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La Chiese di Santo Stefano e di San Lorenzo di Sola e il sito archeologico
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L'ISOLA DEI MONASTERI

Cremona ha riscoperto un comparto cittadino a lungo dimenticato e sottovalutato che versa in grave stato di degrado e di cui ben pochi sono a conoscenza. Un luogo quasi segreto. Si tratta del cosiddetto comparto degli Antichi Monasteri, (ricordato più frequentemente come l’area delle vecchie caserme): area cittadina a ridosso delle mura verso il fiume, in una zona inizialmente periferica. Un comparto unico per estensione ed interesse di grande valore artistico, storico ed architettonico: sono i cinque monasteri di San Benedetto, Santa Chiara, Corpus Domini, Santa Monica e dell’Annunziata, la cui stessa esistenza è stata a lungo in pericolo a causa dell’incuria e dell’abbandono. Patrimonio civico salvato dalla demolizione grazie all’imposizione di un vincolo monumentale del Ministero della Pubblica Istruzione del 1971. Ciò sicuramente ha favorito il mantenimento delle strutture architettoniche, ma non ha aiutato a salvaguardarne il valore storico di ciò che furono e che rappresentarono nei secoli per la storia cremonese.Una storia fino ad ora poco nota e poco indagata e di grande fascino poiché tutti e cinque i monasteri furono occupati da Ordini religiosi femminili. La loro esistenza e le trasformazioni sono il frutto di accadimenti storici ben precisi: la soppressione degli Ordine Religiosi alla fine del secolo XVIII e la trasformazione in caserme. Se tale trasformazione può apparire pesante, tuttavia fu quella che ne permise la sopravvivenza fino ai giorni nostri, pur con tutte le varie trasformazioni edilizie e mutilazioni: spazi modificati per divenire grandi camerate, magazzini delle merci e stalle.Curioso quindi che tutta l’area degli antichi monasteri nel corso dell’Ottocento si trasformi contemporaneamente da luogo prevalentemente religioso a militare. Se appunto l’uso dei militari ne ha condizionato la consistenza fisica ed architettonica, ne ha comunque consentito una buona sopravvivenza, dalla Seconda Guerra Mondiale invece la loro storia diviene sempre più precaria e difficile la loro conservazione. La riscoperta dell’area degli Antichi Monasteri ha spinto la Società Storica Cremonese ad attivare un ambizioso progetto – coordinato da Beatrice Del Bo, Università degli Studi di Milano, e don Andrea Foglia, storico della Chiesa – tendente ad arginare un decadimento storico oltre che architettonico quasi inarrestabile. Il progetto si focalizzerà sulla storia e il significato della presenza in città di ben cinque comunità religiose femminili strettamente confinanti a partire dal XII secolo. Quindi una conservazione di una memoria femminile, mai indagata, che prende vita dalla fondazione del monastero di San Benedetto (secolo XII) per giungere al monastero dell’Annunziata di fine Quattrocento. Lo sviluppo di un’area di monasteri femminili faceva seguito al rinnovamento religioso perseguito dai vescovi Offredo e Sicardo che sostennero già fin dal secolo XII la nascita di cenobi femminili. Alla fondazione di San Benedetto, a opera dei monaci di Nonantola, seguì quella del monastero di Santa Chiara, la cui attuale collocazione è da far risalire al 1429, e nel 1455 quella del Corpus Domini, anch’esso cenobio di clarisse che seguivano l’Osservanza. Di particolare interesse il Corpus Domini fondato in un palazzo di proprietà di Bianca Maria Visconti, domina della città e sposa di Francesco Sforza, signore del Ducato di Milano. La stessa Bianca Maria pochi anni più tardi promosse e sostenne la fondazione del monastero di Santa Monica, destinato a sostituire un cenobio di monache benedettine preesistente. Creato nel 1471, per volontà del nuovo duca di Milano, la comunità religiosa assunse l’abito agostiniano su disposizione del vescovo Stefano Bottigella. In Santa Monica furono ospitate religiose appartenenti alle nobili famiglie cremonesi e anche della stessa