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I nuclei storici di Parzanica

Parzanica sorge a 750 m s.l.m. sulla sponda ovest del Sebino e conserva l’assetto rurale di epoca medievale: solo nel 1957 fu costruita la strada di collegamento (SP 78) con i paesi circostanti. La costruzione del borgo si deve ai Fenaroli – residenti a Tavernola Bergamasca dal XIII secolo – per il controllo della vicina Valle d’Adrara; durante le violente lotte di fazione, nel 1380 i guelfi di Giovanni Fermo di Adrara incendiarono Parzanica, motivo per cui oggi si conservano pochi resti di epoca medievale. Il nome (dal gentilizio Precius + suffisso –anicus/a) denota antiche origini, anche se le prime testimonianze risalgono al XIII secolo: il borgo, articolato in due contrade – guelfa e ghibellina – si sviluppa su un pianoro in affaccio al lago. Lungo la via principale si affaccia la torre del XIV secolo (via Santella 4), costruita in grossi blocchi di calcare e alta 9 m: questo edificio serviva per l’avvistamento, ma forse costituiva una difesa avanzata del castello, che sorgeva sullo sperone roccioso nella soprastante la località Pagà (poi distrutto nel 1428 dai Visconti). Presso la torre si trovano strutture antiche in pietra, oggi restaurate; in via Pasà 6 si conserva un portale archivoltato trecentesco, con stemma stilizzato nella chiave dell’arco. All’estremità occidentale del borgo (in località Cedrina) si possono vedere altri edifici antichi, cui si accede da portale a tutto sesto in pietra calcarea del XVI secolo. Le frazioni di Parzanica hanno origini antiche: Acquaiolo è a mezza costa e conserva alcune abitazioni in pietra di epoca medievale, tra cui l’edificio in via Mulattiera 29 cui si accede da un archivolto con stemma nella chiave dell’arco; nel cortile, sulla destra, si trova una casa su due livelli con ingressi archivoltati del Trecento. Portirone costituiva, invece, l’antico approdo di Parzanica al lago: è un piccolo agglomerato di case di pescatori, oggi ristrutturate, allo sbocco della Valle sospesa dei Foppi.   Federica Matteoni
nucleo storico parzanica

Il nucleo storico di Sarnico

Sarnico, posta sulla sponda settentrionale della zona in cui il lago si stringe fino a ridiventare fiume Oglio, domina il basso Sebino. Questa delicata area fu oggetto di continua attenzione da parte degli abitanti del lago che regolarono le acque per le attività di pesca, per l’irrigazione della pianura e per il trasporto delle merci attraverso l’Oglio prima e la roggia Fusia poi. All’organizzazione della pesca con le nasse si lega il documento più antico su Sarnico: nell’861 la sua piscaria era donata dall’imperatore Ludovico II al monastero di Santa Giulia di Brescia. Per la posizione strategica al confine con il territorio bresciano, durante il Medioevo a Sarnico si insediarono famiglie feudali di primo piano nel contesto lombardo. A queste, in particolare al conte di Bergamo Giselberto IV, si deve la donazione di Santa Maria di Nigrignano al monastero cluniacense di San Paolo d’Argon nel 1081, con un vasto patrimonio. San Paolo d’Argon avrebbe poi ampliato ulteriormente i suoi possedimenti e nel 1122 la corte di Sarnico comprendeva tre cappelle. I diritti di San Paolo d’Argon passarono poi ai Martinengo e ai conti di Calepio che esercitarono per secoli il controllo su Sarnico e la val Calepio. Il centro venne quindi coinvolto nel XII secolo nelle lunghe lotte che opposero Brescia e Bergamo per il controllo del territorio sebino. Nel Medioevo Sarnico assunse una configurazione con il centro chiuso entro mura con tre porte e dominato dal castello. Delle antiche difese rimangono alcune porzioni di torri e diverse tracce dell’antica recinzione muraria sull’esterno di alcune case. Il cuore antico della cittadina è un groviglio di vicoli e di sottopassaggi, di anguste piazzette, di palazzetti con logge e porticati, di portali con stemmi gentilizi. Tutta la parte antica, situata su una sorta di naturale terrapieno con vista a lago, ruota attorno alla chiesa di San Paolo (ora quattrocentesca ma di origini più antiche) presso la quale si può scorgere una feritoia appartenente all’antico castello. Alle vicende medievali va ricondotta anche la costruzione nel XII-XIII secolo della rocca Zucchelli, che dominava da nord l’abitato e che sorgeva in località Molere: del fortilizio, distrutto e ricostruito più volte, sono ancora visibili i resti in corrispondenza della grande croce sulla cima dell’altura. Dopo la pace di Lodi (1454), Sarnico passò definitivamente sotto il dominio veneziano e la nuova stagione di pace venne interrotta solo per l’attacco e la distruzione del castello (1521) ad opera dei Lanzichenecchi durante la guerra contro Carlo V. Grazie alla nuova stabilità e al favore dei Veneziani, Sarnico consolidò la sua vocazione di centro mercantile. Particolare rilievo assunsero le cave di arenaria, la tipica pietra grigia detta, per l’appunto, di Sarnico che conobbe un ampio impiego nell’architettura civile e religiosa non solo sebina. Fino alla chiusura questi cantieri ospitavano alcune centinaia di cavatori. La cittadina si sviluppò intorno alla piazza sul porto, mentre il cuore religioso – la chiesa di San Martino – era al margine settentrionale dell’abitato: oggi si presenta nella ricostruzione settecentesca che mantenne però parte delle strutture antiche, visibili nelle murature laterali esterne e nella prima cappella sinistra. Nel 1796 Sarnico divenne parte della napoleonica Repubblica Cisalpina: fu sede di pretura (palazzo di angolo tra via Albricci e via Piccinelli) ed ebbe una gendarmeria (nell’ex palazzo Gervasoni, ora Biblioteca e Pinacoteca “G. Bellini”). Nel 1817 fu, quindi, costruito un ponte di legno che collegava stabilmente Sarnico con la provincia bresciana (il ponte in ferro fu posizionato nel 1889). Nella prima metà dell’800 iniziò anche la navigazione lacuale con i battelli, furono migliorati i collegamenti stradali e sistemato il porto e il fronte lago, ma Sarnico veniva ancora descritta come un villaggio con un piccolo territorio assai fertile di ulivi, vigne e gelsi. Nel Novecento la cittadina subisce una nuova trasformazione, legata all’ulteriore sviluppo economico e alla presenza di una famiglia di primo piano dell’imprenditoria lombarda: grazie ai capolavori di Giuseppe Sommaruga per la famiglia Faccanoni, e per l’emulazione che suscitano nella borghesia locale, Sarnico si riveste delle sinuose forme Liberty. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, una serie di nuove realtà industriali ha condotto a un accelerato e massiccio sviluppo urbanistico, accompagnato da interventi per la fruizione turistica della città e del suo fronte lago, come il lungolago. L’impianto urbanistico di Sarnico non è di facile lettura. Tuttavia la visione del paese per chi proviene dalla parte bresciana del Sebino permette di intuire un primo nucleo di piazze e di edifici di epoca ottocentesca e novecentesca ritmati da portici e facciate con lunghe balconate. In corrispondenza dell’attraversamento tra le due coste si aprono le piccole vie del centro storico che salgono verso la parte più antica del borgo. Alla destra del ponte si snoda invece la parte più moderna dell’abitato, che comprende anche i cantieri nautici e i lidi. Qui si segnala inoltre la presenza dell’antico insediamento cluniacense di Santa Maria di Negrignano, trasformato in struttura industriale e recentemente recuperato come spazio per iniziative culturali. Dal piccolo centro urbano è possibile, inoltre, avventurarsi alla scoperta delle piccole frazioni di Fosio e Castione, originariamente appartenenti al comune di Villongo Sant’Alessandro, ma congiunte a Sarnico nel 1929 e oramai collegate al centro senza soluzione di continuità. In località Fosio Fosio, vi era un forno fusorio e il primo mercato cittadino e vi sorge la Cappella dei morti della peste del 1630; il piccolo centro di Castione, da cui si può salire alla rocchetta Zucchelli, conserva la chiesa dedicata ai santi Nazaro e Rocco (con affreschi del XII e del XV e XVI secolo).   Monica Ibsen
il nucleo storico di Sarnico

