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I Quarzi di Selvino

A proposito dei cristalli di Selvino così scriveva lo storico bergamasco Celestino Colleoni nella sua opera del 1617 "Istoria quadruplicata di Bergamo" Tom I,pag 163: " - trovasi in questo monte (Selvino) copia grandissima di bellissimi cristalli della Natura lavorati, con punte di diamanti; dè quali cantò anche il nostro Muzio: "Salvini rarus vasti inter culmina mundiCrystalla emittit lucida montis opex. Non illis, adamas certet se lumine, formaCuspidibus mira, fertilitate parem" (La dispesa sommità dell'ampio monte di Selvino, circondato da cime che svettano nel cielo, emette luminosi cristalli. Per nulla il diamante potrebbe sforzarsi di essere simile a quelli per la luminosità, per la bellezza mirabile delle punte e per la loro abbondanza) Traduzione di Don Valerio Ghilardi STUDI GEOLOGICI I quarzi di Selvino si trovano dispersi all’interno dello straterello di materiale sedimentario (frammenti di rocce, materiale organico, argille) di età quaternaria che ricopre le rocce mesozoiche (Dolomie Principale, 220-210 milioni di anni; Scisti e Calcari marnosi, 210-205 milioni di anni) sulle quali sorge il comune di Selvino (BG). I cristalli di quarzo (formula chimica SiO2) si presentano in esemplari idiomorfi da pochi millimetri a qualche centimetro, generalmente sono ben conservati anche se numerosi sono i cristalli incompleti. Saltuariamente si trovano dei frammenti di qualche centimetro i quali lasciano intuire che il cristallo originario poteva raggiungere anche il decimetro di lunghezza. L’abito è bipiramidato con il prisma centrale che può essere da poco a molto sviluppato, per questo si possono trovare cristalli tozzi (simili a delle gocce di vetro) oppure dei cristalli molto slanciati (simili a bastoncini). La diversa morfologia dei cristalli è una conseguenza delle condizioni chimico-fisiche (temperatura, potenziali chimici, spazio a disposizione) che si sono realizzate durante la crescita del cristallo. In generale, quanto più un cristallo è ben formato e di grandi dimensioni tanto più le condizioni di cristallizzazione si sono mantenute stabili e omogenee per lunghi periodi di tempo (tempo geologico, da centinaia a migliaia di anni). Infrequentemente si ritrovano cristalli compenetrati gli uni negli altri a formare delle tipiche configurazioni a “Y”. Si tratta di cristalli geminati, le cui modalità di crescita risentono di piccole variazioni molto localizzate delle condizioni chimico-fisiche di cristallizzazione. L’assenza di depositi vulcanici nel territorio selvinese scarta l’ipotesi di un’origine vulcanica dei preziosi cristalli, ancorchè nell’immaginario collettivo permanga la leggenda dell’esistenza di apparati vulcanici in zona. Questa leggenda nasce dall’errata interpretazione di quelle forme a imbuto ritrovabili ancora sul territorio di Selvino. Si tratta delle doline, dei veri e proprie “buche” coniche che si generano per progressiva dissoluzione dei substrati rocciosi (carsismo) a componente carbonatica. Questi forme infatti furono anticamente interpretate come vulcani spenti ma il rilevamento geologico della zona ha messo in evidenza la presenza di rocce suscettibili ad attività carsica. L’osservazione di dettaglio delle rocce fornisce gli indizi sul processo che ha generato le cosiddette “stelle diSelvino”. I volumi di roccia dolomitica e calcareo-marnosa sono talora interes sate da una microfratturazione in corrispondenza delle quali compaiono delle vene biancastre (silicizzazione). Questi riempimenti altre volte hanno geometrie meno regolari interessando volumi centimetrici-decimetrici di forma approssimativamente circolare od ovale nei quali si possono distinguere dei cristalli con una grana risolvibile ad occhio nudo. Nei casi più fortunati questi volumi ospitano cristalli di quarzo bipiramidato integri, in associazione con cristalli romboedrici di dolomite e/o calcite. Queste fasi mineralogiche possono essere immerse in una matrice nerastra grafitica che può aver avuto un ruolo fondamentale nel processo di crescita dei cristalli. Non a caso molte “stelle di Selvino” sono nere a causa dell’intrappolamento di questo materiale carbonioso dentro il reticolo cristallino durante la crescita. Dando un’occhiata a più grande scala del substrato roccioso di Selvino, si nota che esso è interessato da sistemi di faglia non più attivi lungo i quali si è avuta dislocazione delle masse rocciose. L’attività tettonica, da ascriversi all’orgenesi alpina, si accompagna a fenomeni di microfratturazione, di mobilizzazione di fluidi caldi (T>200°C) mineralizzanti che possono circolare all’interno delle fascie di roccia brecciata e rilasciare nel tempo le sostanze chimiche disciolte, generando cristallizzazioni. Nel caso dei quarzi di Selvino, fluidi mineralizzanti a chimismo acido per l’elevato contenuto di silice disciolta (SiO2) permearono i volumi rocciosi mesozoici durante le fasi di tettonizzazione alpina, potendo inoltre espletare un’azione corrosiva nei confronti delle rocce calcareo-dolomitiche. Oltre al riempimento di fratture si generarono delle cavità (geodi) dove il ristagnamento di fluidi consentì un lento raffreddamento e una graduale crescita dei cristalli. La genesi delle “stelle di Selvino” è quindi di ambiente idrotermale. Ovviamente i cristalli di quarzo che troviamo dispersi nel terriccio hanno un’età inferiore a quelle delle rocce nelle quali si sono generati. Il loro accumulo nel terreno non è altro che una conseguenza della lenta alterazione, dissoluzione della matrice rocciosa nella quale sono contenuti.
I Quarzi di Selvino

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