famiglia ducale, come la sorella di Ludovico il Moro, Bianca Francesca. La fondazione del monastero dell’Annunziata si ascrive invece al 1494 e venne destinato ad ospitare monache agostiniane provenienti da Piacenza. Delle cinque istituzioni religiose quindi non solo si procederà alla ricostruzione delle vicende che portarono alla nascita dei cenobi e alla loro storia materiale, ma soprattutto saranno ricostruiti i rapporti con i poteri locali e con la dinastia sforzesca; si identificheranno e valorizzeranno le donne che popolavano i nostri monasteri; verrà indagata la composizione delle varie comunità monastiche, con particolare insistenza sulle biografie delle religiose, sulla loro provenienza geografica, sintomatica dei legami politici.Non si può infatti trascurare che per l’età medievale, anche avanzata, e per la prima età moderna, i cenobi costituissero per le donne (contrariamente a quanto si è portati a pensare) un’occasione di istruzione e di libertà e non come soltanto un allontanamento coatto dal mondo, “una clausura”. Dalla dissolutezza di alcune monache alla beatitudine di suor Angela Pasini, passando per le giovani figlie dei Raimondi o della stessa Bianca Francesca Sforza, verranno studiate donne che pur vivendo insieme avevano sicuramente a disposizione biblioteche e una separazione dal mondo secolare che poteva essere considerata in alcuni casi una grande fortuna, vista la notevole autonomia di cui godevano questi cenobi.Sarà quindi uno studio dell’identità di genere. Si cercherà di cogliere per quale nesso vi fosse una notevole frequentazione delle clausure da parte di fanciulle aristocratiche. Erano davvero solo desiderose di respirare aria di santità? a cura di Angela BellardiSocietà Storica Cremonese e già dirigente dell’Archivio storico di Cremona

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Il rinnovamento rinascimentale degli edifici religiosi sul Lago d'Iseo

Il periodo di pace e di discreta prosperità garantito dal passaggio sotto la Repubblica di Venezia (1428) e dalla pace di Lodi (1454), pone le condizioni ideali per avviare un rinnovamento degli edifici religiosi e civili. Varie fabbriche mostrano, tuttavia, come il Rinascimento architettonico e figurativo nel Sebino stenti ad attecchire in maniera nitida e omogenea e vada, al contrario, a mediare con elementi gotici ancora in uso a fine secolo e oltre. Sul piano dell’architettura si assiste a nuove fondazioni e a numerosi casi di ampliamento e aggiornamento di edifici medievali come a Vello, Sant’Antonio di Marasino, San Pietro di Tavernola, Santi Cassiano e Ippolito di Gargarino, San Pietro di Provaglio, San Paolo a Sarnico. Il modello architettonico che si diffonde – se è lecito parlare di modello – non è un’esclusiva del Sebino, ma si riscontra pure in Valle Camonica, in Franciacorta e nelle valli bergamasche. Si tratta di una chiesa a unica navata scandita da archi in muratura su cui poggia la copertura a due falde, spesso con travi a vista, mentre il presbiterio a pianta quadrangolare è coperto a volta; la facciata è decorata dal portale in pietra. Allo schema ‘base’ si possono aggiungere varianti dettate da esigenze strutturali e di spazio (come a Tassano) o dalla disponibilità della committenza. Nella Santa Maria in Silvis e nella vicina Santa Maria della Neve vi è l’aggiunta degli archetti ciechi sottogronda in facciata. Archetti ciechi e finestroni ad arco lobato ribassato sono impiegati pure in Santa Maria in Valvendra a Lovere, edificata a partire dal 1473, anche se le soluzioni architettonico-strutturali qui adottate – in particolare nel presbiterio – rappresentano un unicum sul Sebino, tanto da suggerire l’adozione di un modello proveniente da centri più aggiornati. La cultura lombarda non è comunque l’unica lingua disponibile: sul fianco di Santa Maria in Valvendra – sotto un protiro dalle linee rinascimentali – l’insolito portale a modanature intrecciate è riconducibile a lapicidi di cultura altoatesina. Nei due due comuni a nord del lago (Lovere e Pisogne) emergono