Il Castello e la chiesa di San Rocco

Il castello si trova sul monte sovrastante l’abitato di Provaglio d’Iseo in località “Piano delle viti”; la sua posizione strategica è facilmente raggiungibile percorrendo i tracciati storici che salgono dalle contrade di Provaglio d’Iseo, Zurane e Gresine, oppure da Iseo, risalendo il monte e oltrepassando il santuario cinquecentesco della Madonna del Corno. Il Catastico Bresciano di Giovanni Da Lezze (1609-1610) descrive il luogo come un castello diroccato. Nel 1680 Padre Fulgenzio Rinaldi, storico delle memorie iseane, scrive che il castello di Provaglio fu bruciato e distrutto sul principio del ‘400 da Pandolfo Malatesta, signore di Brescia dal 1404 al 1421, durante le lotte contro i Visconti e i loro alleati Oldofredi. Nel 1567, negli atti della visita pastorale del vescovo Bollani, fu registrata la chiesa di Sant’Ambrogio in castro, governata dal Comune e priva di beni; essendo diroccata veniva ordinato di ridurla a santella votiva. Nel 1792 fu edificata la nuova parrocchiale di Provaglio, dedicata ai santi Pietro e Paolo, sul sito di una chiesa più antica intitolata a san Rocco; i provagliesi, volendo onorare il santo protettore dalle epidemie, decisero di dedicargli la santella che emergeva dalle rovine del vetusto castello. La chiesa di San Rocco venne inaugurata il 16 agosto 1868. La struttura della chiesetta, ad aula unica, presenta anomalie sia nella pianta, sia nello spessore di alcune murature che confermano l’ipotesi di una costruzione su antiche preesistenze. L’area fu abbandonata fino al 1999, quando iniziò l’opera di recupero con indagini archeologiche che consentirono di mettere in luce le varie fasi costruttive e di musealizzare il sito. Dalla Preistoria provengono alcuni frammenti ceramici databili all’età del Bronzo (II–I millennio a.C.), mentre una serie di buche di palo e focolari potrebbe indicare l’esistenza di un insediamento di capanne o una palizzata difensiva di epoca altomedievale (VI-X secolo). Su queste preesistenze si insediarono le strutture più antiche dell’impianto fortificato, testimonianza del fenomeno dell’incastellamento che durante il XI-XII secolo interessò gran parte dell’Italia settentrionale.  Si tratta di muri di notevole spessore, larghi circa 1,10 m, in ciottoli e pietra calcarea legati in malta, che recingevano la parte più elevata del colle per una lunghezza di circa 110 m e una larghezza media di circa 30 m. A questa fase potrebbe risalire la costruzione della chiesa di Sant’Ambrogio, i cui ultimi restauri hanno messo in luce un’abside semicircolare in pietra e due monofore centinate di chiara impronta romanica. La fase costruttiva di maggiore rilievo si sviluppò tra XIII e XIV secolo quando la rocca assunse la fisionomia del castello ricetto, struttura di deposito dei beni essenziali della popolazione e di rifugio in caso di pericolo. Alla fortificazione si accede da una porta-torre difesa da un piccolo fossato, superato da un ponte levatoio, e all’estremità opposta da una stretta postierla facilmente difendibile. L’impianto castellano si articola in due zone: presso l’ingresso, in posizione più elevata, si trova un primo recinto fortificato, a una quota inferiore, su un’area più ampia, si estende una seconda cerchia di mura all’interno della quale si trovavano le caneve (cantine). La prima cinta racchiudeva un palazzetto con ampi ambienti intonacati e la robusta torre del mastio; vi era una corte dotata di pozzo del quale si è conservata la grande cisterna sottostante rivestita in cocciopesto. Durante il Seicento il luogo divenne un piccolo lazzaretto e la pozza d’acqua forniva sostentamento e refrigerio ai malati di peste. L’area a quota più bassa accoglieva il ricetto vero e proprio con le numerose caneve addossate alle cortine murarie settentrionale e meridionale; la suddivisione interna riflette il regime multiproprietario di questo tipo di castello frazionato tra i signori locali, gli Oldofredi e i capifamiglia della vicinia (comune rurale).   Angelo Valsecchi
Il castello e la chiesa di San Rocco - ph:visitlakeiseo.info

Vetrine storiche, memoria del saper fare lombardo

Antichi negozi di cappelli e di fiori, pasticcerie, trattorie e cooperative operaie, liuterie ma anche macellerie e tipografie: scopriamo i luoghi della tradizione artigiana lombarda
Vetrine storiche, memoria del saper fare lombardo

