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Le salite dei campioni: la Valfurva

Lo spettacolo dei ghiacciai lungo il giro del Confinale e le grandi salite del ciclismo fanno di questa montagna una meta per camminatori e amanti della bici
Le salite dei campioni: la Valfurva

Ponti sul Mincio

Ponti sul Mincio: viaggio tra storia e tradizione

Il Palazzo Comunale

Un simbolo della storia della Città
il Palazzo Comunale visto da Piazza Visconti

Castello Gallarati Scotti

Cozzo fu in epoca romana un'importante stazione per il cambio dei cavalli posta sulla strada imperiale che conduceva verso le Alpi Cozie (da cui deriva il nome della località) ed aveva nel III secolo d.C. la dignità di città municipale cui faceva capo tutto il territorio dell'attuale Lomellina. Con la fine dell'impero romano anche Cozzo conobbe un lungo periodo di decadenza, sino a quando i monaci benedettini di Cluny vi fondarono un'abbazia e iniziarono a bonificare il territorio. Nel medioevo, per la sua posizione in prossimità del corso del Sesia, Cozzo fu dotato di un forte castello, ricostruito dai Milanesi nel 1214 e rifatto nel XV secolo, quando divenne possesso della famiglia Gallarati. Il Castello Gallarati Scotti fu riedificato intorno alla metà del XIV secolo in luogo della precedente costruzione fortificata dell'XI secolo e circondato dai fabbricati dell'antico ricetto. Nel secolo successivo Francesco Sforza conferì il Castello alla famiglia Gallarati, che sopraelevò di un piano l'edificio aggiungendo la merlatura ghibellina e sistemò il torrione d'ingresso con funzione di rivellino. All'interno si conserva il dipinto monocromo di scuola leonardesca raffigurante la celebre "Madonna dell'Umiltà".   Un’interessante nota storica: una delle sale ospita una copia di quello straordinario documento che è la Tabula Peuntingeriana, fondamentale per le contemporanee conoscenze sulla geografia del mondo antico. La Tabula, unica rappresentazione cartografica della rete stradale romana che sia giunta sino ai nostri giorni, colloca Cuttiae, Cozzo, come tappa intermedia tra le località di Lomello e Vercelli.  La rappresentazione grafica di Cuttiae in questa tavola non si limita alla sola didascalia, ma è arricchita da un’icona, raffigurante due edifici affiancati, che si riferisce di norma alle località più importanti in relazione all’antica viabilità (Mediolanum, Milano per esempio è raffigurata con la stessa icona). I dati presenti nelle fonti scritte vengono confermati da quelli offerti dall’archeologia: da Cozzo proviene infatti una colonna miliaria riprodotta al Museo in dimensioni reali di 1,90 m di altezza e 90 cm di circonferenza, rinvenuta nel 1802 a 2 km da Cozzo che riporta il nome dell’imperatore Antonino Pio seguito dal numerale in cifre latine LVIII, che indicava la distanza tra Cuttiae e Mediolanum, identificata come il “caput viae” della strada che attraversava la Lomellina.  La Via Regina è il fil rouge di tutto il racconto del percorso museale allestito all’interno del Castello Gallarati Scotti. I visitatori sono invitati dalle guide del circuito The Original History Walks® che curano l’accoglienza a percorrere le vie del passato, a sovrapporle a quelle del presente per provare ad immaginare insieme un futuro comune più sostenibile.  Il Castello Gallarati Scotti è un museo-laboratorio in continua evoluzione e trasformazione. È sede della Bottega di Leonardo, un team di giovani professionisti, dall'ingegnere idraulico al fisico teorico, dagli esperti di musica e interpretariato alla nutrizionista che, in italiano e in inglese, coinvolgeranno gruppi, scolaresche, famiglie invitandoli a tornare più e più volte per percorrere un tratto di strada insieme. Durante tutto il percorso, arricchito da pannelli esplicativi in italiano e inglese, installazioni digitali di realtà aumentata e artificiale, oculus e altri strumenti interattivi ricorderanno come la progettazione del futuro si basi su una profonda consapevolezza e conoscenza del passato. Si potrà, tra le altre installazioni, interagire con un amministratore-avatar, (l’attore pavese Davide Ferrari) che, alla scrivania da cui per secoli sono state gestite le terre di proprietà del castello e le maestranze che qui hanno lavorato, racconterà la via della giusta amministrazione Lo splendido affresco monocromo della Sala del Re che ricorda lo storico incontro nel 1499 a Cozzo del Re di Francia Luigi XII poi prende  vita e si anima, grazie alla tecnologia della realtà aumentata, davanti agli occhi dei visitatori proprio nel momento dell’arrivo dei due cortei: da una parte Luigi XII, scortato da alabardieri, in compagnia dei cardinali Giorgio d'Amboise, Giuliano Della Rovere e da un altro un personaggio che si pensa fosse Cesare Borgia. Di fronte la padrona di casa, Maria Percivalle Roero, moglie di Pietro Gallarati, con il marito, le damigelle e giovani cavalieri. È una bellissima istantanea d’epoca in cui la politica del confronto ha il sopravvento su qualsiasi conflitto e prova a ricomporre dissidi che sembrerebbero insanabili. Un messaggio di grande attualità. Pietro Gallarati, primo signore di Cozzo, era proprio questo, un grande diplomatico dalla carriera sfolgorante durata per quasi cinquant’anni. Intimo della famiglia ducale, tanto che Galeazzo Maria, il figlio di Francesco, lo chiamerà sempre zio, riconoscendogli un ruolo di guida autorevole ma affettuosa, è consigliere aulico, cioè di corte già nel 1452, gli sono affidati incarichi diplomatici di grande rilevanza e fiducia presso le corti e i potentati italiani e stranieri, a Venezia, Mantova, Napoli, in Francia, a Roma, nel Monferrato. Partecipa a trattative di pace e concorre a stipulare patti di matrimonio che non sono altro che alleanze politiche, come ad esempio quello tra Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Maria Sforza, futuro erede del ducato che vede Leonardo come organizzatore della Festa del Paradiso. Fu proprio Pietro Gallarati a recarsi a Firenze insieme a Cicco Simonetta, allora proprietario del castello di Sartirana, per convincere Leonardo a spostarsi a Milano alla corte degli Sforza ed iniziare tra l’altro quelle mirabili opere di ingegneria idraulica che hanno trasformato il volto di un territorio e permesso di introdurre quella coltura che da ‘spezia’ diviene un alimento di uso sempre più comune: il riso. Sono tante le sorprese e i motivi di meraviglia all’interno del Castello perché il percorso permette più livelli di approfondimento e fruibilità a seconda degli interessi di chi lo visita. Oltre alla ricerca storica e scientifica puntuale che ha visto il contributo fondamentale delle storiche Maria Luisa Chiappa Mauri e Luciana Fantoni, dell’archeologo Nicola Cassone e del geologo Pier Luigi Vercesi insieme ad Andrea Gallarati Scotti e Silvia Passoni, e alla bellezza dei pezzi esposti, tra cui una sala di mappe del territorio magistralmente restaurate, il museo è arricchito da sale immersive, realtà virtuale e applicazioni di realtà aumentata ideate da 4Draw, studio grafico pavese, uno studio geologico di questa terra particolarissima per fonti, fontanili e risorgive, un plastico ne mostrerà anche la formazione ed un grande video seguirà con un drone il corso del Cavo Gallarati Scotti che per trentun chilometri porta le acque dalla Palude di Vinzaglio fino a Cozzo per irrigarne i campi e renderli pronti a dare vita alla coltura del riso, coltura lomellina per eccellenza fino alla creazione di consorzi, come per esempio il Consorzio Est Sesia, e all’applicazione di un nuovo concetto di agricoltore che diventa imprenditore agricolo in grado amministrare e custodire per un bene comune. Spostandosi attraverso l’allestimento curato dall’architetto Maria Paola Gatti dello Studio Torriani-Gatti di Pavia e dall’architetto Antonio Mazzeri si avrà concretamente la sensazione di percorrere una immaginaria strada che mostra l’unica via possibile per conservare e trasmettere l’eredità di cui siamo chiamati ad essere custodi. Il Castello che possiede un ampio ricetto ed un’aula didattica predisposta all’accoglienza di attività per gruppi, scolaresche e famiglie sarà aperto tutto l’anno solo su prenotazione, orari di apertura e contatti sul sito castellogallaratiscotti.it - info@castellogallaratiscotti.it - +39 340 1480301

