia e inizia finalmente ad essere oggetto di restauri conservativi che terminano nel 2013 svelando molti segreti. Oggi è un importante sito archeologico occupato da un’area museale di grande interesse storico e artistico, mentre la cosiddetta ala di San Pancrazio è occupata dalla sede del Municipio e dalla Biblioteca. Si accede al complesso camminando sopra i resti a vista dell’abside della chiesa tardoantica. Proprio in quest’area del monastero gli scavi hanno documentato la presenza di murature di una fattoria romana affacciata alla valle dell’Olona, dove venivano conservati cereali, legumi e altri prodotti, usata tra il I ed il IV secolo d.C. Alla fine del V secolo venne ricavata una piccola chiesa funeraria privata che attesta l’avvio di quel fenomeno di cristianizzazione promosso dai ceti dirigenti nelle aree rurali all’interno di ville romane presente in tutto l’Impero e nell’Italia settentrionale. Qualche passo in più e intravedendo il chiostro su due livelli, ci si addentra nei locali usati come refettorio e sala capitolare caratterizzati da soffittatura lignea sostenuta da colonne in arenaria decorate da capitelli cubici dove saltano subito all’occhio gli stemmi dipinti e scolpiti dei Visconti e dei Cairati. Il luogo raccolto che segue era una zona dedicata a sepolture di rango elevato: tombe conservate a quota di rinvenimento, tra cui una a vasca dipinta internamente e in posizione centrale, un’imponente struttura costruita con materiale di spoglio, tra cui una stele funeraria ornata dalla ruota solare, coperta da una lastra crucifera.  Un’ampia porzione di muro privato dell’intonaco che dal piano terra arriva al secondo consente di riconoscere la sequenza costruttiva e le numerose trasformazioni avvenute in quasi dieci secoli di storia: è un esempio pratico di stratigrafia degli alzati. Quello che segue era  probabilmente l’ambiente più esclusivo del monastero: un grande locale con doppio affaccio verso l’Olona decorato sotto il soffitto da un raffinato fregio della seconda metà del Cinquecento raffigurante putti, scene sacre e allegoriche intervallate da numerosi strumenti musicali a testimonianza dell’elevato livello d’istruzione della committente, la badessa Antonia Castiglioni. La chiesa ad aula unica, essendo claustrale è divisa in due parti, e l’aula delle monache seppur danneggiata da successivi utilizzi abitativi durante il XIX secolo presenta una parete di fondo interamente occupata da un affresco ora su tela raffigurante l’Assunzione della Vergine dipinta da Aurelio Luini e datata 1560 nella cornice parietale. Nella stessa aula una cripta a sedute testimonia la pratica alquanto macabra della scolatura dei corpi, a cui seguiva il disfacimento e la raccolta delle ossa in sepolture. Tutto ciò ebbe fine con l’editto di Saint Cloud durante la Repubblica Cisalpina.
Lombardia archeologica per tutti: l'ex monastero e l'isolotto

Per cantine in Lombardia

Filari di vigneti che disegnano armonicamente il territorio. Grandi eccellenze enologiche. Andar per cantine, in Lombardia
Vigne a Sondrio in Valtellina

Corbetta

Un borgo da scoprire vicino a Milano
Santo Stefano Ticino, arte e agricoltura

Sulle tracce dell’Ipposidra

Un percorso in bici all’insegna dell’archeologia e della storia
Sulle tracce dell'Ipposidra

In Lombardia per borghi in 7 mete da scoprire

Fortunago (PV)