Il nucleo storico di Riva di Solto

Riva di Solto, lungo la sponda occidentale del lago d’Iseo, è uno dei borghi di epoca medievale che ha meglio conservato nel centro storico l’organizzazione urbana antica. Il nome e le vicende del borgo sono collegati a Solto Collina, che sorge a pochi chilometri sull’altura alle spalle del paese: Riva si configura, fin dalle origini, come porto fortificato per Solto, dove dall’XI secolo si stabilì la famiglia omonima. In quello stesso periodo il vescovo di Bergamo acquisì diverse proprietà feudali nelle valli bergamasche, creando dei collegamenti commerciali con la pianura: anche il lago d’Iseo fu coinvolto in questo sistema e fu creata la rotta Sarnico-Riva di Solto, sfruttando la potenza commerciale dei due porti. Ciò favorì il trasferimento di alcuni signori nel porto di Riva, promuovendo la fortificazione di un paese prima occupato da pescatori. Con l’istituzione del Comune a Bergamo furono esautorate le famiglie di investitura episcopale (tra cui i Solto) per cedere i diritti alle famiglie cittadine come i Foresti che si stabilirono a Castro, Solto e Riva di Solto. Riva di Solto, lungo la sponda occidentale del lago d’Iseo, è uno dei borghi di epoca medievale che ha meglio conservato nel centro storico l’organizzazione urbana antica. Il nome e le vicende del borgo sono collegati a Solto Collina, che sorge a pochi chilometri sull’altura alle spalle del paese: Riva si configura, fin dalle origini, come porto fortificato per Solto, dove dall’XI secolo si stabilì la famiglia omonima. In quello stesso periodo il vescovo di Bergamo acquisì diverse proprietà feudali nelle valli bergamasche, creando dei collegamenti commerciali con la pianura: anche il lago d’Iseo fu coinvolto in questo sistema e fu creata la rotta Sarnico-Riva di Solto, sfruttando la potenza commerciale dei due porti. Ciò favorì il trasferimento di alcuni signori nel porto di Riva, promuovendo la fortificazione di un paese prima occupato da pescatori. Con l’istituzione del Comune a Bergamo furono esautorate le famiglie di investitura episcopale (tra cui i Solto) per cedere i diritti alle famiglie cittadine come i Foresti che si stabilirono a Castro, Solto e Riva di Solto. Le prime citazioni del borgo risalgono al 1258, quando il paese era legato ai Codeferri, famiglia appartenente a un ramo dei Solto che nel 1222 cedette, assieme ai Colombini e agli Oldrati, parte del castello di Solto; in seguito i Codeferri, di fede ghibellina, si stabilirono a Riva. Nelle fonti del 1310 si trova il riferimento Vila Ripe Solti, riconducibile a un centro organizzato e negli statuti di Bergamo (1331 e 1353) Riva faceva parte del comune di Solto Collina. All’inizio del Quattrocento Pandolfo Malatesta concesse privilegi in favore di persone di parte guelfa di Castro, Solto e Riva, Predore, Tavernola, Vigolo, Cambianica e Parzanica, e nel 1410 separò fiscalmente e amministrativamente Solto e Riva da Lovere, sottoponendole al vicario di Gandino. Con l’occupazione dei Veneziani del 1428, furono demolite le strutture fortificate come descritto dalle fonti: “In Riperia lacus Isei sunt aliqua fortilicia modici valoris in terra de Soldo et de Ripa dicte Riperie”. Nel 1449 Solto e Riva tornarono sotto il controllo di Bergamo, assieme a Castro ancora legata ai Foresti; pochi anni dopo i tre paesi diedero vita alla Comunità di Solto e Uniti, con libertà di navigazione sul lago d’Iseo concessa dai Veneziani. Il centro storico di Riva si è conservato con lo stesso assetto di epoca medievale: tranne alcune abitazioni costruite nello spazio un tempo occupato dai campi, il paese moderno si è sviluppato quasi integralmente sulla collina alle spalle del centro originario. Fin dall’inizio la costruzione del borgo tenne conto degli elementi naturali presenti nel territorio: l’abitato, infatti, si sviluppò in una striscia di terra delimitata a nord dalla collina, a sud dal lago e alle estremità da due torrenti, a est quello della Val Terlera e a ovest quello di San Rocco. Il paese è attraversato da sette vicoli perpendicolari al lago: questi percorsi sono inclinati perché ricalcano il letto degli antichi torrenti, poi incanalati, che facevano defluire l’acqua proveniente dalla montagna verso il bacino lacustre. Lungo questi corsi d’acqua furono costruite, a partire dal XII secolo, le case in pietra ancora oggi in ottimo stato di conservazione e adibite ad abitazioni o ad attività commerciali. Al margine orientale dell’abitato sorge la chiesa parrocchiale di San Nicola, fondata forse nell’XI secolo, mentre oltre il limite occidentale agli inizi del ‘500 fu edificato l’oratorio votivo di San Rocco.   Federica Matteoni
Nucleo storico Riva di Solto - ph: visitlakeiseo

