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Il centro storico di Clusane d’Iseo

Clusane, il cui toponimo potrebbe derivare da Clodius o da Chiusa, è situato sulla riva meridionale del Sebino. Comune autonomo fino al 1927, oggi è frazione di Iseo. È uno dei paesi a lago più antichi: insediamenti di comunità primitive fin dal Paleolitico sono testimoniati da tracce di attività palafitticole e ritrovamenti di punte di freccia e altri reperti. La zona fu abitata anche dai Romani, la cui presenza è rivelata dal ritrovamento di una lapide dedicata al dio Giove, oggi conservata al Museo Maffeiano di Verona, e dai resti di una villa nel centro storico del paese. Nel paramento in pietra sul lungolago si possono infatti distinguere una nicchia a pianta semicircolare affiancata su entrambi i lati da una serie di archetti ciechi forse pertinenti a un ninfeo. In base al vasellame rinvenuto durante scavi archeologici di emergenza, è possibile datare la villa al I-II secolo d.C. In questo stesso tratto di lago vi erano, in età longobarda, le riserve di pesca del monastero di Santa Giulia di Brescia. La prima menzione dell’abitato risale alla fine dell’XI secolo, quando i fratelli Aliprando e Alberto, appartenenti alla nobile famiglia longobarda dei Mozzi, donarono al monastero di Cluny la loro parte di una cappella dedicata ai santi Gervasio e Protasio che si trovava all’interno del castrum. L’atto fu firmato a Iseo il 12 luglio 1093 e comprendeva anche tutte le case, i terreni e le decime pertinenti alla donazione. I monaci si insediarono quindi nell’antico castello, costruirono un monastero fra 1112 e 1113, intorno al quale si raccolse una piccola comunità di contadini e pescatori. Nella prima metà del XII secolo Santi Gervasio e Protasio dipendeva dal monastero di San Paolo d’Argon; nel 1144 passò alla pieve di Iseo e il censo annuo era raccolto dal priorato di San Pietro in Lamosa di Provaglio d'Iseo, sotto il cui controllo passò definitivamente nel 1274. L'abitato di Clusane si costituì intorno al castrum che conteneva, oltre alla cappella, il primo nucleo di case. Tracce della fortificazione sono ancora visibili nel centro storico, racchiuso dalle vie della Chiesa vecchia, Molino, Castello e Ponta: in via della Chiesa vecchia vi è un arco in pietra che proteggeva la parte più elevata dell’insediamento, e in via Molino vi è la porta con antiporta. In questa via, dove probabilmente si trovavano i mulini segnalati nel Seicento, si riconoscono anche tratti di mura e basamenti di case medievali, e sono da segnalare le ville Mondella (XVII secolo) e Baroni (XVIII secolo) e il mulino moderno chiuso nel Novecento. Nel XIV secolo il comune di Clusane era amministrato dalla Quadra di Iseo. In questo secolo nacque la parrocchia, segnalata nel 1410, e all’esterno del borgo fortificato venne edificato il castello detto del Carmagnola , probabilmente ad opera della famiglia iseana degli Oldofredi. Fuori dalle mura, vicino al piccolo porto, vi erano le case dei pescatori. Nel 1517 la famiglia Sala, allora feudataria del castello del Carmagnola, costruì una chiesa dedicata a san Rocco nella zona della ”Ponta“. La chiesa parrocchiale fu gradualmente ingrandita nel corso dei secoli, fino all’Ottocento, quando furono aggiunte le due navate laterali, ma nel 1935 fu definitivamente abbandonata in seguito al completamento della nuova chiesa dedicata a Cristo Re: oggi l’edificio, completamente restaurato, è adibito ad auditorium. La fisionomia del paese cambiò nei primi anni del Novecento, quando fu aperto sulla riva del lago l'opificio della filanda Pirola e fu costruita la strada provinciale Iseo-Paratico. Si affermarono inoltre nuove forme economiche che trasformarono i pescatori in ristoratori grazie alla peculiare capacità di cucinare il pesce di lago, in particolare la tinca, pescata soprattutto nella zona a lago detta della “Foppa”, di fronte al paese. La maggior parte dei ristoranti fu costruita lungo la strada provinciale e nella parte verso la collina.   Angelo Valsecchi
Il centro storico di Clusane - ph: visitlakeiseo.info