Al Rifugio Tita Secchi lungo il sentiero di Cadino

Siamo nel cuore del Parco Adamello in provincia di Brescia dove la natura conquista con i suoi paesaggi incontaminati e di unica bellezza. L'itinerario è un percorso facile, su un’ampia mulattiera lastricata, con un dislivello di circa 550 m, è fattibile a piedi anche da chi ha poco allenamento, mentre richiede una buona preparazione per chi volesse farlo con MTB e e-bike. Naturalmente basterà, per i meno preparati, scendere di sella nei pezzi più ripidi. È consigliabile portare con sé bevande in quanto, nella valle che si va a percorrere, non è agevole provvedersi di acqua. Questa mulattiera, indicata come sentiero N°17, è fattibile solo in estate, la chiusura del Passo Crocedomini impedisce di raggiungere la Malga Cadino (chiuso fino ai primi di maggio, solitamente all’altezza della località Bazena, per chi proviene dalla Valle Camonica; sbarrato nella località Gaver, per chi transita dalla Val Sabbia). La Malga Cadino si trova sul lato a valle della strada e sullo stesso lato vi sono diversi spazi per il parcheggio delle auto. Mentre sull’altro lato della strada è subito visibile una strada sterrata che si addentra nella omonima Valle di Cadino della Banca. La prima parte è percorribile anche con fuoristrada, inizia pianeggiante con alcuni tratti più ripidi ed in circa 40 minuti si giunge alla Corna Bianca. È questa un rilievo di roccia calcarea che si distingue elevandosi, bianca, nel mezzo alla Valle. Da qui inizia la mulattiera che dirige verso nord con alcuni tratti selciati, altri tratti con finissima sabbia che per un attimo dà l’illusione di essere su una spiaggia di mare.La diversità di terreno, di composizione delle rocce, fa si che qui si possono trovare anche una ricchezza incredibile di fiori solitari o in infiorescenze, rendendo questa escursione interessante sia per appassionati botanici che geologi. Si arriva in breve ad un piccolo dosso dove si può apprezzare una “spianata” di rododendri: indovinare il periodo di maggior fioritura e l’orario in cui il profumo è più intenso non è cosa per tutti. Uscendo un poco dal percorso (impossibile da perdere, visto il lastricato lo individua facilmente) ci si può dirigere un poco a destra per visitare i resti, un po’ poco conservati, di una postazione risalente alle opere difensive della Grande guerra 1915/18.Da qui si può ammirare la propaggine sud della Cresta di Laione ribattezzata Castello di Gargamella, in quanto la parte alta emerge dal verde del pascolo, ripidissima e rocciosa con formazioni che ricordano torrioni di fortificazioni. Il tracciato dell’escursione rasenta i “piedi del Castello”. Continuiamo sulla mulattiera, su un piccolo tratto in discesa fra i rododendri e poi la salita ci impegna, seguendo un grande semicerchio nella valle, verso nord, portandoci, più ripida, verso un balcone naturale ove troviamo dei ruderi di una piccola struttura diroccata ricordata come “la Baita del Pastore”. Le montagne un tempo erano maggiormente utilizzate per il pascolo. L’alpeggio, nelle parti più basse (e più comode) era riservato ai bovini, mentre gli ovini e caprini (più agili e che richiedevano meno cure) venivano pascolati nelle terre più alte e il pastore doveva crearsi un riparo presso le proprie greggi. Poco più avanti ci si collega al sentiero n° 1 (ex n° 18) che giunge da Bazena e tenendo la destra ci si incammina verso il Passo della Vacca, questo tratto ha una pendenza piacevole, più dolce del tratto precedente ed è il caso di fermarsi per individuare sul profilo del Passo della Vacca, il masso a forma di bovino che dà il nome al Passo e al Lago; ci vuole un poco di attenzione perché da questo punto il masso ci mostra il posteriore che appare come un parallelepipedo rettangolo. A circa cento metri dalla Vacca, sul Passo, si può scegliere se tenere la sinistra e procedere sul sentiero storico che consentirà di arrivare al Lago della Vacca dall’alto, con un panorama su tutta la conca oppure scegliere la più comoda e un po’ più breve deviazione a destra che porta sotto lo sbarramento della diga, a pochi metri dalla casa dei guardiani della diga e del sovrastante, visibile, Rifugio Tita Secchi. Quest’ultimo è suggestivamente posizionato a pochi metri dal lago con alle spalle un massiccio, austero Cornone di Blumone che si erge fino a 2843 m. mostrando su questo lato pareti ripide sfida per gli appassionati arrampicatori a cui offre vie di ogni difficoltà.Il rifugio è di costruzione recente, ha iniziato la sua attività nel 1992, ed è attrezzato per dare alcuni confort senza stravolgere la vocazione iniziale. - Ph: @momacomunicazione
Al Rifugio Tita Secchi lungo il sentiero di Cadino

Da Pontida a Sotto il Monte attraverso il Monte Canto

A cavallo del monte dei frati

Via del Preziosissimo Sangue

Un grande itinerario di fede e di cultura. I luoghi dei Gonzaga, le opere di Leon Battista Alberti.
La Via Matildica del Volto Santo