I nuclei storici di Marone

Il comune di Marone, situato a metà della sponda orientale presso la foce dei torrenti Opol e Bagnadore, si compone di varie frazioni: Ariolo, Collepiano, Ponzano, Pregasso, Vesto e Vello. Il territorio era già abitato nel periodo romano, come testimonia la presenza di una villa ancora in uso nel III-IV secolo d.C. a sud del paese, in località “Cò de Ela” (Capo della Villa). Nel periodo medievale gli insediamenti più significativi si localizzarono sulle aree di versante, più difendibili da attacchi esterni e più salubri; si svilupparono i centri di Vesto, Pregasso e Collepiano, situati oggi come allora sulla strada Valeriana o Valligiana, via di comunicazione montana che, attraverso la riviera sebina, conduceva alla Valle Camonica. Probabilmente la presenza benedettina e l’azione della pieve di Sale Marasino favorirono in questi secoli lo sviluppo agricolo. Secondo la tradizione locale, nel X secolo Alberto da Pregas otteneva da Ottone I l’investitura del Castello di Pregasso – sull’altura isolata che domina Marone – e del relativo feudo. La chiesa di San Pietro, all’interno della fortificazione, e in relazione con l’allora centro principale di Pregasso, svolse funzioni parrocchiali fino al 1578. All’approssimarsi del XIV secolo la famiglia signorile degli Oldofredi di Iseo, fedelissima alleata dei Visconti, ebbe in Marone proprietà di case e terreni. Con l’affermarsi di Venezia, nella seconda metà del ‘400, Marone beneficiò di un relativo benessere economico e di una stabilità politica che consentirono, attraverso la vicinia (comune rurale), un’oculata gestione del territorio. È di questo periodo la decadenza di Vesto e di Pregasso in favore di Marone che si modellerà attorno al porto e alla grande chiesa parrocchiale dedicata a san Martino di Tours e all’Immacolata Concezione. Caduta la Repubblica di Venezia, in età napoleonica Marone aderì alla Repubblica Bresciana. L’economia del periodo ebbe il suo fulcro nella produzione dei feltri e delle coperte di lana. Nel 1828, sotto l’Impero austroungarico, iniziò la costruzione della strada costiera che conduce a Pisogne, importante località e porta d’accesso alla Valle Camonica; l’opera venne terminata nel 1850 e favorì grandemente le comunicazioni e il trasporto di cose e persone. Con l’unità d’Italia (1861) l’economia continuò a prosperare soprattutto grazie alla produzione di coperte di lana e manufatti di seta. Tra le due guerre si insediò a Marone un’imponente struttura industriale, ancora oggi operante, “La dolomite” di Attilio Franchi (1919) che modificò radicalmente il paesaggio urbano. Oggi la comunità, come altre del Sebino, sta concentrando la sua attività nella coltivazione dell’olivo producendo un olio che ha raggiunto alti livelli di qualità e che permette a Marone di aderire all’Associazione Internazionale delle “città dell’olio”. La visita al paese inizia dal sagrato della chiesa parrocchiale direttamente affacciata su un gradevole lungolago. Alle spalle della chiesa parte l’itinerario pedonale “della valle” che risale la costa del monte attraverso una ripida quanto suggestiva stradina, fatta in acciottolato e con dei gradini di pietra al centro. Il percorso transita per il piccolo nucleo abitato di Piazze dove, nei pressi della ferrovia, si nota la muratura di una casa-torre di epoca bassomedievale. Lungo il viottolo discende un’importante sorgente di origine carsica: la Festola che faceva funzionare le pale dei mulini (ben 28 ruote di mulino nel ’400); successivamente, con l’avvento dell’industrializzazione, le ruote servirono per azionare i macchinari per la lavorazione della lana e della seta. La sorgente è attualmente in parte incanalata. La salita si conclude a Ponzano, posto sulla strada che collega Marone con Collepiano e Zone. Il borgo conserva numerosi segni del passato. Alcune vie hanno il passaggio sotto il vòlto delle abitazioni come avviene per Vesto. Vi è poi il complesso del XV secolo con torre che si eleva nella parte mediana del centro storico e che probabilmente faceva parte di un antico cortivo (dimora fortificata, recinta da un muro, con torre a proteggere l’ingresso).   Angelo Valsecchi
i nuclei storici di marone

Gravedona

Benvenuti a Gravedona uno dei centri storico-religiosi più importanti dell'Alto Lario.
Lungolago e Centro di Gravedona