Il Rogolone

Quercia plurisecolare
Il Rogolone

La colorata piana di Preda Rossa

Tra i luoghi più suggestivi della val Masino c’è sicuramente la piana di Preda Rossa, un altopiano alpino circondato da aguzze pareti rocciose dal tipico colore rossastro e sovrastato dalla maestosa cima del monte Disgrazia di ben 3.678 m. La zona è percorsa da diversi corsi d’acqua che creano due grandi aree paludose poste a poche decine di metri di dislivello l'una dall'altra. Collegando le due piane, i placidi fiumicelli si trasformano in spumeggianti torrenti, per poi confluire nel fiume Duino, il quale si riversa nuovamente calmo nella piana più grande, disegnando delle anse sinuose tra i ciuffi d'erba della torbiera. Ammirare dall’alto il luccichio di questo corso d’acqua, che lentamente attraversa i prati di Preda Rossa è veramente uno spettacolo imperdibile. L’itinerario proposto è percorribile durante tutto l’anno, in inverno è ovviamente richiesto un grado di attenzione maggiore in caso di neve. Il periodo migliore è senza dubbio quello autunnale, da metà ottobre a inizio novembre la piana si accende delle tonalità calde tipiche di questa stagione. I larici gialli e arancioni sulle pendici dei monti, l’erba secca rossastra e le cime rocciose spruzzate di neve creano il contesto perfetto per chi vuole godersi uno spettacolo colorato in montagna. Per raggiungere Preda Rossa bisogna recarsi in auto in Val Masino (SO), fino a raggiungere l’omonimo borgo. Dal paese, svoltando a destra, si imbocca la strada VASP per Sasso Bisolo/Preda Rossa che conduce alla piana. L’accesso è limitato a sole 50 automobili al giorno. Per percorrere la strada è necessario essere muniti di un ticket acquistabile sul sito ufficiale della Val Masino (https://valmasino.travel). La strada è lunga 12 km, tutta asfaltata e abbastanza ben tenuta. Bisogna considerare che il parcheggio è posto a 2000 m di altitudine e a quella quota la temperatura potrebbe essere molto più bassa rispetto a quella del paese. Se si vuole visitare Presa Rossa in autunno/inverno è quindi consigliato utilizzare pneumatici invernali ed avere catene da neve a bordo, in modo da non avere problemi in caso di tratti ghiacciati o nevicate. Per iniziare l’escursione si deve imboccare il sentiero segnalato da segnavia rossi e bianchi, con indicazione per il Rifugio Ponti. Il sentiero proposto non è numerato ma i cartelli sono molto frequenti e chiari. Appena superata la prima curva a sinistra si inizia a intravedere la bellissima cima innevata del monte Disgrazia, che sovrasta l’intera piana e accompagnerà l’escursionista durante tutta la passeggiata. Dopo pochi minuti si giunge ad un ponticello di legno situato in una posizione veramente privilegiata e permette di superare il fiume Diuno per raggiungere l’inizio della prima piana; tutto questo a circa 20 minuti dalla partenza. Qui la vista si apre ad un immenso spiazzo di erba rossa, circondato da una splendida cornice di larici. Al centro della torbiera il fiume scorre lentamente, anche se da questa posizione non è possibile cogliere a pieno la sua bellezza. Il sentiero in questa zona si biforca: i cartelli indicano di proseguire sulla sinistra, mentre sulla destra c'è un secondo tratto molto più largo e pianeggiante. Vista l’estrema semplicità dell’escursione è possibile visitare entrambi i versanti della piana; tuttavia, se si dovesse scegliere, il consiglio è quello di proseguire lungo il sentiero di sinistra, in quanto consentirà poi di raggiungere un punto estremamente panoramico.Si prosegue ora su un sentiero quasi in piano, intervallato ogni tanto da piccoli ponticelli e passerelle in legno che permettono di superare i tratti più paludosi, infatti, seppur l’immensa distesa d’erba sembri un gigantesco prato secco, in realtà l’area nasconde numerose zone fangose o piene d’acqua stagnante. Non è consigliato uscire dalla traccia segnata. Giunti circa a metà della prima piana è ben visibile un cartello che indica sulla sinistra un punto panoramico. Questa leggera deviazione richiede solamente 10 minuti di camminata su un sentiero molto più ripido rispetto a quello percorso fino ad ora. Salendo si guadagnano rapidamente molti metri di dislivello e giunti alla fine del tratto si arriva ad un piccolo balcone di legno con un paio di panchine. Da qua sopra ci si rende maggiormente conto della grandezza dell’altopiano e si riesce finalmente a distinguere nella sua interezza il bellissimo corso del fiume Duino: una morbida pennellata di azzurro turchese che si estende, con ampie curve, su di un tappeto di erba rossa. Probabilmente non si tratta del punto più suggestivo dell’escursione ma, per il piccolo sforzo richiesto, ne vale assolutamente la pena. Una volta scesi si prosegue lungo il sentiero principale, sempre molto pianeggiante e di facilissima percorrenza. Giunti alla fine della zona erbosa il sentiero inizia a salire in maniera abbastanza decisa seguendo il corso del fiume all’interno di un bel bosco.Finalmente l’arancione dei larici, che prima vedevamo solo in lontananza, è a portata di mano e il paesaggio cambia di conseguenza. Lungo tutta la salita l’erba lascia il passo a grosse rocce, il calmo scorrere del fiume si trasforma in un impetuoso torrente ricco di piccole cascatelle e le cime innevate vengono ora nascoste dai rami degli alberi.La salita non è complessa, si tratta infatti solamente di 150 m di dislivello, tuttavia il tratto si trasforma definitivamente in un classico sentiero di montagna con fondo abbastanza sconnesso e ricco di pietre e radici che sporgono. Per i più piccoli o per chi non è abituato, la fine della prima piana potrebbe quindi già essere un buon punto per concludere l’escursione. Per tutti gli altri, invece, il consiglio è quello di fare quest’ultimo sforzo per raggiungere il secondo pianoro di Preda Rossa. Si prosegue nel bosco in discreta pendenza, affrontando diversi tornanti molto stretti e risalendo su numerosi gradoni naturali di roccia. Il ruscello, seppur sempre vicino al sentiero battuto, non invade mai l'area dell'escursione evitando quindi il rischio di zone scivolose. Durante la salita il consiglio è quello di voltarsi continuamente per riuscire a cogliere quegli scorci che riescono a regalare la vista migliore sulla piana appena superata. Lungo il sentiero infatti sono presenti diversi punti panoramici dove la vegetazione si fa un pò più rada e la vista spazia su tutto il tratto appena percorso e sullo scorrere del fiume. La salita richiede circa 30 minuti, ma le diverse pause per ammirare il panorama potrebbero renderla decisamente più lunga.Una volta conclusa l'ascesa il sentiero diviene nuovamente pianeggiante, l’erba torna ad essere presente su tutta l’area, anche se con un colore leggermente più scuro, e le sponde del fiume finalmente divengono facilmente raggiungibili senza il rischio di sprofondare nel fango. La seconda piana è un po’ più piccola della prima, non è percorribile nella sua interezza e i colori tendono a spegnersi un po’. Tuttavia la vista sul Disgrazia e sulle montagne circostanti migliora incredibilmente: sembra quasi di poter superare rapidamente quei ripidi pendii, per poi toccare la neve che ricopre le cime aguzze che circondano l’altopiano. Il consiglio è quello di girare liberamente in tutta quest’area: ci sono vari tratti di sentiero che consentono di raggiungere le sponde delle varie diramazioni dei fiumicelli, un ponticello in legno che permette di attraversare il tratto più largo e ad ogni passo nuovi scorci si aprono sulle montagne circostanti. Inoltre in questa zona l’erba è asciutta e ci sono diversi massi sui quali potersi sedere per mangiare qualcosa. L’escursione termina proprio sulla seconda piana. In zona non ci sono punti di appoggio per poter mangiare e nemmeno delle fontanelle. Il rifugio più vicino è il Ponti, ma in tutto il periodo autunnale ed invernale è chiuso. Per poter fare un picnic bisogna quindi portarsi tutto il necessario nello zaino. La discesa viene percorsa lungo lo stesso tragitto dell’andata. Non ci sono pericoli nemmeno lungo il tratto più ripido, l’unico rischio è quello di volersi fermare ancora, per via di uno scorcio da ammirare, non visto durante la salita. In caso di bambini molto piccoli o non abituati a camminare si consiglia di limitarsi al giro della prima piana, evitando la salita alla seconda e al punto panoramico (1.2 km totali e un dislivello di soli 50 m). Per chi invece ha più dimestichezza nel camminare in montagna, le due salite non saranno affatto un problema e aggiungeranno bellezza all’escursione. - Ph: Stefano Poma
La colorata piana di Preda Rossa