Rosasco

Rosasco si trova nella Lomellina occidentale, non lontano dalla riva sinistra del fiume Sesia. A Rosasco è la coltura del riso ad imprimere le sue connotazioni di peculiarità ad un mondo rurale che ha scritto e continua a scrivere la storia di questo territorio. La geografia ambientale è quindi formata da una sola area morfologica, secondo un tracciato nel quale la distesa delle campagne è piatta e uniforme, ed è fitta la rete delle rogge e dei canali che delimitano i campi e le diverse proprietà. I vantaggi derivati da una razionale distribuzione ed utilizzazione delle acque si accompagnano a quelli forniti dalle nuove macchine, sempre più efficienti e sofisticate: l'agricoltore ha raggiunto, grazie all'intensa meccanizzazione e modernizzazione derlle sue aziende, livelli produttivi eccellenti, acquisendo attitudini imprenditoriali e tecnologiche tali da consentirgli un'alta capacità competitiva. Il ricambio generazionale ha visto da parte dei giovani coltivatori diretti un più accentuato orientamento verso l'innovazione e la sperimentazione.  La "Cerchiara" E' un vasto bacino acquitrinoso, che si estende per circa 20 ettari nel territorio di Rosasco e in misura altrettanto consistente in quello dell'attigua località di Celpenchio, da cui la garzaia prende il nome. La garzaia rappresenta uno splendido e incontaminato parco naturalistico, nel quale, accanto alla rigogliosa varietà del patrimonio vegetativo, numerrose specie di uccelli e di altri animali possono godere di un habitat straordinario e di sicura ospitalità. Il Castello di Rosasco, costruito verso la fine del IX secolo, è una delle più antiche struitture castrensi della Lomellina: un vasto sistema fortificato, ancora oggi riconoscibile nella sua perimetrazione, sebbene abbia conosciuto nel 1630, ad opera dei Francesi capitanati dal Crequi, una grave devastazione, a cui fece seguito la totale distruzione della cinta muraria per opera delle milizie sabaude nel 1643. Restano oggi visibili, e molto ben conservate, grazie ad una diligente opera di restauro, soltanto due torri (una terza si trova inglobata nel complesso della Chiesa Parrocchiale): l'imponente "Torre del Consegno" (così chiamata per l'uso, in periodo napoleonico, di farvi convocare i giovani del luogo destinati all'arruolamento), che si affaccia sul lato Est della piazza del Paese, e l'alto e snello Torrione ghibellino, dall'nsolita pianta rettangolare, che si innalza per ben 25 metri nella zona più elevata del Centro storico. Ambedue le torri sono visitabili e pienamente agibili: in particolare, dalla sommità della seconda si può godere di una vista suggestiva di Rosasco e del territorio circostante. All'interno dell'antico perimetro del Castello, affacciata sull'ampio spiazzo del sagrato, che declina dolcemente con il suo acciottolato verso il centro della piazza del Paese, si erge la mole della Chiesa Parrocchiale, edificata nel 1496 sulle fondamenta della primitiva Cappella di Corte. L'edificio, a pianta rettangolare con due cappelle laterali, ingloba nel lato Sud-Est una delle torri medioevali collegate alla struttura del Castello; all'interno gli spazi sono scanditi da una doppia fila di possenti pilastri cilindrici in mattoni a vista, che imprimono all'ambiente una sensazione di forza e di assorta severità. Tra le numerose opere d'arte conservate all'interno spicca alla parete di destra uno splendido olio su tavola di Bernardino Lanino (fine XVI secolo); degno di menzione è anche un pregevole Crocifisso ligneo coevo e, in sacrestia, un affresco di epoca anteriore, di notevole qualità. L'intero edificio è stato restaurato e messo in sicurezza con una serie di appropriati interventi conservativi tra il 1986 e il 2005. E' dedicato a Santa Maria e al patrono di Rosasco, San Valentino. La Chiesa di San GiuseppeSullo stesso sagrato si affaccia anche la Chiesa di San Giuseppe, costruita nel corso del XVII secolo; è caratterizzata da un'unica navata con presbiterio e abside semicircolare, e da un alto campanile. Apparteneva alla "Confraternita di San Giuseppe", attiva fino al 1870. Ha subito nel corso degli anni vari rimaneggiamenti, che tuttavia non le hanno sottratto quel fascino discreto che la fa così diversa dalla prospiciente Chiesa Parrocchiale.