Il nucleo storico di Iseo

Tra i paesi rivieraschi del lago, Iseo è il centro storico che ha meglio conservato l’organizzazione urbana medievale che, solo parzialmente modificata nei secoli XV-XVIII, è pervenuta quasi intatta fino all’ultimo scorcio dell’Ottocento. L’abitato storico si allarga a semicerchio irregolare tra le pendici del monte e la riva del lago, sull’ampio cono di deiezione che il torrente Cortelo ha formato con la sedimentazione dei materiali trasportati dalla corrente. Si ipotizza che l’agglomerato urbano si sia ampliato nel tempo a partire da tre nuclei funzionalmente differenziati: il castello sul colle, il porto-mercato a lago e l’area della pieve a nord. Un unico centro si configurò in seguito con la costruzione della cerchia muraria a inizio Trecento. L’esistenza in età romana di un vicus è documentata dal rinvenimento, nella parte alta del dosso del castello, di murature e di pavimentazioni, anche a mosaico (I secolo d.C.), appartenenti a domus o ville. Sono assegnabili all’età romana anche i tratti di acquedotto rinvenuti in via Bonardi e nel bosco posto sotto la grande grotta detta “Bus del Quai” a nord del paese. In epoca altomedievale Iseo cresce in prosperità configurandosi come il centro più importante dell’area sebina. La prima citazione del toponimo Hisegies compare in un diploma imperiale di Lotario I del 837 nel quale vengono confermate al monastero di Santa Giulia di Brescia le sue proprietà e le corti. La presenza in Iseo di un castello è attestata nel Polittico di Santa Giulia, elenco delle proprietà del potente monastero bresciano, datato tra fine IX e inizi X secolo. Nella registrazione compare la curte Iseis, la quale, oltre ad una ricca dotazione di beni, possedeva una vigna in “castello”. Tale indicazione segnala l’esistenza di una delle strutture difensive più antiche del territorio bresciano. Al periodo altomedievale risalgono anche la fondazione della chiesa dedicata al protomartire Stefano, posta di fianco al castello e riedificata nelle forme attuali nel 1665 con la nuova intitolazione alla Madonna della Neve, e le numerose sepolture che si distribuivano vicino alle strade di transito verso la Val Trompia e la Valle Camonica. Il ritrovamento più consistente si è avuto in località Breda, dove sono state portate alla luce undici sepolture, orientate est-ovest, con strutture “alla cappuccina” e in cassa di pietra di forma rettangolare o antropoide. Il piccolo cimitero, datato al VI-VII secolo, è ancora oggi visibile presso il parcheggio posto a lato di via Martiri della Libertà vicino al passaggio a livello. A partire dall’XI-XII secolo Iseo emerge come centro economico e strategico di prima grandezza per il controllo degli scambi e dei transiti fra il Bresciano, la Valle Camonica e la sponda bergamasca. L’esistenza di un mercato pubblico, documentato già dal 1 settembre dell’anno 1000, era connessa alle merci che transitavano attraverso il porto, sul quale il monastero di San Salvatore-Santa Giulia deteneva alcuni diritti. Nell’area settentrionale era ubicata la pieve di Sant’Andrea che la tradizione vuole fondata dal santo vescovo Vigilio nel V secolo. Attorno al sagrato si raccolgono la chiesa plebana, la chiesa di San Giovanni, sorta sul sito dell’antico battistero, e a nord l’oratorio di San Silvestro, cappella vescovile divenuta poi sede della Disciplina della santissima Croce. Iseo fu circondato da diverse cerchie di mura: la più antica cingeva probabilmente solo la collina sulla quale sorgeva il castello e la chiesa di Santo Stefano. Successivamente furono realizzati altri due ampliamenti prima di giungere all’inizio del XIV secolo quando fu costruita la cinta muraria più ampia che andava a comprendere anche l’area della pieve. Il perimetro delle mura urbane trecentesche è ancora oggi rintracciabile per buona parte inglobato nelle murature degli edifici. All’interno del paese si accedeva attraverso tre porte (demolite negli anni 1844-46): la porta del Campo a sud verso Rovato e Clusane, la porta delle Mirolte, rivolta a ovest sul lato del monte, e la porta del Porciolo sulla strada che si avviava in direzione della riviera sebina e della Valle Camonica. Lungo il perimetro della cerchia vi erano le torri di linea che avevano lo scopo di non lasciare lunghi tratti della cinta poco difendibili. Esempi di torri si possono vedere in via Cerca e a lato di viale Repubblica, dove si erge la torre del Sambuco con stemma degli Scaligeri scolpito sul concio di chiave del portale di accesso. Il castello, fulcro difensivo dell’abitato, rappresenta uno degli esempi meglio conservati di architettura militare basso-medievale della provincia. Il perimetro esterno della fortificazione conserva l’apparato di cortine e torri angolari di notevole imponenza e integrità. Tra XII e XIV secolo il paese fu coinvolto nelle guerre con il Comune di Brescia e nelle dispute fra impero e papato vivendo momenti drammatici, come l’assedio e il saccheggio avvenuti il 28 luglio 1161 da parte dell’esercito di Federico Barbarossa. Iseo conservò comunque un livello di ricchezza elevato tale da consentire la realizzazione di edifici religiosi di grande qualità (pieve di Sant’Andrea e chiesa di San Silvestro) e la diffusione di un’edilizia civile in pietra che ancora oggi si può riscontrare nelle contrade del Sombrico e del Campo. Nel contempo emersero vari esponenti della nobiltà locale tra i quali la famiglia più rappresentativa e potente fu quella ghibellina dei Da Iseo/Oldofredi che, alleata con la famiglia Federici della Valle Camonica, mantenne per vari secoli un controllo politico ed economico sia del paese che di larga parte del territorio sebino e franciacortino. Nel 1454 con la pace di Lodi, Venezia estese in modo stabile i suoi possedimenti ai territori bresciano e bergamasco, che avrebbe mantenuto per circa tre secoli e mezzo. A Iseo si rinnovarono gli edifici, soprattutto nella parte centrale dell’odierna piazza Garibaldi, e si conquistò nuovo terreno edificabile sottraendolo al lago. Gli anni tra il 1820 e il 1860 furono caratterizzati da una forte espansione economica: filande, concerie e opifici erano localizzati sulla sponda del lago per usufruire dell’acqua necessaria alle lavorazioni manifatturiere e per la facilità di trasporto delle merci attraverso chiatte. Altra fonte di ricchezza per Iseo fu il porto, che venne potenziato, e il mercato che si svolgeva due volte alla settimana. Sul lato ovest di piazza Garibaldi fu costruito nel 1833, su progetto dell’architetto Rodolfo Vantini, il Palazzo dei Grani che comportò la demolizione di case antiche costituite da fondaci e botteghe. Il nuovo palazzo ospitava la borsa del grano fino a quando (1952), divenuto sede del Municipio, fu ingrandito demolendo la cinquecentesca chiesa di San Rocco che sorgeva all’angolo con piazza Statuto. Negli stessi anni Rodolfo Vantini ristrutturò completamente anche l’interno della pieve di Sant’Andrea conferendole l’aspetto neoclassico attuale. A fine Ottocento fu costruita la linea ferroviaria Brescia-Iseo che venne collegata con il porto attraverso la demolizione delle case medievali della contrada del Campo. Dal secondo dopoguerra Iseo riprese la centralità economica nell’ambito del Basso Sebino, soprattutto grazie alla riscoperta della sua vocazione turistica. Punto di partenza per la visita della cittadina è piazza Garibaldi nella quale confluiscono spontaneamente tutte le direttrici d’ingresso all’abitato. Al centro della piazza si trova il monumento, scolpito da Pietro Bordini e inaugurato nel 1883, dedicato a Giuseppe Garibaldi nel quale il condottiero per la prima volta non è raffigurato a cavallo. Dalla piazza poi ci si può muovere verso nord, attraverso l’interessante e ben conservato quartiere medievale del Sombrico giungendo all’area sacra della pieve di Sant’Andrea; verso est si percorre Via Mirolte con meta il castello, verso sud ci si inoltra nella contrada del Campo, un tempo sede di filande e di opifici.   Angelo Valsecchi
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Il nucleo storico di Pisogne