Val di Mello da fiaba

In provincia di Sondrio, proprio alla fine della Val Masino, si trova la fiabesca Val di Mello, diventata riserva naturale dal 2009.   Preserva un equilibrio ambientale non stravolto dal turismo di massa che richiama un visitatore attento e sensibile, partecipe dello spettacolo che qui la natura offre senza risparmiarsi. Uno scenario caratterizzato da torrenti cristallini e spumeggianti, cascate e laghetti, ponticelli in legno, baite in roccia perfettamente conservate e animali al pascolo. Tutto questo visibile e raggiungibile con un’escursione molto semplice e adatta a tutti. Per raggiungere la Val di Mello bisogna seguire le indicazioni per Val Masino, si percorre la strada superando i paesi di Cornolo e Cataeggio per poi giungere al piccolo borgo di San Martino.In paese è possibile lasciare il proprio mezzo di trasporto in uno dei numerosi parcheggi a lato della strada provinciale 9, o svoltando in via Ezio Vanoni e seguire le indicazioni per il parcheggio di terra battuta del campo sportivo. Qui la maggior parte dei posti sono a pagamento e la tariffa è di 7 € per l’intera giornata. Per chi non vuole camminare è a disposizione un servizio di bus navetta, che dal paese porta direttamente nella valle percorrendo il primo tratto di strada asfaltata. In certi periodi l’accesso è inoltre consentito a un numero fisso di automobili, previo acquisto di un pass da 10 €. Per avere maggiori informazioni si deve telefonare all’info point di San Martino o consultare il portale ufficiale della Val Masino. Nei pressi del parcheggio una bacheca mostra il percorso per raggiungere la valle, lungo il tragitto sono presenti numerosi cartelli con indicazioni accurate. Dopo aver parcheggiato si torna indietro seguendo via Ezio Vanoni e, una volta superato un ponte, si svolta immediatamente a destra lungo via Mulini.Lungo la prima curva a sinistra della via, un cartello indica la presenza di un piccolo sentiero sulla destra con indicazione “Val di Mello”.Il sentiero non numerato costeggia il torrente Valle di Mello e in pochi minuti si unisce ad una strada asfaltata (via Val di Mello). L'itinerario assume in diversi tratti le caratteristiche di un normale sentiero di montagna, nonostante ciò la Val di Mello può essere percorsa anche camminando solamente su strade asfaltate e sterrate. Per far ciò basterà attraversare il paese di San Martino ed imboccare via Val di Mello, la strada si estende lungo tutta la valle e permette di visitare tutti i luoghi presenti in questo itinerario.Il consiglio, però, è quello di seguire l’escursione proposta, in quanto i sentieri alternativi presentati vi permetteranno di immergervi maggiormente nel contesto alpino di questa valle, evitando la folla e le auto della strada principale. Dopo aver percorso qualche metro sulla strada, nei pressi di una piazzola di sosta, si svolta a destra salendo su un piccolo ponte che permette di attraversare il torrente. Fermandosi a metà ponte ci si può già fare un’idea della bellezza delle acque di questa valle, alzando lo sguardo invece si scorgono i picchi più alti (molto spesso innevati) che accompagneranno l’escursionista lungo tutto il percorso. La successiva parte del sentiero si sviluppa tra boschi e piccoli prati verdi, affiancando il torrente per lunghi tratti per poi distaccarsi ed entrare nel fitto degli alberi. In quest’area non sarà nemmeno raro incontrare qualche animale al pascolo.Giunti alla fine della prima sezione di bosco c’è la possibilità di deviare a sinistra, attraversare nuovamente il torrente e tornare sulla strada principale ormai divenuta sterrata.La svolta è consigliata, perché in quest’area il torrente si allarga e gli scorci visibili nel mezzo del ponticello in legno che lo attraversa sono molto suggestivi.Lo scrosciare dell’acqua cristallina sotto i piedi, le sponde tappezzate d’erba, il bosco in lontananza e, per concludere, la Punta di Cameraccio (3.026 m) colorata di bianco da una nevicata: impossibile non fermarsi per ammirare questo spettacolo.Superato il torrente si ha accesso a uno dei primi punti di ristoro della valle: il campeggio Ground Jack e la Trattoria Gatto Rosso (siamo a circa 30 minuti dalla partenza). Per chi preferisse non proseguire ulteriormente nella camminata, già questo luogo è perfetto per fermarsi e fare un pic-nic.Da qui, con una deviazione di soli 10/15 minuti, si possono raggiungere le Cascate del Ferro (probabilmente le più belle di tutta la valle). Le imponenti pareti rocciose di queste zone e gli immensi massi posati sui tappeti d’erba ci mostrano chiaramente il perché Val di Mello sia famosa anche per l'arrampicata su roccia e il bouldering.La mulattiera prosegue ora con pendenza molto dolce e in pochi minuti permette di superare il piccolo agglomerato di case appena incontrato. Giunti alla successiva deviazione destrorsa si svolta per avere l’ennesima possibilità di attraversare il torrente (qui un po’ più stretto) lungo un ponticello di legno.Dopo pochi minuti, da compiere in piano all’interno di un boschetto, si iniziano ad intravedere dei riflessi azzurri, ancora pochi passi e si arriva probabilmente nella località più spettacolare dell’intera valle: il Laghetto del Qualido formato nel 2009 dopo una frana, ora rappresenta uno dei punti più iconici dell’intera valle. Le sue acque, a seconda delle stagioni e delle condizioni di luce, si colorano di un verde intenso o di un blu profondo. Per chi se la sente e non è freddoloso c’è anche la possibilità di fare un tuffo.Probabilmente la sponda destra del piccolo specchio d’acqua non è la più spettacolare, ma la parte sinistra verrà percorsa durante il ritorno. Si prosegue lasciandosi alle spalle il lago e giungendo in Località Cà di Carna (ennesimo punto di ristoro di Val di Mello).La cosa che più colpisce è come in questo luogo la valle si apra molto, liberandosi di tutti gli alberi ed estendendosi in un gigantesco prato verde. Oltre alla Punta di Cameraccio da qui si inizia a vedere anche il Ghiacciaio del Monte Disgrazia (3.678m). Oltre l'agglomerato di case chiamato Cà di Carna non è più possibile seguire il torrente lungo il suo versante destro, così, attraversando un ponte in legno, ci si ricongiunge con la strada sterrata sulla sinistra.Qui, dopo pochissimi passi, è possibile scorgere un allargamento del torrente, che va a formare lo specchio d’acqua denominato “Bidet della contessa”. Quest’ultimo è molto celebre per il nome bizzarro, per i suoi colori intensi e per l’enorme masso caduto al suo interno.Dopo un’altra doverosa sosta per fare qualche scatto si prosegue sulla strada sterrata per una decina di minuti fino a raggiungere Cascina Piana, il più grande agglomerato di baite dell’intera valle. In questo spiano gli alberi tornano a farsi radi e la vista viene richiamata dalle numerose casette in pietra e dagli enormi massi sparsi su tutto il prato, che insieme creano un contesto veramente singolare. Girandoci verso l’inizio della valle è inoltre possibile vedere la splendida parete di Cima Calvo: questo è probabilmente il punto migliore per rendersi conto della bellezza delle altissime pareti di roccia che circondano completamente la Val di Mello. Nella piana sono inoltre presenti due ulteriori punti d’appoggio: il Rifugio Mello e il Rifugio Luna Nascente. Se volete fermarvi per cenare questo è il momento giusto: i camini sono accesi, il sole è quasi sceso sotto l’orizzonte e dalle cucine dei due rifugi fuoriesce un profumo veramente invitante.Questa escursione ha il grande vantaggio di non avere una vera e propria fine, ognuno è libero di adattare la camminata alle proprie esigenze, fermarsi in un rifugio e sulle sponde del torrente, per poi tornare indietro lungo il tratto appena percorso.Da Località Cascina Piana si prosegue addentrandosi in un fitto bosco di abeti, qui il sentiero dà la possibilità, come al solito, di rimanere sulla sinistra del torrente o di deviare e raggiungere il versante destro. Anche in questo caso il ponte di legno inserito nel contesto del bosco crea un fantastico scorcio.Con altri 10/15 minuti di marcia si può superare l’Agriturismo Al Camer e giungere all’ultimo gruppo di case: Località Rasica.L’escursione finisce qui, e la via del ritorno ricalca lo stesso tratto fatto durante l’andata. Per poter ammirare in modo diverso alcuni dei luoghi appena visitati è possibile decidere di passare lungo l’altro versante del laghetto del Qualido. Una volta giunti alla Trattoria Gatto Rosso si può decidere di scendere lungo la strada asfaltata (molto più veloce del sentiero) e giungere così direttamente al centro del paese di San Martino (la traccia gps mostra questa possibilità).
Val di Mello da fiaba

