Ho trovato 346 risultati per Laghi in Lombardia autunno

Brescia, Sirmione e l'ArcheoPark

Tour di due giorni pensato per i ragazzi delle scuole

La Valsassina e le Grigne

Dalle escursioni in giornata adatte a tutti, alle arrampicate sulle pareti verticali delle Grigne, fino agli splendidi trekking che portano ai rifugi
La Valsassina e le Grigne

Bergamo: un capolavoro italiano

Una città che vale doppio e un territorio ricco di natura, arte e cultura
Bergamo: un capolavoro italiano

Sacro Monte di Varese

Collocato su una collina alle spalle della città, con una vista mozzafiato, il Sacro Monte di Varese è Patrimonio Unesco dal 2003
Vista suggestiva della decima cappella del Sacro Monte di Varese, con l'arco in primo piano, riflettente la bellezza artistica e spirituale di questo sito UNESCO

Scopri i comuni dell'Alta Valle Camonica

Oltre al fascino di Ponte di Legno, l'Alta Valle Camonica offre innumerevoli possibilità di visita. Proponiamo perciò un itinerario storico-naturalistico tra i comuni limitrofi di Vezza d'Oglio, Temù, Vione, Incudine e Monno.    Incastonata tra due valli laterali che fanno da cornice al paese, Val Paghera nel Parco Regionale dell'Adamello e Val Grande nel Parco Nazionale dello Stelvio, Vezza d'Oglio regala un incantevole panorama capace di sorprendere il turista in ogni periodo dell'anno. A 20 km dall'abitato si arriva all'imponente ghiacciaio di Pietra Rossa (m. 3212), percorsa dal torrente omonimo che, nei giorni di sole, scende formando pittoresche cascate dagli spruzzi multicolori. Da qui, si possono raggiungere i Laghi Seroti, nella Val Bighera: ben diciassette laghetti alpini, dalle più svariate forme e dimensioni. Se si vuole restare in paese, non mancano le attrattive culturali. Meritano sicuramente una visita la Parrocchiale di San Martino, che conserva tra i suoi prezioni cimeli un'ancona in legno secentesca, e la Chiesa di San Clemente, tra le più antiche della valle, era in origine un eremo e ospizio destinato ai pellegrini. A Borom, frazione di Vezza d'Oglio, si trova la Cava di Marmo Bianco, sito di interesse archeologico, storico e umanistico, valorizzato dagli artisti, chiamati a partecipare annualmente al Simposio di scultura, che  hanno riportato alla luce il suo splendente colore bianco.  Vezza d'Oglio è stato teatro di uno dei combattimenti della Terza Guerra d'Indipendenza, dove il 4 luglio 1866 un reggimento di garibaldini e bersaglieri respinsero gli austriaci. In ricordo della Battaglia di Vezza è stato costruito il Museo Civico Garibaldino, che conserva un’esposizione di oggetti storici. Tra i musei dell'Alta Valle Camonica non si può non citare il Museo della Guerra Bianca di Temù, il più importante in Lombardia e in Italia tra quelli dedicati al fronte bellico alpino nella Prima guerra mondiale, dove sono esposti centinaia di oggetti recuperati sul terreno. Oltre alle numerose fotografie che accompagnano il visitatore, è possibile vedere le slitte di legno per il trasporto di munizioni, granate rinvenuti tra i ghiacciai, e i cannoni trasportati fino a 3000 metri di altezza.  Di grande interesse storico è anche Vione, noto per i recenti ritrovamenti di tombe longobarde, la conservazione dei "reölcc" (portici), i resti delle sei torri che difendevano il castello e la scuola di grammatica (XV-XVII sec.). I tre centri del comune di Vione dispongono di un'architettura rustica costituita da archi e finestre di fine fattura, strutture lignee e forme di edifici secondo volumetrie regolari. L'itinerario dell'Alta Valle Camonica si può concludere con la visita di due comuni. Il primo è Incudine, dove si possono ammirare la Via Crucis nella chiesa di San Bernardino, l'Ultima Cena opera di G.B. Zotti nella parrocchiale di San Maurizio e i resti del castello. Il secondo è Monno, collegato al Passo della Foppa, il valico alpino inserito nel Giro d'Italia.  Questo percorso naturalistico è ideale per una biciclettata. Ma dopo l'attività fisica, rilassatevi assaggiando il salame, le formagelle ed i biscotti di questo paese. _ PH IG: @fabioskisandrini91
Comuni della Valle Camonica - Pietra Rossa