Il centro abitato di Pisogne deve il proprio sviluppo principalmente all’istituzione di un importante mercato, incentrato sulla piazza e sul porto. La posizione in testa alla sponda bresciana del lago e la conseguente possibilità di organizzare un facile accesso alla via d’acqua rappresentata dal Sebino fecero sì che Pisogne, nonostante la natura difficile di un luogo stretto fra le paludi della foce dell’Oglio, potesse diventare il naturale terminale mercantile della Valle Camonica. Fra le ipotesi sull’origine del nome, la più convincente è forse quella suggerita da Guerrini, secondo la quale Pisogne deriverebbe da -oneis, nome locale che indica l’albero dell’òntano. Si può aggiungere che la radice pis- deriva con ogni probabilità da post (così come pos- e pus-, presenti con una certa frequenza nella toponomastica). Il nome indicherebbe così una località situata dopo gli ontani, con riferimento quindi a un bosco di tale specie che doveva trovarsi nel piano a nord del lago. Nonostante alcuni sporadici ritrovamenti archeologici di epoche precedenti, il centro sembra assumere importanza nel Medioevo. I primi documenti noti riguardano diritti di decima detenuti dall’episcopato veronese nel IX secolo e, successivamente, alcune proprietà del monastero bresciano di San Faustino. Probabilmente all'XI secolo risale la pieve, isolata a nord dell'abitato La documentazione storica diventa significativa a partire dal Duecento, grazie all’egemonia vescovile sul territorio e alla conseguente produzione di carte, conservate oggi nell’archivio della Curia bresciana. Si ha notizia di contrasti fra il vescovo e il comune di Pisogne già nel 1195, risolti dieci anni più tardi con la cessione alla comunità dei terreni oltre l’Oglio. Fra i documenti spicca per la quantità di informazioni il designamento dei beni vescovili del 1299, che offre un quadro dettagliato dei possedimenti e delle prerogative spettanti al vescovo sulle terre di Pisogne. Proprietà e diritti erano certamente di origine ben più antica e venne messo in atto in quel periodo, così come nelle altre pievi camune, un tentativo per ribadirli, evidentemente perché molti fattori avevano cominciato a metterli in discussione. Lo stesso villaggio fortificato di Pisogne era stato preso d’assalto solo una decina di anni prima dai ghibellini camuni, che rivendicavano l’autonomia della Valle dal comune cittadino. Il comune di Brescia aveva per questo episodio messo al bando diversi esponenti della fazione. L’esame del documento ha consentito di restituire il volto di Pisogne e di comprenderne meglio la struttura. Nel 1299 Pisogne appare come un castello, un abitato protetto da una cinta muraria dotata di due porte, con un’ulteriore fortificazione interna (il dongione) e un nucleo formato da diversi edifici che, per quanto semidistrutto all’atto della rilevazione, doveva aver costituito in precedenza il centro amministrativo della curia vescovile. All’interno delle mura era posta in posizione centrale la piazza del mercato. A fianco della piazza, la torre nel 1299 risulta in costruzione e avrebbe sostituito, anche come simbolo, i palazzi vescovili danneggiati dagli eventi bellici. La piazza divideva di fatto l’abitato in due parti: verso nord, lungo l’attuale via San Marco, si trovava un borgo fino alla porta dell’Ospedale; verso sud si sviluppava invece una villa. I due termini fanno riferimento a tipi di strutture insediative dalle precise caratteristiche. Il riferimento a un borgo in un documento medievale indica un abitato sviluppatosi con l’accostamento di case le une alle altre su entrambi i lati di una via centrale, di solito all’esterno di una cinta muraria e generatosi a partire da una porta urbana. In un secondo momento poteva poi essere incluso nella cerchia da nuove mura più ampie. Per contro, la villa è un abitato sparso, formato da edifici non necessariamente adiacenti, ma dotati di corti, orti e broli, anche in questo caso in origine generalmente non fortificato. Nel caso di Pisogne l’identificazione di un borgo già incluso al 1299 nella cinta muraria e a nord della piazza indica probabilmente che attorno ad essa doveva essere sorto nelle epoche precedenti il primo nucleo abitato, probabilmente già con una limitata fortificazione. In questo caso il borgo si sarebbe sviluppato lungo la direttrice della Valle Camonica, certamente a quell’epoca la via di terra più importante per Pisogne. Al culmine del borgo nel 1299 si trovava la porta verso la Valle, detta dell’Ospedale per la presenza poco oltre di un ricovero per viandanti. In età veneta (dal XV secolo), con ogni probabilità per la presenza dell’immancabile leone, assumerà il nome di Porta di San Marco, dando conseguentemente il nome alla via verso la piazza. Della porta non rimane traccia. Lungo la direttrice verso la valle sarebbe sorta nel Quattrocento la chiesa di Santa Maria della Neve, celebre per il ciclo del Romanino. L’espansione verso sud è verosimilmente più tarda: la villa appare come un’estensione dell’abitato pianificata, basata su una strada parallela al lago (la via Torrazzo) da cui scendono perpendicolarmente alla riva diversi assi minori. All’interno di questa griglia di strade cominciarono nel corso del Duecento a insediarsi alcune abitazioni, andando a occupare i lotti liberi, con un’edificazione inizialmente più rada rispetto a quella del borgo. Si riconosce un primo tracciato delle mura che doveva attestarsi all’incirca all’altezza della Via di Mezzo, come testimoniano i resti della Porta del Pozzo, ancora visibili lungo l’odierna via Torrazzo. A questa cinta faceva riferimento il fossato vecchio, così definito nel documento del 1299. Le nuove mura si estesero invece verso sud, andando a comprendere altre aree per le nuove abitazioni. La nuova porta venne aperta questa volta verso est, in un luogo chiamato lo Stagnadello, da cui il nome di Porta di Stagnagis (è ancora esistente e nota come Porta dei Monti). Il nome fa pensare che anche questa nuova parte dovesse essere protetta da un fossato o che perlomeno si fosse accostata ad aree naturalmente paludose. Lo sviluppo dell’abitato di Pisogne dei secoli successivi si concentrerà soprattutto in questa zona, mediante la saturazione dello spazio disponibile. Si renderà anzi necessario un nuovo ampliamento con la costruzione della contrada di Capovilla, con limite segnato dalla porta settecentesca ancora visibile. Al centro, la piazza costituiva l’elemento peculiare di Pisogne. In realtà dal documento risulta una suddivisione fra una piazza del mercato vera e propria, attestata sulla riva del lago, e una piazza più interna, definita come piazza del Comune. Le due piazze corrispondono allo spazio attuale compreso fra la torre del Vescovo e la chiesa parrocchiale: l’attuale piazza Umberto I è il frutto di un ampliamento che comportò l’avanzamento della linea di costa. Ancora sulle mappe catastali ottocentesche le piazze appaiono di forma allungata, sviluppandosi dal lago in profondità verso l’entroterra. È da notare tuttavia che le cortine di edifici, nel corso del tempo e in particolare a partire dal ‘400, si protesero verso lo spazio libero, grazie all’adozione dei portici: in questo modo si ricavò spazio ai piani superiori, ma al piano della piazza venne preservato l’uso per il mercato, verosimilmente per disposizione delle autorità comunitarie. La piazza in origine era chiusa da edifici residenziali o commerciali anche a est, e costituiva quindi uno spazio delimitato su tre lati da botteghe e spazi per il mercato. In questo settore è documentata nel Seicento una piccola chiesa dedicata a san Rocco. Questo assetto venne però rotto dalla costruzione, a cavallo fra XVIII e XIX secolo, della nuova chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, che comportò la demolizione della cortina orientale e lo sfondamento delle mura. L’intervento ha cambiato completamente la percezione dello spazio, che ora ha come fondale la facciata progettata attorno al 1769 dall’architetto bresciano Antonio Marchetti.   Alberto Bianchi  
Nucleo storico Pisogne - ph: visitlakeiseo

I Rifugi

La Valmalenco è la più estesa delle valli laterali della Valtellina: quote variabili fra i 500 e i 4000 metri, una corona di cime che si snoda costantemente al di sopra dei 3000 m, culminando ai 4050 m del Pizzo Bernina, orizzonti alpini che abbracciano tutte le fasce vegetative, innumerevoli angoli suggestivi con laghetti, torrenti, cascate.Si aggiungano un’adeguata rete stradale, servizi pubblici efficienti, strutture ricettive attrezzate ed accoglienti in valle e in quota una trama di sentieri ben segnalata.  