Tredici piante sul Monte Angolo

Questo percorso prende il nome da un caratteristico gruppo di 13 faggi che sovrastano la cima del monte Angolo, meta della camminata che inizia in un piccolo e delizioso borgo in provincia di Brescia che si chiama Zone, famoso per essere “Il paese delle Piramidi di erosione”.   Zone si trova a circa settecento metri d’altezza ai piedi del monte Guglielmo, è conosciuta anche per la sua gastronomia con ricette gustose della tradizione a base di funghi e selvaggina locale, è un ottimo punto di partenza per tutti gli escursionisti che vogliono cogliere la bellezza del lago d'Iseo da punti panoramici estremamente accessibili ma non solo. Il centro storico ha antiche case in legno e pietra, alcune delle quali risalenti al XVII secolo e la sua parrocchiale, dedicata a S. Giovanni Battista, ospita un pregevole gruppo scultoreo, in legno dipinto, raffigurante il “Compianto sul Cristo Morto” di Andrea Fantoni. Merita dunque una visita pre o post camminata. Tra le escursioni più famose ci sono sicuramente quella per raggiungere Corna Trentapassi e quella per la cima del monte Guglielmo, esiste però questo terzo sentiero capace di regalare uno scorcio veramente singolare sul lago, su Monte Isola e sulle torbiere del Sebino. Si parte lasciando l'auto in paese. I parcheggi più vicini all'inizio dell'escursione sono quello della chiesa e quello del cimitero. Accanto all'ampio parcheggio gratuito del cimitero sono presenti anche alcune aree picnic, una fontanella e dei bagni pubblici. Si inizia a camminare sull'ampia via lastricata segnata con i cartelli VV (Via Valeriana) in direzione Passo di Zone.Il tratto di Via Valeriana è lungo circa 2 chilometri, per un dislivello di solamente 240 m. La strada si mantiene sempre ben tenuta e molto larga, proprio per questo non sarà difficile imbattersi in qualche veicolo che sta percorrendo la via per raggiungere il passo.Seppur non ci siano cartelli di divieto espliciti è comunque sconsigliato provare a percorrere questa prima parte in auto in quanto non sono presenti parcheggi, se non per qualche piazzola. Inoltre la carreggiata è abbastanza stretta e il fondo non è sempre regolare. Si prosegue quindi in leggera salita seguendo i segnavia VV e dopo poche curve la vista sull’abitato viene rapidamente nascosta da un fitto bosco. Durante tutto l’anno gli alberi di questa zona risultano essere abbastanza anonimi, ma in autunno non sarà raro scorgere qualche punta di rosso o di arancione in mezzo al verde degli abeti. L'estrema semplicità del sentiero e la presenza di automobili non permettono però di sentirsi già veramente in montagna. Giunti a quota 900 m si scorge un edificio tra gli alberi, un paio di panchine e un ampio spiazzo: siamo arrivati al passo. Da qui si svolta a destra, imboccando il sentiero CAI 207. I cartelli non indicano sempre il numero del tratto e, seppur sia veramente difficile sbagliare, ci si può aiutare seguendo le indicazioni per Malga Aguina. Questa parte di sentiero si trasforma in una strada sterrata in mezzo al bosco, molto più in pendenza rispetto alla sezione di via Valeriana appena percorsa.Il bosco si fa via via più fitto, andando a coprire di un folto strato di rami e foglie dai colori vivaci il paesaggio tutt'attorno. Solo in rari punti le fronde degli alberi si aprono un po' per lasciare intravedere meglio dove ci si trova, in questi punti vale assolutamente la pena fermarsi per fare qualche foto. All'inizio del 207 è possibile distinguere chiaramente la bella parete rocciosa di Corna Trentapassi; pochi tornanti oltre, una feritoia tra gli alberi consente invece si ammirare la parte più settentrionale del lago d'Iseo, che si fa subito notare grazie al tono blu intenso delle sue acque. Si prosegue quindi nel bosco per 30 minuti, ammirando il verde intenso della primavera o i bei toni caldi dell’autunno. La maggior parte degli alberi di questo tratto non sono aghiformi e verso metà ottobre la maggior parte delle foglie saranno già cadute, creando una bellissima copertura rossa a bordo strada. Verso quota 1000/1100 m la vegetazione cambia: gli alberi si fanno più radi e compaiono diversi cespugli. Percorrendo un ampissimo tornante sinistrorso ci si porta proprio sopra il paese di Zone (il nostro punto di partenza). La quasi completa assenza di alberi e una panchina posta proprio nel punto migliore permettono di godere di una vista fantastica sui boschi appena percorsi e su tutte le montagne più alte di quest'area. In lontananza una punta di azzurro attira l'occhio: è la parte centrale del lago d'Iseo ed è anche visibile una piccola parte di Monte Isola.È subito evidente che camminando ancora, fino a raggiungere la nostra meta, questa vista non potrà che migliorare esponenzialmente, ma già questo è un luogo veramente perfetto per ammirare il panorama. Dopo una breve sosta sulla panchina, si prosegue ancora girando a sinistra, allontanandosi progressivamente dal punto panoramico e quindi perdendo la vista sul lago. Dopo poche decine di metri ci si ritrova in un paesaggio nuovamente mutato: i boschi hanno ormai lasciato il passo a verdissimi pascoli, qua e là spuntano dei piccoli laghetti artificiali. Non sarà inoltre raro imbattersi in mandrie di mucche, asini e cavalli. Questa zona è veramente perfetta per riposare un po' sdraiandosi sull'erba. Il consiglio però è quello di fare ancora qualche passo fino a raggiungere malga Aguina.In periodo primaverile i prati attorno alla malga vengono ricoperti da un magnifico tappeto bianco di fiori che danzano cullati da un leggero venticello fresco, quasi sempre presente in quest’area così aperta. Lo spettacolo di questa fioritura è unico e prezioso, dura solamente poche settimane, solitamente tra la metà maggio e l’inizio giugno. In giornate particolarmente limpide il paesaggio sarà ulteriormente impreziosito dalla vista sulle Orobie bergamasche (dall'altra parte del lago), che a inizio primavera o a fine autunno presentano qualche chiazza di neve.Non si può fare altro che fermarsi nuovamente. L'aria fresca addolcita dal buon profumo di fiori appena sbocciati riempie i polmoni, nel piccolo laghetto artificiale si sente il gracchiare di qualche rana ed in lontananza si scorge una piccola mandria di mucche al pascolo: si è finalmente in montagna. Si prosegue ora sul sentiero 207, tagliando con forte pendenza in mezzo ai prati e risalendo lungo il versante nord del monte Angolo. La traccia del 207 però si mantiene sempre molto vicina al bosco e non consente di avere una buona vista sul lago, è quindi possibile uscire dal tracciato camminando in mezzo al prato cercando, senza il vincolo del sentiero, gli scorci più belli. Lungo questi prati la vista è molto simile a quella che si poteva ammirare dalla panchina di prima: Zone torna ad essere visibile così come il lago d’Iseo. Ora però è anche possibile girarsi ad Ovest per ammirare tutti i monti bergamaschi che prima erano nascosti dagli alberi.Questo è il tratto più impegnativo e più ripido, ma in poche decine di minuti il terreno torna ad essere molto pianeggiante e si inizia a scorgere un gruppo di alberi proprio sulla punta del monte Angolo. Si prosegue quindi su un tratto pianeggiante fino al raggiungimento di una bacheca, un’area picnic attrezzata e un piccolo laghetto artificiale. Da questa piccola concavità nel terreno, girandosi a destra, si può raggiungere rapidamente la punta del monte Angolo e il gruppo di alberi che la sovrasta.Si prosegue quindi nel prato fino a portarsi nel punto maggiormente sopraelevato della zona, si è così finalmente arrivati alle Tredici piante disposte circolarmente sulla punta del monte e recintate da una staccionata in legno. In inverno troverete i 13 faggi completamente spogli e coperti di neve, in primavera ed estate sarà il verde intenso delle loro foglie e dei prati a farla da protagonista, in autunno invece gli alberi saranno tinti di arancione e l’erba parzialmente coperta da un sottile strato di foglie cadute. Si tratta insomma di un luogo che merita più di una visita, per cercare ogni volta di cogliere una sfaccettatura nuova.Al centro di quest'area sorge un vecchio capanno di caccia, ora dismesso.L'accesso è libero e la zona ora viene sfruttata solamente come area picnic o come luogo dove ammirare il panorama.Il contesto è eccezionale, la vista sul lago d'Iseo è perfetta, in lontananza si scorgono le torbiere, a destra Corna Trentapassi e girandosi ancora ci sono le cime innevate delle Orobie. Il paesaggio non è così diverso da quello visto durante tutta la salita, ma questo luogo si trova proprio all’altezza giusta e nella posizione ideale per ammirare tutti gli elementi che lo circondano. Proseguendo e salendo sul Guglielmo sarebbe comunque possibile vedere il lago d’Iseo, ma gli scorci sarebbero diversi e meno interessanti da un punto di vista fotografico.Un ulteriore punto a favore di questa esatta posizione è che tutta la vegetazione offre un'ottima protezione dal vento freddo proveniente da nord. Quindi non resta altro che stendersi sui prati, mangiare qualcosa e ammirare il panorama. La discesa può essere fatta percorrendo lo stesso tratto dell'andata, l'itinerario descritto però propone di allungare il percorso proseguendo sul sentiero 230, per poi tornare a zone passando dal bosco degli gnomi.
Tredici piante sul Monte Angolo