Lago Maggiore Storie antiche

Reperti dell’età del ferro, testimonianze dell’era glaciale, monumenti di archeologia industriale, bambole dal Settecento a oggi: il basso Verbano
@inlombardia

Teatro Sociale di Stradella

«Un teatro sorto come per incanto e d’un’eleganza che mai ebbe l’eguale» Così le cronache dell’epoca salutarono, nel settembre 1846, l’inaugurazione del Teatro Sociale di Stradella, con le note dell’Ernani diretta da Angelo Mariani, noto maestro concertatore e direttore d’orchestra che tanta parte avrà nel melodramma italiano del ‘grande Ottocento’. Il Teatro venne costruito grazie all’iniziativa di alcuni maggiorenti della città, che avevano costituito, due anni prima, la «Società per l’erezione del teatro». Ne facevano parte: l’avvocato Baldassarre Locatelli, l’avvocato Agostino Depretis, il conte Arnaboldi Gazzaniga, l’ingegner Giuseppe Sabbia, l’ingegner Callisto Longhi, l’ingegner Antonio Visini, l’ingegner Battista Coelli ed “altri nativi del Borgo”. Essi acquistarono, a nome e per conto della «Società degli azionisti», «un sedime della superficie di una pertica circa denominato l’ospizio». Su quest’area progettarono la costruzione del nuovo edificio. La società era composta da 44 azionisti le cui «azioni furono determinate di diverso valore a seconda dei palchetti […] che variava per la diversità dell’ordine, della posizione e anche dell’ampiezza». Il valore complessivo delle azioni inizialmente fu di lire 58.400 e si dichiarava che gli azionisti dovessero «considerarsi proprietari speciali ed esclusivi di ciascun palchetto e comproprietari del comune ed indiviso restante edificio». Costruito su progetto dell’architetto Giovanbattista Chiappa, autore di importanti opere, sia private sia pubbliche, a Pavia, Lodi e Milano, l’edificio ricalca la tipologia del teatro neoclassico in voga nel secolo. Il modello è dichiaratamente il Teatro alla Scala, costruito nel 1778 dal Piermarini.La sede del teatro occupa la parte centrale di un sobrio edificio neoclassico di grandi dimensioni con facciata intonacata e marcapiani. La facciata, concepita per essere vista dalla piazza, è tripartita, con la parte centrale lievemente rientrante e arricchita da un balconcino a balaustrini. Notevole è il portale d’ingresso con sovrastante bassorilievo in pietra con maschere e strumenti musicali a fianco di una lira centrale. Il teatro è organizzato con atrio d’ingresso (da cui dipartono le due scale a rampe curve che portano ai corridoi d’accesso ai palchi), platea a forma di ferro di cavallo e palcoscenico al piano terreno, tre ordini di palchi con balconate di legno e il loggione. Originariamente la platea era chiusa in alto da una cupola decorata, demolita nel 1910, per costruire, su progetto dell’architetto milanese Cesare Brotti, il terzo ordine di palchi e il loggione. Il soffitto è impreziosito da un grande rosone di stile neoclassico. Il ridotto si trova all’altezza della seconda fila di palchi. Questi ultimi sono 44, tanti quanti erano all’origine i soci della “Società del teatro”; i posti attualmente recuperati sono circa 300. Merita sicuramente un cenno il pregevole sipario storico, con scene da I promessi sposi realizzato nel 1846 dal pittore milanese Felice De Maurizio, scenografo, calcografo e incisore, autore della Pala d’altare della Chiesa del Crocefisso di Milano e Conservatore della Pinacoteca di Brera dal 1867 al 1882. Il sipario, realizzato nel 1844, misura otto metri di larghezza e sei in altezza. La scena, che raffigura il matrimonio di Renzo e Lucia, si svolge sullo sfondo del lago di Como e rappresenta i due sposi che, in abiti seicenteschi dai colori vivaci, avanzano al centro del dipinto, preceduti da un gruppo di ‘bravi’ che con lunghi fucili sparano in aria. Gli sposi sono attesi da Agnese, madre di Lucia, e da Fra Cristoforo sulla soglia della chiesa. Da alcuni documenti d’archivio si apprende che la stagione principale, inaugurata nel 1846, era quella d’autunno e nel periodo della vendemmia, quando il concorso dei forestieri era molto alto, si allestivano anche balli e spettacoli di marionette. La peculiarità dell’istituzione era infatti quella di aprirsi a espressioni artistiche variegate ed eterogenee, non solo all’opera lirica, talora con scopi ben precisi e nobili, proposte da circoli locali. Nel 1857, ad