Castello di Mirabello

Il Castello di Mirabello è una tappa imperdibile per chi desidera scoprire la ricca storia e le bellezze architettoniche del territorio. A pochi chilometri dal centro città, questo antico maniero è un luogo carico di fascino e memorie, che affonda le sue radici nel Medioevo. Le origini e la storia Edificato nel XIV secolo, il castello fu voluto dai Visconti, signori di Milano, come residenza di caccia e punto di controllo strategico nelle campagne circostanti. La sua storia è strettamente legata alla Battaglia di Pavia del 1525, uno degli eventi più significativi della storia europea. Durante lo scontro tra le truppe imperiali di Carlo V e l'esercito francese di Francesco I, il castello fu uno dei luoghi chiave: si dice che il quartier generale imperiale fosse proprio nelle sue vicinanze. Il Castello di Mirabello è un esempio di architettura signorile medievale. Sebbene alcune sue parti siano state modificate nel corso dei secoli, la struttura conserva dettagli che evocano il passato, come le mura in mattoni rossi e le ampie finestre gotiche. La posizione all’interno del Parco della Vernavola, un’antica riserva di caccia dei Visconti, lo rende ancora più suggestivo. Il Castello non è attualmente aperto al pubblico Dal Sito Lombardia Beni Culturali: È assai probabile che il suo impianto originario fosse quadrangolare, con cortile interno e circostante fossato esterno e con ponte levatoio in corrispondenza dell'ingresso. Ma molte parti significative sono andate perdute. Gli attuali resti del castello consistono in un fabbricato di due piani, in mattoni, utilizzato come abitazione e munito, al primo piano della facciata rivolta a nord, di una interessante balconata pensile sostenuta da arcate poggianti su mensole di pietra sagomate, che ricorda quella del cortile della Rocchetta nel castello di Milano ed è anche assai simile al balcone perimetrale della torre del castello di Vigevano.Del muro di cinta che circondava e proteggeva il parco per uno sviluppo di circa venticinque chilometri, non resta oggi più traccia. Si conservano invece ancora parzialmente due delle nove porte fortificate che si aprivano nella suddetta cinta e che erano munite di ponte levatoio: si tratta della porta Pescarina, in comune di San Genesio, lungo la strada Vigentina e di quella in località Torre del Mangano, in comune di Certosa di Pavia. Notizie storiche Era, in origine, un piccolo castello, probabilmente fatto innalzare dai Visconti nel Trecento e forse successivamente riadattato in epoca sforzesca. Venne in gran parte demolito nel 1857, così che oggi se ne conserva solo un'ala. Era direttamente collegato al castello di Pavia mediante una strada rettilinea, chiamata "corso" e tuttora individuabile nel tracciato dell'attuale strada che dalla città porta a Mirabello. Ubicato all'interno del grande "parco visconteo" che si estendeva dal castello di Pavia fino alla Certosa, faceva parte integrante del grande complesso (parco, certosa, interventi cittadini) creato dai Visconti in quella ch'era la "seconda capitale" del loro dominio. Svolgeva soprattutto funzioni di luogo per lo svago e per la caccia e al tempo stesso di residenza del "capitano del parco". Oggi il castello in fase di restauro, è utilizzato per eventi e culturali, ma rimane un punto di riferimento storico per la città di Pavia. Il Parco della Vernavola che lo circonda è una meta amata da famiglie, sportivi e appassionati di natura, ideale per passeggiate e pic-nic. S trova in Località Mirabello, nella frazione omonima a nord di Pavia ed è facilmente raggiungibile in auto o in bicicletta dal centro di Pavia. Photo: FAI Fondo Ambiente Italiano