Itinerario ad anello dalla stazione di Cernusco Merate

Dal parcheggio della stazione di Cernusco Lombardone prendere la ciclopedonabile e, giunti alla palina con segnavia n.2 Butto, proseguire lungo la strada. Sulla sinistra campeggiano i resti del Castello di Cernusco Lombardone. Fondato su una fortificazione romana, visse il suo splendore dal Mille fino al Cinquecento, quando venne convertito a cascina.Il percorso prosegue attraversando la strada per arrivare al parcheggio in località Molinazzo, il cui toponimo è riferito alla presenza di un molino per la macinazione dei cereali. Prendere la direzione indicata dalla palina con segnavia n.1 per Cà Soldato. Il sentiero costeggia il torrente Curone, compiendo un’ampia curva attorno alle falde della collina di Montevecchia. Il percorso si snoda in un bel bosco igrofilo tipico degli ecosistemi lungo i corsi d’acqua con formazioni di salici, ontani, farnie, carpini bianchi, frassini e qualche bel esemplare di platano.La denominazione del torrente Curone pare sia la prova della presenza etrusco-ligure in questo territorio, identica a quella del corso d’acqua che dal monte Ebro (Appennino ligure) confluisce nel Po. Curone deriverebbe dal nome di una tribù, i Curuni, della stessa stirpe dei Vopsi, che stanziandosi avrebbero dato nome alla valle e al torrente.Lungo il percorso è possibile osservare interventi di sistemazione del corso d’acqua con tecniche di ingegneria naturalistica. Giunti ad un trivio, seguire il segnavia n.11 Butto, svoltando a sinistra e attraversando il torrente Curone. Il nome di questa località è Pertevano, il cui toponimo, molto probabilmente, deriva dal milanese “pertega”/“pertica”, antica unità agraria di superficie. Salendo si notano terrazzamenti coltivati a vite, alberi da frutta e ortaggi. Al bivio, prendere il sentiero sulla sinistra che conduce al nucleo abitato fino ad incontrare la strada. Svoltare a sinistra e scendere lungo la strada fino alla frazione Passone, il cui toponimo probabilmente deriva da pason, palo di sostegno per la vite. Una sequenza di numerosi terrazzamenti coltivati a ulivi, alberi da frutta e vite scandisce la verticalità del pendio.In prossimità di un ristorante, prendere a destra il sentiero a gradini che sale verso l’uliveto e percorrere il sentiero acciottolato. In poche altre zone la secolare attività dell’uomo ha modificato il paesaggio come su questo versante della collina. Grazie alla sua esposizione a sud ha permesso la crescita dell’ulivo, della vite e della particolare coltivazione del rosmarino, ancora oggi presente nelle ultime terrazze che salgono fino a Cascina Butto.L’acciottolato termina al parcheggio nei pressi del Municipio di Montevecchia. Cascina Butto è la sede del Parco di Montevecchia e Valle del Curone e dell’annesso Centro visite del Parco, che permette di fruire in modo multimediale gli aspetti geologici, storici, paesaggistici e culturali nonché ovviamente di quelli naturalistici del territorio. Dal parcheggio un sentiero sale per arrivare ad una terrazza naturale, da cui è possibile avere una vista che spazia a 360 gradi.Un tempo sulle balze di Cascina Butto trovavano spazio varie coltivazioni, tra cui ortaggi, cereali e piante da frutta, mentre la viticoltura non ha mai interessato intensamente l'area, a causa della sfavorevole esposizione dei versanti. Ripartendo dal parcheggio di Cascina Butto si risale via Donzelli e poi si scende sulla strada provinciale fino a Cascina Pilastrello, antica dimora contadina, datata al catasto teresiano al 1740.La caratteristiche architettoniche del “Pilastrello”, come il grande loggiato visibile anche dalla strada, costruito come elemento filtro del calore in estate e come riparo dal freddo dell’inverno, potrebbero permettere di attribuire questo cascinale alla tipologia rurale più comune, sviluppata su due piani, con un corpo edilizio aggiunto, dove al piano terra si trovavano le stalle e al piano superiore appunto il loggiato che “ospitava” il fienile. La forma originaria nel nucleo comprendeva solitamente, oltre al rustico, anche l’abitazione del contadino, con ai piani bassi la cucina, dotata del focolare attorno al quale ruotavano tutte le attività domestiche, e ai piani alti le camere da letto.Il toponimo prende il nome dalla Madonna del Pilastrello, che si dice sia apparsa anticamente e miracolosamente in quel luogo appoggiandosi a un piccolo pilastro. Arrivati alla frazione “Oliva”, il cui nome fa riferimento all’antica cascina e alla presenza in passato di coltivazioni di ulivo, una palina indica il segnavia n.9 per Montevecchia Alta. Una ripida mulattiera sale tra i terrazzamenti coltivati a vite e ulivo; era questa, presumibilmente, l’antica via d’accesso dalla pianura alla collina di Montevecchia.Sulla sinistra, posta a metà collina in posizione isolata, la Cascina Canevascia domina la valle. Il suo toponimo è riconducibile a cantina, ma in senso dispregiativo e dà il nome anche alla frazione. La mulattiera sale verso l’alta collina tra muri a secco di ottima fattura. Più avanti il percorso diventa pianeggiante offrendo un bel panorama sui terrazzamenti e i paesi della pianura fino a Milano e gli Appennini.I versanti meridionali della collina di Montevecchia, per la loro esposizione soliva, non hanno mai cessato di essere intensamente sfruttati per uso agricolo. Un sistema articolato e ordinato di terrazzamenti addomestica la verticalità del pendio, dando luogo a uno spettacolare scenario con i tipici ronchi sostenuti dalle murature in pietra a secco. Qui le piane ospitano ancora oggi, nella maggior parte dei casi, filari di vite associate alle piante aromatiche tipiche di Montevecchia: la salvia e il rosmarino.Ai filari