esempio, la Drammatica Compagnia Toscana decise di destinare l’incasso di due rappresentazioni – Lo gran Cornelio e La guerra delle mogli contro i mariti fumatori – a beneficio degli abitanti di Portalbera rimasti toccati da una grande alluvione del Po; il Circolo di Ricreazione e l’Unione delle Arti e del Commercio idearono invece a più riprese nel corso delle varie stagioni l’organizzazione di imponenti balli per raccogliere fondi da destinare, gli uni, in beneficenza e, gli altri, alla cassa pensioni della società stessa. In tale contesto la costante attività teatrale aveva favorito lo sviluppo del «Caffè del Teatro» e di altre iniziative come quella del Gabinetto di Lettura che fu il primo passo per la costituzione di una biblioteca. Nel settembre 1899 venne inaugurata una nuova fila di posti a sedere numerata e prenotabile con un supplemento di 10 centesimi al costo del biglietto di ingresso. In tal modo il teatro poté accogliere anche spettacoli sportivi tra cui il saggio dell’Accademia di scherma che fece emergere, tra i suoi tiratori più illustri, il maestro stradellino Luigi Colombetti.Proprio nel 1910, quando si aggiunse il quarto ordine o loggione, il teatro fu luogo della raccolta di fondi da destinare ai senza tetto del terremoto di Sicilia. I gestori organizzarono conferenze, ospitarono la presentazione di brani letterari e favorirono le rappresentazioni drammatiche tra cui quella ideata dalla Compagnia dialettale condotta da Francesco Grassi, padre di Paolo Grassi fondatore del Piccolo Teatro.   L’intensa vita artistica che ruotava attorno all’istituzione incentivò anche la costituzione di compagnie locali: nel novembre 1918 nacque la Compagnia Filodrammatica Città di Stradella sotto la direzione artistica di Ritù Rizzi, compagnia che fu stabile per circa vent’anni, mentre nel 1939 fu fondata, sempre dalla stessa artista, la Compagnia Operettistica Città di Stradella, che debuttò con l’operetta Primarosa di Giuseppe Pietri, mietendo successivamente consensi con gli allestimenti dei più famosi titoli: La vedova Allegra, Il paese dei campanelli, Cincillà, Scugnizza, Il conte di Lussemburgo. Tra il 1930 e il 1934 l’attività teatrale fu sostituita da un programma di proiezioni cinematografiche mentre negli anni successivi ogni forma di spettacolo cessò definitivamente a causa degli eventi bellici. Solo nel secondo dopoguerra l’attività riprese con feste da ballo per il carnevale che si affiancarono alle proiezioni cinematografiche.Nel 1949 il teatro fu dichiarato monumento nazionale in quanto considerato «un esempio caratteristico di architettura interna teatrale della prima metà del secolo XIX».‘Bene culturale’ di prestigio, dunque, e, insieme, spazio deputato alla promozione delle attività dello spettacolo, il nostro teatro ha l’ambizione di proporsi come un tassello fondamentale di un progetto di valorizzazione complessiva del patrimonio storico-culturale di un territorio. Non solo, quindi, teatro come spazio di consumo, più o meno tradizionale, ma come luogo dinamico, aperto alle diversità delle arti e alle culture del mondo. Un vero e proprio «cantiere della mente». La costruzione del Teatro Sociale è coincisa con il passaggio di Stradella da borgo a città. Il Teatro è diventato in varia misura, a metà Ottocento, il simbolo del dinamismo economico e della vivacità culturale, di una città che entrava prepotentemente nei tempi nuovi della raggiunta unità nazionale. Una città – scriveva il 20 gennaio 1871, il “Cittadino Vogherese” – che “secondando il proprio genio, ha compiuto da pochi anni opere di considerazione che la fecero salire in molta reputazione di avanzamento”. Ebbene, allo stesso modo, il teatro potrà testimoniare, oggi, di una città (e di un territorio) che, volendo salire ancora “in molta reputazione di avanzamento”, possono – e devono – mantenersi fedeli custodi del proprio passato e del proprio patrimonio storico-artistico ed essere, al tempo stesso, città e territorio vivi, attivi e proiettati nel futuro, sapendo leggere e ripensare con intelligenza la loro storia. A cura di Pierangelo Lombardi  Fonte: www.teatrosocialestradella.it
Teatro Sociale di Stradella

Scopri l'Alto Garda bresciano

Paesi a strapiombo sull'acqua, con vedute da vertigini. E strade scavate nella roccia, aspre come...
www.livelagodigarda.it