Il nucleo storico di Lovere

La visione di Lovere come borgo che si affaccia sul lago con la celebre Palazzata è frutto delle trasformazioni ottocentesche della città: per comprenderne la complessa e millenaria vicenda storica è necessario capovolgere il punto di vista e guardare l’abitato dalla collina. L’abitato di Lovere trae origine da un primo nucleo che sorgeva sul Dos del Castello (noto anche come Colle del Lazzaretto), un rilievo gessoso oggi scomparso in seguito al suo sfruttamento come cava tra il XIX e il XX secolo, che occupava l’area dell’attuale piazzale Bonomelli. Questo sito vide un primo insediamento nel Neolitico Antico (VI millennio a.C.), ma si consolidò tra il tardo Neolitico e la prima età del Rame (a metà del IV millennio) sviluppandosi sino alla metà del III millennio. Si trattava di un importante centro dedito alla lavorazione dei metalli e ai commerci, essendo Lovere facilmente raggiungibile navigando sul lago; l’area ai piedi del colle, verso est, venne occupata da una necropoli che si è poi sviluppata sino al I secolo a.C., testimoniando la continuità della frequentazione. Rimangono tracce archeologiche di altri abitati antichi, sul Dos Pitigla verso Castro e sul Dos del Ranzinel nel territorio di Costa Volpino al confine con Lovere, mentre le indagini recenti hanno escluso un’origine preromana per il cosiddetto Castelliere. All’inizio del I secolo d.C., con l’occupazione romana della Valle Camonica, probabilmente l’abitato di Dos del Castello si trasferì, o si ampliò, sul pianoro tra il Dos e il lago. In epoca romana Lovere era parte della Res Publica Camunnorum e inserita nel pagus dipendente da Rogno. Dell’abitato romano restano attualmente poche tracce: due are trovate sul colle di San Maurizio, forse pertinenti a un luogo di culto dedicato a Minerva (ora al Museo Archeologico di Bergamo) e la Necropoli. Di questa sono riemerse testimonianze lungo la via Valeriana che collegava Bergamo con Cividate Camuno, in particolare nella contrada del Bottazzuolo (attuale via Bertolotti) e in via Filippo Martinoli (aree degli attuali Ospedale e Oratorio). La necropoli – che conobbe una significativa espansione – rimase in uso almeno sino al V-VI secolo d.C. Nell’epoca tardoantica, col decadere dei commerci e il diffondersi di un’economia di auto sussistenza, Lovere, stretta tra lago e montagna e priva di grandi risorse agricole, subì un periodo di decadenza; il centro amministrativo principale rimase Rogno dove fu fondata la pieve di Santo Stefano. Nel periodo carolingio la Valle Camonica fu ceduta ai monaci di Tours, i quali edificarono diverse cappelle a servizio degli abitati. A Lovere furono probabilmente fondate due cappelle dipendenti dalla pieve di Rogno: quella di San Martino, tuttora esistente, ai margini meridionali della necropoli di via Martinoli, e quella di San Maurizio, nei pressi del confine tra la Valle Camonica e il bergamasco, sul sito dell’attuale convento dei Cappuccini. Il pievatico di Rogno pervenne nel X secolo al vescovo di Brescia che probabilmente tra l’XI e il XII secolo diede in feudo Lovere e Corti a un ramo della famiglia Mozzo, già feudataria del vescovo di Bergamo in Sovere; costoro poi assunsero il nome di Celeri. Nel XII secolo i loro diritti su alcuni villaggi della Costa (Ceratello e Qualino) e in Volpino furono oggetto di un contenzioso con i Brusati, loro parenti e feudatari del vescovo di Brescia in Volpino. La contesa degenerò in un conflitto che coinvolse i comuni di Brescia e Bergamo per il predominio nell’area. Lovere fu certamente coinvolta tanto che nel XII secolo fu annessa politicamente al territorio bergamasco pur restando nella diocesi di Brescia. Nel frattempo l’abitato si era evoluto e a sud dell’attuale piazza Vittorio Emanuele II doveva essere stato edificato un castello, cioè una parte dell’abitato fortificato con fossati e palizzate di cui restano tracce nelle denominazioni delle contrade di Castello Vecchio e della Tomella (“tonimen”). Nel 1222 il comune di Bergamo, al fine di sancire definitivamente il suo controllo sull’abitato, si fece cedere dei diritti su questa fortificazione. La posizione strategica di Lovere per il controllo militare e commerciale di ben tre vallate e del lago determinò una forte crescita economica e demografica, che probabilmente nel ’200 impose la realizzazione di nuove, più estese difese che includevano, tra l’altro, la nuova chiesa parrocchiale; demoliti il castello sul dosso omonimo, le mura e le porte, di questo intervento oggi è possibile osservare la torre detta degli Alghisi che difendeva l’accesso all’abitato da ovest. Lo sviluppo delle attività metallurgiche, laniere e dei commerci portò alla formazione di nuovi borghi, fuori dalle fortificazioni, che nella seconda metà del ‘300, furono anch’essi difesi: di queste strutture difensive sono ancor oggi ben conservati e osservabili il fortilizio in località Reme, chiamato Dargone e oggi Torricella, con una torre tonda centrale, e la base della torre del porto, visibile in vicolo del Porto. La nuova cerchia comprendeva le contrade del Porto, con l’edificio di rappresentanza della famiglia Celeri denominato torre Soca, del Bottazzuolo e il quartiere artigianale laniero di Moline. In quest’epoca sono inoltre testimoniate attività produttive all’esterno delle fortificazioni in contrada Foxio, nei pressi di Castro, dove il torrente Tinazzo si gettava nel lago. L’ulteriore sviluppo delle attività artigianali e commerciali legate alla produzione dei panni di lana portò nel corso del ’400 e del ‘500 a un nuovo ampliamento urbanistico a est. Qui sorse un nuovo borgo e, a partire dal 1473, fu avviata l’edificazione di una grandiosa chiesa intitolata a Santa Maria in Valvendra, con l’attiguo convento affidato ai Francescani. Le risorse accumulate nelle attività economiche, nonostante una crescente crisi nel ‘600, consentirono alle famiglie più agiate di realizzare splendidi edifici come palazzo Bazzini. Nella prima metà del Settecento, con la crisi definitiva del settore del lanificio, la popolazione diminuisce e molti opifici e abitazioni sono abbandonati. Ma già alla metà del secolo nella contrada Foxio, ai confini tra Lovere e Castro fu impiantata una fonderia di cannoni che a fine secolo divenne una fabbrica di falci. La nuova attività industriale metallurgica conobbe una crescita notevole, attirando a Lovere artigiani e operai e al loro seguito nuovi commerci. Grazie all’impegno di Giovanni Andrea Gregorini la crescita delle attività metallurgiche divenne inarrestabile. Gli edifici e l’abitato furono adeguati alle nuove esigenze residenziali dei ceti operai e impiegatizi, ma solo all’inizio del ’900 riprese il processo di crescita urbana che divenne impetuoso nel secondo dopoguerra. Nel primo quarto dell’Ottocento, la radicale modifica del sistema di collegamento viario tra Bergamo e la Valle Camonica portò a tracciare una nuova strada che, invece di attraversare il centro storico, passava lungo la riva del lago. La principale conseguenza di questo intervento fu la definizione di un nuovo impianto urbano articolato su tre piazze: all’antico centro amministrativo (attuale piazza Vittorio Emanuele II) e alla piazza di Moline (piazza Garibaldi) si aggiunse la piazza del Porto, sede del mercato (attuale piazza XIII Martiri). Nell’ultimo quarto del secolo qui furono innalzati i monumenti ai protagonisti del Risorgimento – Vittorio Emanuele II, Garibaldi e i Caduti di tutte le guerre – opera di Daniele Capitanio e Giacomo Sozzi. A Sud-Ovest, ai margini della nuova via di comunicazione, tra il 1821 e il 1826 fu edificato il palazzo dell’Accademia Tadini; lungo lo stesso asse viario si aggiunsero, tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 una serie di imponenti residenze private in stile eclettico che ancora caratterizzano l’affaccio sul lungolago. L’antico centro fu interessato a partire dagli stessi anni da una intensa attività di rinnovamento con la selciatura delle strade, l’allineamento delle facciate e il rinnovamento dei prospetti, arricchiti da ferri battuti, che hanno consegnato a Lovere quella garbata veste edilizia ottocentesca che tuttora la caratterizza e convive con le più antiche preesistenze.   Francesco Macario  
nucleo Lovere