di vite si alternavano poi abitualmente rosmarino, ortaggi e piante da frutto per sfruttare al massimo lo scarso spazio disponibile sulle piane e per fornire una vasta gamma di prodotti che garantissero rese e produzioni diversificate.A volte i ronchi venivano identificati nella toponomastica locale anche attraverso l’indicazione delle colture che vi si praticava (Runchet de la pera, Runchet di por).Prima della comparsa del mais, sui terrazzi erano presenti cereali quali miglio e segale (coltivati in piccoli appezzamenti), a cui seguì il frumento.Vertiginose scale in arenaria scendono come arterie a collegare i numerosi terrazzamenti, memoria storica di una vocazione agricola che oggi ancora resiste e che contrasta con la Brianza industriale che si staglia sullo sfondo nella pianura urbanizzata. Al culmine del sentiero si arriva nella piazzetta di Montevecchia Alta con possibilità di ristorarsi.Merita una visita il Santuario Beata Vergine del Carmelo, una delle chiese più suggestive della Brianza per via della posizione in cima al colle, cui si giunge con 180 gradini.Dalla piazzetta si procede sul sentiero n.10 fino all’incrocio con Via Alta Collina, dove si gode del panorama della Dorsale Orobica Lecchese con l’iconica sagoma del Resegone e il gruppo delle Grigne.Da qui la Valle del Curone si rivela in tutta la sua bellezza, facendo mostra del suo paesaggio terrazzato, in particolare dello spettacolare versante della Valle delle Galbusere. All’incrocio con la strada attraversare e svoltare a destra, camminando sul marciapiede fino ad arrivare nei pressi del Cimitero, dove una palina indica il segnavia n. 8 Val Fredda. Il sentiero passa accanto alle mura del Cimitero, inoltrandosi in un bel bosco con una formazione di querce e castagni. All’incrocio con Via Val Fredda, seguire a sinistra le indicazioni della palina con segnavia n. 11 Cà Soldato.Poco più avanti si giunge a Cascina Valfredda, il cui nome è legato alle caratteristiche climatiche della zona. L’edificio oggi è circondato da prati. Qui un tempo vi era una chiesa con un altare dedicato alla Vergine della Neve. La bellissima fontana in pietra adiacente al lavatoio, su cui sono ancora visibili antiche incisioni, è un tipico esempio di riutilizzo di un importante manufatto in epoche successive. La vasca è probabilmente costituita da un sarcofago romano, riutilizzato in epoca medioevale come altare della chiesetta. Dopo aver superato il lavatoio, una palina con indicazioni per Cà Soldato indica di svoltare a sinistra e seguire un sentiero campestre che si inoltra pianeggiante in un bosco misto con prevalenza di castagno, farnia e carpino. Poco prima di attraversare uno degli affluenti del torrente Curone, sono degne di nota alcune maestose querce secolari che delimitano il sentiero.Dopo aver superato un piccolo stagno sulla sinistra, si arriva a Cà del Soldato, adibita a centro Parco ed a sede delle Guardie Ecologiche Volontarie.E’ costituita da un unico edificio che ha conservato le caratteristiche rurali. Nel piccolo museo, aperto la domenica, vengono proposti i diversi ambienti che caratterizzano il territorio del Parco e la fauna presente, oltre agli attrezzi agricoli e della vita contadina utilizzati, un tempo, in questi luoghi.L’origine del nome della cascina, abitata fino al 1987, riporta alla memoria antiche battaglie ed è associato alla fortificazione romana a salvaguardia di una fornace. Di fronte all’edificio, ampi campi terrazzati mantenuti a prato stabile resistono all’avanzare del bosco.Da Cà del Soldato prendere la sterrata che scende e si inoltra nuovamente nel bosco (segnavia n. 11), attraversare il torrente Curone e giunti all’incrocio con la strada, svoltare a destra e seguire il segnavia n.1 Molinazzo. La strada segue la Valle del Curone e a sinistra sorge l’antico insediamento rurale di Fornace Superiore, il cui toponimo fa riferimento a tempi remoti, quando tutto il territorio era interessato da una fornace che, preesistente alla conquista romana, si trasformò poi in un grande complesso, forse il più grande d’Italia transpadana per la produzione di embrici e materiale da costruzione. Il ritrovamento di grandi quantità di manufatti accatastati in ordine sotto il piano terra in località Malnido, prova che i lavori furono troncati repentinamente per cause tuttora sconosciute ma certamente non trascurabili. Mantenersi sempre sulla strada fino ad arrivare alla località Bagaggera. Lo storico Dozio, nelle sue “Notizie di Brivio” (1858) a proposito di Bagaggera scriveva “un gruppo di cinque case coloniche, tristo e solitario, nella valle a nord di Montevecchia, in mezzo a campicelli di terreno ingrato, circondati da paludi e boschi…”.Bagaggera è sede di un'azienda biologica di 25 ettari lavorati a foraggio, pascolo e cereali, e si allevano maiali e capre camosciate. La cascina è parte di un nucleo risalente al Seicento, articolato in numerosi edifici, su uno dei quali è presente l’insegna di una vecchia osteria, testimonianza del passato fiorente di questo borgo. Si prosegue sulla strada fino al bivio per Brughè, il cui toponimo deriverebbe da brugo (lombardo brugh), erica volgare. Il nucleo di Brughè sorge su un grande pianoro sul quale si affaccia il versante nord della collina di Montevecchia. Si percorre la stretta strada fino alle ultime case del centro abitato e poi il sentiero a fianco di un giardino e che scende deciso verso il bosco fino a incontrare il tracciato lungo il corso del torrente.Si svolta a sinistra, seguendo il segnavia per Molinazzo.Da questo luogo dovremmo solo percorrere il medesimo itinerario che condurrà a ritroso alla stazione di Cernusco Merate.
Itinerario ad anello dalla stazione di Cernusco Merate