Lago di Como: Bellagio, la perla

Località tra le più amate al mondo, si trova sul promontorio centrale del lago, da dove si possono raggiungere via battello o traghetto le sponde dei due rami del Lario
Lago di Como: Bellagio, la perla

Fiume Ticino

Il Ticino nasce in Svizzera. La sua sorgente principale è in testa alla val Bedretto, al Passo di Novena, a circa 2.480 metri di quota, mentre un’altra sorgente è nei pressi dell’Ospizio del San Gottardo e si congiunge alla prima ad Airolo. Da qui il fiume prosegue in territorio elvetico scorrendo in una valle ben conservata (da vedere le gole di Stalvedro e del monte Piottino) fino all’imbocco della Piana di Magadino, dove viene imbrigliato in argini che ne fanno un banale canale fino al delta con cui sfocia nel Lago Maggiore. Qui il fiume riprende, anche se solo per poche centinaia di metri, la sua naturalità, dando origine ad una zona umida di interesse internazionale, ai sensi della Convenzione Ramsar: la Riserva Naturale Federale delle Bolle di Magadino (www.bolledimagadino.com). Una volta uscito dal bacino del Verbano, nei pressi di Sesto Calende (VA), il Ticino attraversa tutta la pianura padana, incidendola profondamente e termina, dopo aver lambito Pavia, nel Po, in località Ponte della Becca (PV). Il territorio del Ticino sublacuale può essere geomorfologicamente e naturalisticamente suddiviso in cinque zone principali: l’anfiteatro delle colline moreniche o zona collinare; il pianalto terrazzato o altopiano asciutto; la zona di alta pianura; il piano generale terrazzato, o pianura irrigua che comprende la fascia dei fontanili ed infine la valle del fiume propriamente detta. Il terrazzo principale che raccorda la valle alla pianura circostante ha un’altezza che decresce da 40 a 15 m circa. All’interno della valle si possono individuare terrazzi minori di cui il più evidente va da Magenta a Besate (MI). Si può anche procedere ad una suddivisione in senso longitudinale dell’asta del fiume, questa volta in tre comparti: dal Lago Maggiore alla Maddalena di Somma Lombardo (VA), il Ticino scorre formando meandri incassati in gole profonde, incise nei depositi morenici; dalla Maddalena a Motta Visconti (MI) ha un andamento anastomizzato con un letto largo in alcuni punti fino a tre chilometri e numerose isole ghiaiose e sabbiose create da rami e canali che si intrecciano cambiando continuamente morfologia; infine, da Motta Visconti alla confluenza con il Po, il Ticino presenta un tracciato meandriforme e tocca la massima complessità. Il corso del fiume è in costante evoluzione, soggetto a incessanti modificazioni e con un equilibrio dinamico che è elemento fondamentale per il mantenimento del valore ecologico del fiume e della sua vallata. Negli ultimi venti chilometri il fiume torna a corso unico, anche se abbastanza tortuoso, con sponde ben definite all’interno della piana alluvionale. Interventi di contenimento delle sponde con pietre e blocchi in cemento, iniziati massicciamente dagli anni Cinquanta, hanno di fatto limitato la nascita di nuove “lanche”. Queste sono parti del fiume, in corrispondenza di anse, pian piano escluse dal percorso della corrente e in seguito del tutto isolate dal corso del fiume. Le vecchie lanche tendono ad interrarsi a causa di sedimenti che si depositano nel corso delle piene, diventando terreno fertile per la vegetazione palustre, che, inevitabilmente, ostruisce e colma i fondali. Una serie di progetti adottati dal Parco sta lentamente riportando il fiume in condizioni di elevata naturalità. La colonizzazione antropica delle sponde, con le conseguenti attività economiche legate alla presenza dell’uomo, hanno portato a modificare, ma solo in minima parte se paragonato ad altri fiumi padani, il tracciato naturale del corso del Ticino; ciò è avvenuto sia a causa degli scavi in alveo, oggi per fortuna vietati, sia a causa delle arginature, che per i forti prelievi idrici. Sicuramente, la trasformazione antropica più appariscente è data dal complesso reticolo di derivazioni e di canali realizzati sia a scopo irriguo, sia per l’utilizzo da parte degli impianti idroelettrici. Le principali opere artificiali che interessano la Valle del Ticino sono i Canali Cavour, Regina Elena, Langosco e Sforzesco in sponda piemontese, e i Canali Industriale, Villoresi, il ramo Marinone e i Navigli Grande e di Bereguardo, nel territorio lombardo (link ai Navigli).

