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San Giorgio e il drago

Un viaggio nel tempo sui treni storici in Lombardia

Locomotive a vapore, littorine, elettrotreni, vecchie carrozze Centoporte: salite a bordo dei treni d’epoca per un tour indimenticabile nella bellezza del paesaggio lombardo
Un viaggio nel tempo sui treni storici in Lombardia  - Ferrovia Basso Sebino - Foto Banfi archivio fbs fti

Miniera di Foghera (BG) e dintorni

Partiamo senz’altro dall’Ecomuseo delle Miniere di Gorno, il quale nasce in primo luogo con l’intento di rinsaldare il legame della comunità locale con le proprie radici, la propria storia e le proprie tradizioni.   Tale obiettivo si sta attuando attraverso interventi di ricerca, salvaguardia e valorizzazione della cultura e del territorio.  Il suo Ecomuseo è un museo del tempo e dello spazio, del tempo in quanto le conoscenze e le esperienze del passato vissuto dalla comunità sono valorizzate nel presente con una prospettiva verso il futuro e le nuove generazioni, dello spazio perché privilegia il linguaggio visivo diretto degli oggetti fisici e delle immagini. Evidenziati nel loro contesto originario. All’entrata del territorio comunale, tra le località Centrale ed il santuario del S.S. Crocifisso, eccoci davanti un monumento ricco di significati, il principale riconoscimento al minatore ed alla “taissina” (cernitrice di minerale), figure che con il loro duro lavoro hanno segnato la storia del territorio, caratterizzando la comunità gornese. Il monumento assume un particolare significato dopo il riconoscimento regionale dell’Ecomuseo delle miniere di Gorno.  Faremo un bel tour quindi girando le varie frazioni di Gorno e Oneta per conoscere l’attività peculiare della comunità di Gorno, che ha contribuito a conformare il paesaggio stesso, minerario che è sempre stato profondamente legato a quello rurale, agli alpeggi e al governo del bosco: i minatori fuori dalla galleria accudivano le bestie, producevano formaggio per la famiglia, “andavano” per legna e per erbe, si rivolgevano per ogni necessità spirituale e materiale ai santi della tradizione. Proprio per indagare e valorizzare questo ricco patrimonio culturale e paesaggistico, si è scelto di intrecciare temi che solo apparentemente sembrano disgiunti ma che sono riferiti a un medesimo ambito, quello dell’ interazione fra l’uomo, il lavoro, la montagna e la sua spiritualità. Il paese di Gorno è costituito da contrade, una volta collegate tra loro da vecchie mulattiere ed oggi invece da strade carrozzabili. La frazione Villassio, posta a 710 metri s.l.m. è il capoluogo; le altre contrade sono: Erdeno, Riso, Cavagnoli, Calchera, Peroli Alti e Bassi, San Giovanni, Sant’Antonio, Campello. Oltre alle contrade, diverse altre località lo compongono, senza contare le molte case sparse poste sulle pendici del monte Grem.Accattivante poter assaporare questo luogo in ogni suo scorcio. Si prosegue con un altra affascinante tappa ci porta ad immergerci in uno scenario indimenticabile, partendo dalla Fontana Sels, angolo caratteristico di Oneta, possiamo raggiungere il bellissimo Santuario della Madonna del Frassino, teatro di un miracolo avvenuto, secondo la tradizione, ad una giovane fanciulla cieca e sofferente, sedeva presso un frassino mentre custodiva le sue pecore, pregando e invocando l'aiuto della Madonna, quando le comparve una signora che le guarì gli occhi chiedendole di far edificare una chiesa a Lei dedicata. Proseguendo infine potremo addentrarci in una altra antica Miniera Polveriera alla scoperta del suggestivo mondo dei minatori. Un percorso ricco di attrezzature e macchinari storici, nel quale è stato allestito un suggestivo arche museo che permette di conoscere la storia delle miniere già attive in epoca romana. 

Teodolinda, il vino e le vigne scomparse

“Avremmo gran desiderio di ricevere dalla sua mano una tazza di vino, come in avvenire dovrà fare per noi”. Con queste parole Autari, bello e giovane re dei Longobardi, chiede di conoscere la sua futura sposa, principessa di “delicata bellezza”.  Ha inizio così la storia di Teodolinda, sin dal principio suggellata dal vino.  Che la Brianza fosse da tempi antichissimi terra di viticoltura lo testimonia la definizione di “arbustum gallicum” data al modo di coltivare la vite, che i Romani scoprirono qui, nell’allora Gallia Cisalpina. Sostenuta da piante vive, con i tralci come festoni da una pianta all’altra, la vite animava il paesaggio brianzolo, colorandolo ora di verde, ora di rosso, ora d’oro col passare dei mesi. Come sempre avviene, i miti si fondono alle origini con la realtà e se è vero che Teodolinda è, a buon diritto, considerata la mitica fondatrice di Monza non meraviglia il pullulare di leggende che la collegano alla tradizione del vino in queste terre. Fu lei a salvarne la produzione vinicola quando, pare a sua insaputa, i suoi consiglieri vietarono di bere vino, mangiare uva e persino coltivare la vite per favorire l’amara cervogia, la birra tanto amata dal popolo longobardo.  Con una coppa di vino, però, la giovane vedova (Autari era, ahimè, morto in modo misterioso), rivelò la sua scelta di Agilulfo, duca di Torino, come suo sposo e nuovo re dei Longobardi e, allo stesso tempo, la preferenza per il vino, acclamata dal popolo della Brianza. Si narra anche che fu proprio grazie ad una botte, così enorme da essere trainata da sei coppie di buoi, che Agilulfo poté vincere la sfida lanciata dalla stessa regina che avrebbe sposato colui che le avesse portato la botte più grande piena di vino buono. Alla fine dell’Ottocento la fillossera distrusse i vigneti della Brianza che non furono più reimpiantati ma perché non farci guidare oggi dal filo rosso del buon vino e tornare tra le vigne scomparse? Dopo aver ammirato le storie di Teodolinda, immortalata nel Duomo di Monza mentre offre vino in una tazza che, leggenda vuole, possiamo ancora ammirare nel suo Museo, ci dirigiamo verso nord seguendo la via principale per giungere là dove l’Arciduca Ferdinando aveva acquistato una vasta vigna per costruire la sua casa di campagna, oggi Villa Reale.  Proseguendo all’interno del parco, lungo l’antica strada per Vedano si incontra la cascina San Fedele, in cima ad una lieve altura un tempo terrazzata di filari d’uva e più avanti la collinetta di Vedano, dove si produceva il frisell, vinello bianco e frizzante, cantato in milanese dal poeta Carlo Porta. Qui gli Asburgo festeggiavano la vendemmia. Arriviamo quindi alla Villa Verri di Biassono, dimora del conte Carlo, giovane illuminista che sul finire del Settecento si era dedicato al miglioramento della produzione della vite. Oggi ospita un piccolo museo etnografico, da visitare se si vuole tornare all’atmosfera semplice della vita dei contadini che coltivavano i vigneti. Finita, quindi, la passeggiata non resta che rinfrancarsi con un risotto alla monzese (in cui il vino rosso fa ben la sua parte) e un buon bicchiere. Testo a cura di DEBORA LO CONTE, guida abilitata ConfGuide-GITEC  Se questo racconto ti è piaciuto, CLICCA QUI per scoprire le sue varie proposte d'itinerario.
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