Itinerario ad anello da Lomaniga

Dal parcheggio di Lomaniga, si segue la strada provinciale fino alla Chiesa. Prendere a destra la via che parte da Piazza Pio XII e che corre parallela al provinciale e camminare fino a incrociare via Cascina Palazzina, dove una palina indica il segnavia n. 8 per Montevecchia Alta. Si svoltare a sinistra e si percorre la sterrata che salendo si inoltra in un bel bosco di querce e arriva alla Cascina Verteggera. Il nome della frazione Verteggera (nel passato chiamata Varteggera, come riportato sulla vecchia cascina), deriva da versus agger che significa aggirare la fortificazione. In epoca romana qui passava la strada (oggi confine tra Missaglia e Montevecchia) che aggirava una fortificazione e conduceva alle cave a cielo aperto, ora frazione Cappona. Il paesaggio terrazzato di Verteggera si presenta come era anticamente: la coltivazione, effettuata secondo gli antichi metodi non è mai cessata. Si coltivano rosmarino, erbe aromatiche, alberi da frutta e vite. Da notare la presenza di terrazzamenti accessibili solo a piedi, per mezzo di ripide scalinate: vere e proprie opere di ingegneria contadina. Il sentiero prosegue in piano in uno scenario in cui il paesaggio terrazzato è attore indiscusso. Interessante il lavatoio in pietra di Verteggera, che rappresenta uno dei più bei manufatti del Parco. Si trova sulla destra del sentiero, prima di inoltrarsi nuovamente nel bosco. Tra le pareti del lavatoio, cresce una piccola e graziosa felce capelvenere, che trova l’habitat ideale nelle fessure delle rocce soggette a stillicidio, come le pareti umide di roccia calcarea di vecchi lavatoi. Nel Parco è rarissima e localizzata in poche stazioni. L’itinerario prosegue pianeggiante in un bosco fino ad incrociare una stretta strada e salire fino ad arrivare a Cascina Casarigo, struttura di origini antiche. Il toponimo di questa località, stando alle fonti catastali, deriva da Castrago e quindi da castrum che significa “sede di un accampamento”. Ciò induce a ritenere che la zona era abitata già in epoca romana. La cascina sorge arroccata sopra un poggio, coronata da una teoria di vigneti. Di sotto si allunga la pianura, poco sopra fanno da contrasto i verdi boschi del Parco.Da Casarigo scendendo fino ad Ostizza, si dispiegano ordinati terrazzamenti coltivati a vite. La mulattiera continua in salita. A sinistra, nelle vicinanze di una cappelletta in rovina, una palina indica di seguire il segnavia n. 8 per l’Alta Collina. Tra affioramenti di arenaria, una mulattiera con gradinature in molera, sale decisa guadagnando dislivello fino a giungere alla frazione Galeazzino. Salendo fuori dal bosco, si apre uno scenario spettacolare di architettura rurale: un complesso sistema di terrazzamenti scolpisce il ripido versante, frenando la verticalità del pendio e lunghi filari di vite ne tracciano simmetriche le curve di livello. I versanti meridionali della collina di Montevecchia non hanno mai cessato di essere intensamente sfruttati per uso agricolo. Percorrendo i sentieri e le strade che si snodano lungo i versanti soleggiati del colle, si osservano le sistemazioni dei versanti tipiche del Parco: i ronchi (i terrazzamenti) sostenuti dalle murature in pietra a secco. Qui le piane dei terrazzi ospitano ancora oggi, nella maggior parte dei casi, filari di vite associate alle piante aromatiche tipiche di Montevecchia: la salvia e il rosmarino. Dalla frazione Galeazzino si gode il panorama sulla pianura e fino agli Appennini e al termine della mulattiera si arriva nella raccolta piazzetta di Montevecchia Alta da cui si gode di una vista stupenda. Merita una visita il Santuario Beata Vergine del Carmelo, una delle chiese più suggestive della Brianza per via della sua posizione in cima al colle. Sulla destra della piazza la strada sale in una breve salita per arrivare di fronte ai 180 gradini della celebre scalinata. Grazie alla sua posizione emergente ha ricoperto nel corso dei secoli una funzione di richiamo per gli abitanti di tutte le zone vicine ed è a diventata un’icona per tutta la Brianza collinare. Nei primi anni del Seicento il preesistente edificio di culto fu abbattuto e in suo luogo fu costruito l’attuale santuario in stile barocco, ad unica navata, di 5 campate rettangolari con volte a crociera. Ritornando alla piazzetta e seguendo le indicazioni della palina del Parco si procede sul sentiero n.10 fino all’incrocio con Via Alta Collina, dove si gode del panorama della DOL Dorsale Orobica Lecchese con l’iconica sagoma del Resegone e il gruppo delle Grigne. Dall’Alta Collina, la Valle del Curone si rivela in tutta la sua bellezza, facendo mostra del suo caratteristico paesaggio terrazzato, in particolare dello spettacolare versante della Valle delle Galbusere. All’incrocio con la strada, seguire le indicazioni della palina con segnavia n. 9 Strada del Malveggio; quindi attraversare e svoltare a sinistra, camminando sul marciapiede per attraversare la frazione Livello ed arrivare salendo fino alla frazione di Ghisalba. Il toponimo della frazione è legato alla presenza di un santuario esistente dal colore bianco, ecclesia alba, chiesa bianca. A circa metà della salita, prendere a destra la direzione del segnavia n. 9 Strada del Malveggio, un’ampia carrareccia procede in piano tra filari di vite, dove i terrazzamenti seguono l’andamento ondulato della morfologia del pendio, creando curve armoniche. Si cammina sempre in piano fino ad arrivare alla frazione Vigna, dove in