5 cose da fare a Mandello

La città dei motori ti accoglierà tra acqua e montagne
borgo mandello lario

Le ville Liberty di Sarnico

Diversamente da quanto osservabile in altri laghi lombardi, il lago d’Iseo non presenta una significativa presenza di dimore signorili. Tuttavia a Sarnico è possibile ammirare un originale nucleo di costruzioni Liberty a firma dell’architetto milanese Giuseppe Sommaruga che nel piccolo centro lacustre lasciò alcuni tra i più alti prodotti della sua arte e non mancò di suggestionare la decorazione pubblica e privata di molta architettura locale. Giuseppe Sommaruga arrivò a Sarnico grazie alla lungimiranza e alle cospicue possibilità economiche della famiglia Faccanoni. Nel 1897 l’ingegnere Pietro Faccanoni (con i fratelli Giuseppe e Luigi) era direttore di un’impresa italiana deputata alla costruzione di acquedotti e di altre opere pubbliche a Vienna. Sommaruga venne chiamato a Sarnico, per la prima volta, nel 1907 per la trasformazione di una vecchia filanda in una villa liberty. Alla morte del proprietario la villa, sita al numero 1 di via Orgnieri, fu acquistata da un altro privato che la conservò in tutto il suo originario splendore. La planimetria della villa di Pietro Faccanoni e la sua facciata ricordano le ville fiorentine del Quattrocento. Le decorazioni floreali su nastri che attraversano l’edificio e che seguono la curvatura degli archi sono, invece, tipiche del Liberty. La recinzione esterna in ferro battuto insegue, con estrema coerenza, i motivi liberi e svolazzanti dell’“arte nuova”, frutto della collaborazione con il fabbro Alessandro Mazzucotelli, un vero genio del ferro battuto che accompagnò l’architetto durante quasi tutta la sua esperienza professionale. Allo stesso modo l’interno della villa è decorato e arredato con una fine boiserie e mobili a muro frutto dell’ingegno dell’ebanista Eugenio Quarti. I soffitti sono decorati con la tecnica del cemento graffito in forma di motivi floreali. Sempre nel 1907, Sommaruga iniziò la realizzazione della villa di Giuseppe Faccanoni. Questo è, probabilmente, il vero capolavoro sarnicense dell’artista milanese ed è, al contempo, una delle più alte realizzazioni della sua intera carriera. Situata al numero 56 di via Vittorio Veneto, la villa è immersa in un suggestivo e ampio giardino. Distribuito su due piani, arricchito di mansarde, terrazze, bovindi (quasi cantorie rinascimentali) e torre, l’edificio presenta l’ingresso principale sull’angolo smussato prospiciente il lago. Diversi tipi di pietre rivestono la struttura e animano l’andamento irregolare della villa, decorata, anche in questo caso, da fasce in cotto e in maiolica. Una serie di figure scolpite di animali più o meno riconoscibili (una sorta di bestiario di sapore medievale), popola questo “villino per scapolo”. Il richiamo, simbolico, alla struttura di una nave obbedisce a un preciso intento e a una solida complicità tra architetto e committente. La tentazione di una lettura esoterica è facile e immediata. Il visitatore si trova immerso in un’atmosfera quasi magica e il senso di smarrimento pervade l’ospite disorientato e alla perenne ricerca di un “vera” entrata. Spettacolare il cancello d’ingresso, in ferro battuto: oltre ai consueti nastri si ritrova il gusto per la rappresentazione naturale attraverso la raffigurazione di un campionario di fiori e di incauti insetti catturati da strane ragnatele. Al numero 5 di Via Predore è situato, infine, l’imponente edificio di Villa Luigi Faccanoni (ora Surre). I motivi delle precedenti ville vengono, qui, ingigantiti a dismisura. L’apparato scenico diviene trionfale e l’alta torre “medicea” svetta in posizione di dominio sul vicino lago. Le decorazioni assumono anche il “non colore” dell’oro e la vastità degli spazi obbliga ad alzare lo sguardo. Un discorso a parte merita il Mausoleo Faccanoni del 1907 presso il cimitero di Sarnico: l’edilizia funeraria fu, anche per Sommaruga, un passaggio obbligato. Nel piccolo complesso cimiteriale sarnicense l’architetto milanese edificò una sepoltura laica, quasi uno ziqqurat orientale senza segni cristiani. La struttura è decorata con sculture e fregi dello scultore milanese Ambrogio Pirovano.    
Le ville Liberty, Sarnico - visitlakeiseo