La necropoli romana di Lovere

Percorrendo le vie Martinoli e Gobetti che ora collegano l’Ospedale alla chiesa di Santa Maria in Valvendra, e che segnano il limite verso monte dell’antico abitato di Lovere, si costeggia l’area della necropoli romana. L’area funeraria, una delle più importanti dell’Italia settentrionale, è il principale ritrovamento di epoca romana a Lovere, dove si dovette sviluppare un abitato in seguito alla conquista romana della Valcamonica nel 16 a.C. Se dell’abitato non sono stati rinvenuti resti significativi, grazie alla necropoli è possibile delineare lo sviluppo culturale e socio-economico della comunità che lì seppelliva i propri defunti. Le vie Martinoli e Gobetti ricalcano un tratto dell’antico tracciato viario in uscita dal centro abitato verso la Valcamonica: le necropoli, infatti, si collocavano fuori dagli insediamenti. Sono state finora portate alla luce almeno 215 sepolture, la maggior parte delle quali conservava il corredo, inteso come bagaglio personale per affrontare l’aldilà. Il sepolcreto si caratterizza per l’ampio arco temporale di utilizzo, dal I agli inizi del V secolo d.C., e per la molteplicità di rari oggetti di prestigio in essa rinvenuti. Rivestono grande interesse i due corredi, unici per la loro preziosità, recuperati nel 1907 e ora esposti al Civico museo archeologico di Milano: il più noto è composto dal cosiddetto “tesoro di Scipio”, così chiamato per il nome presente sui manufatti preziosi e composto da argenterie, come la celebre “Coppa del Pescatore” lavorata a sbalzo e a bulino, e lussuosi manufatti in bronzo; l’altro è caratterizzato da monili in oro e pietre preziose. Nella prima età imperiale a Lovere si praticava il rito incineratorio indiretto, consistente nella combustione della salma su una pira in un luogo separato da quello della sepoltura. Lo spazio cimiteriale era organizzato in recinti funerari in muratura, che delimitavano specifiche aree sepolcrali di pertinenza familiare o collegiale. La persistenza nei corredi di I-inizi II secolo d.C. di oggetti tipici dei Camuni (come il bicchiere tipo Henkendellembecher di origine retica, caratterizzato da una depressione funzionale in corrispondenza dell’ansa) fa ipotizzare che gli antichi abitanti di Lovere appartenessero a tale popolo. In seguito alla conquista, la popolazione acquisì e rielaborò il pensiero e la cultura romana. Prove ne sono i manufatti tipici romani ritrovati: ceramiche fini da mensa e vasellame vitreo, monete e lucerne, ma anche oggetti d’ornamento o di abbigliamento personale, al passo con la nuova moda. Tra questi ultimi, accanto alle tipologie più diffuse, vi sono alcuni oggetti di particolare pregio come un pendaglio in oro a forma di crescente lunare e un ciondolo in vetro giallo decorato da uno scorpione, proveniente dall’area egiziana o siriaca. A partire dalla metà/fine del III secolo d.C. la cremazione viene sostituita definitivamente dal rito inumatorio. I corredi di questo periodo sono composti, in media, da un numero inferiore di manufatti, per lo più vasellame in ceramica, e oggetti di ornamento. ‘Fossili guida’ dei corredi di IV e V secolo sono le ceramiche invetriate e le armille: di queste, a Lovere è documentata quasi esclusivamente la tipologia a “testa di serpe”, cosiddetta per la decorazione che caratterizza le parti terminali dei bracciali. Dallo studio dei corredi e dalle analisi osteologiche si deduce che la maggior parte della popolazione appartenesse a un ceto medio dedito ad attività artigianali e agricole non eccessivamente pesanti. Ciò, unito alla disponibilità di cibo, permetteva di arrivare generalmente oltre i 40 anni di età, ad eccezione della mortalità che colpiva le fasce di 0-2 anni e 11-15 anni, in linea con le statistiche dell’epoca. I corredi di alcune sepolture attestano comunque la presenza di un ceto sociale alto, in grado di poter deporre nella propria sepoltura oggetti di valore e di prestigio, giunti attraverso traffici commerciali di ampio raggio.   Chiara Ficini  
Necropoli romana Lovere - ph: visitlakeiseo

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