mezzo al bosco, sul limitare della carrareccia si trova il lavatoio di San Bernardo.Più avanti, il bosco, con formazione in prevalenza di castagno e querce, lascia spazio a un’ampia radura. Durante l’itinerario, si incontra una deviazione che scende verso il fondovalle. In questo caso mantenere sempre il segnavia n. 9, prendendo il sentiero che prosegue pianeggiante.La carrareccia termina quando incontra la strada sterrata (Strada Panoramica). Seguire le indicazioni del segnavia n. 9 Valle Santa Croce – Missaglia svoltando a destra. Più avanti, in prossimità di una stanga sulla sinistra, seguire sempre le indicazioni per Valle Santa Croce e scendere per la sterrata che si snoda nel bosco con ampi tornanti fino al fondovalle.Nella valle sono ben distinguibili le diverse localizzazioni delle attività agricole e forestali: sulle pendici troppo scoscese per le attività agricole e soggette a rischio di dissesti idrogeologici, domina il bosco visto come sussidio all’attività agricola tradizionale (legna da ardere e paleria ad uso agricolo) laddove la pendenza si riduce, l’attività umana ha creato una serie di terrazzamenti. Nel fondovalle dominano campi coltivati anche se la presenza di boschetti e siepi creano un ambiente molto variegato di elevato valore paesaggistico e naturalistico.Il nome della valle deriva dall’antica chiesa più volte rimaneggiata e menzionata già in un documento del 1289 come ecclesia. Il borgo ha origini antichissime. Il muro di cinta della cappella conserva un’incisione pre-romana, testimonianza degli antichissimi abitanti di questa valle. Per visitare Valle Santa Croce camminare fino alla strada del fondovalle e poi salire a sinistra per il centro abitato. Per proseguire l’itinerario ad anello, salire di nuovo per la stessa sterrata e prendere a sinistra il sentiero sui campi terrazzati. Guadare il torrente e inoltrarsi nel bosco camminando fino ad arrivare al nucleo di antica formazione di Cascina Novelè, ancora oggi abitata da più famiglie. L’abitazione a pianta quadrata consta di due piani più un sottotetto colombaio-fienile. I piani sono collegati da una scala posta in un piccolo porticato contenuto entro il perimetro della casa e che al primo piano diventa ballatoio aperto con balaustre in legno Sulla facciata vi è una edicola votiva scavata nel muro che contiene una piccola statua votiva di Sant’Antonio di Padova (protettore dei bambini). La carrareccia arriva pianeggiante nei pressi di Cascina Bellesina Inferiore, la sola superstite delle due originarie (inferiore e superiore) che è tuttora abitata. Questa i trova in una posizione da cui si domina quasi tutta la parte a sud della Valle Santa Croce ed è costituita da un unico corpo di dimensioni contenute. Disposta su due piani, più un colombaio, è caratterizzata dalla presenza di un portico a due arcate al piano terra, con sovrastante loggia. La struttura è completamente in pietra molera e gli spigoli dell’edificio sono rinforzati da grossi conci squadrati. La pavimentazione del portico era originariamente in ciottoli. Il portico protegge un’icona dedicata alla Madonna del Bosco. A Cascina Bellesina ha sede un’azienda agricola che alleva pecore della razza brianzola.Subito dopo aver superato alcuni terrazzamenti coltivati a vite, svoltare a sinistra per prendere la carrareccia che scende fino al fondovalle e che lambisce l’abitato di Cascina Fornace, oggi completamente ristrutturata. Sulla testata nord della cascina si trovava la parte rustica, con stalla al piano terra e fienile al primo piano schermato da un grigliato in laterizio. Siamo in presenza di una cascina “povera” infatti i muri sono realizzati con pietra molera ma con conci piccoli e irregolari. All’incrocio con la strada, prendere il segnavia n. 6 Lomaniga. Attraversare la strada e svoltare a destra. In prossimità della cascina dall’altro lato della strada, si trova una croce votiva scolpita nella pietra molera, recante i motivi della morte: il teschio e le ossa femorali incrociate ed i simboli della passione: il martello, la tenaglia, la scala. Il manufatto risale quasi sicuramente ai tempi della peste e con ogni probabilità indica la presenza di luoghi di sepoltura. La strada sterrata percorre pianeggiante il fondovalle, costeggiando il torrente Molgoretta e inoltrandosi in un bosco igrofilo, tipico delle zone vicine alle sponde dei corsi d’acqua, con la presenza di formazioni in prevalenza di ontani neri e frassini. Al bivio con la strada asfaltata, seguire il segnavia 6A Lomaniga e salire dall’abitato di Pianetta Bassa a Pianetta Alta. Attorno all’abitato i terrazzamenti sono ancora coltivati e ben tenuti.Giunti alle ultime abitazioni, lasciare la strada e prendere la mulattiera a destra che si inoltra pianeggiante nel bosco, per poi lasciare spazio a terrazzamenti ancora oggi coltivati a ortaggi, verdura e alberi da frutto. La mulattiera prosegue in piano fino a alla località Oliva, da cui con un breve tratto su strada in discesa breve, si torna sulla strada provinciale e quindi al parcheggio di Lomaniga.
Itinerario ad anello da Lomaniga

Duomo di Monza

Scopri nel cuore della città il Duomo di Monza. All’interno della Cappella di Teodolinda è custodita la preziosa Corona Ferrea.
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Eventi in Lombardia ad Aprile 2025

Aprile accoglie la primavera in Lombardia, tra gite fuori porta, sapori di stagione e iniziative artistiche e sportive
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