le più significative testimonianze, sia pittoriche sia scultoree, della diffusione della cultura antiquaria assai diffusa a Bergamo e a Brescia. Tra i protagonisti è da ricordare la famiglia dei da Cemmo, che negli ultimi due decenni del secolo deteneva una sorta di monopolio dei cantieri in Valle Camonica e opera fino a Bagolino, Brescia e Cremona ma non riesce a farsi strada e si ferma a Pisogne, dove lascia in Santa Maria in Silvis uno dei più significativi cicli pittorici. Nella decorazione della chiesa Giovan Pietro da Cemmo inserisce elementi architettonici e medaglioni con volti di profilo che segnano una decisa adesione ai modelli della cultura antiquaria. Lo stesso vale per i frescanti attivi nel presbiterio di San Pietro a Tavernola, portatori di un linguaggio stilistico-architettonico ispirato a esempi milanesi e bramanteschi. Rientrano in pieno in questo gusto anche i portali in pietra simona realizzati dal milanese Damiano Benzoni, formatosi a Milano presso la bottega di Giovanni Antonio Amadeo, per le chiese di Santa Maria della Neve con profili entro medaglioni inseriti nella decorazione scultorea, e Santa Maria in Silvis a Pisogne e di Santa Maria in Valvendra a Lovere. I due portali pisognesi conservano anche rari esempi di scultura a tutto tondo in pietra bianca. Nei cantieri architettonici spesso gli elementi che attestano il maggior aggiornamento sono proprio i complementi scultorei: i cordoli delle finestre, i portali d’ingresso e i capitelli su cui poggiano le volte. In assenza di tracce documentarie è solo possibile ipotizzare la produzione locale con il supporto di maestranze lombarde. Il rinnovamento della devozione e la diffusione di confraternite sollecita la diffusione di cicli con storie di Cristo e della Vergine. Se nulla è possibile dire del perduto tramezzo dipinto nel convento dell’osservanza francescana a Lovere, sono conservati i cicli di Gandizzano, Pisogne, Solto Collina, Gargarino, Zone (Santi Ippolito e Cassiano) e Provaglio. Un ruolo non secondario è svolto dalle stampe, in particolare quelle raffiguranti la Passione, che sono spesso il veicolo preferito per la circolazione di i modelli iconografici e stilistici d’oltralpe: si vedano a tal proposito le citazioni da Martin Schongauer nel ciclo di Provaglio d’Iseo e da Albrecht Dürer in Santa Maria della Neve a Pisogne. A uno sguardo d’insieme, la situazione artistica appare eterogenea, caratterizzata dalla presenza di una serie di artisti, nella maggior parte dei casi ancora senza un nome certo, di formazione e provenienza diverse anche se con alcuni tratti stilistici comuni. Per la sponda bergamasca pare che la direttrice artistica cui guardare sia la Val Seriana anziché la Valle Camonica. Mentre Giacomo Borlone lavora nell’oratorio del Crocifisso di Solto Collina, uno sfaccettato catalogo di affreschi ancora di dubbia attribuzione è visibile a Parzanica (Santa Trinità), Gargarino (Santi Ippolito e Cassiano) e Zorzino (San Bernardino, affreschi strappati ora in parrocchiale). Sul lago trovano spazio il provagliese Domenico Toselli, operoso in case private e nella chiesa di San Pietro in Lamosa, e il gruppo di pittori – non locali – alle prese con una vasta campagna di affreschi inerenti le Storie di Cristo nella Disciplina di Santa Maria Maddalena a Provaglio. Ignoto è l’autore della Pietà con i santi Cosma e Damiano (ultimo quarto del XV secolo) in San Paolo a Sarnico. Affascinanti per la diversa estrazione sono i frescanti che per più di un secolo si alternano nella chiesa di San Pietro in Lamosa e le maestranze che hanno realizzato gli ex voto in Santa Maria del Mercato a Iseo. Un unicum risulta per ora sul territorio del lago la decorazione della cappella di San Pietro a Lovere (1493/94) che testimonia la presenza di un maestro altoatesino a riprova che il Sebino fu luogo di passaggio per varie maestranze. Questa varietà di orientamenti caratterizza ancora il primo quarto del XVI secolo. A cavallo dei secoli XV e XVI la bottega detta del Maestro dei Santi Ippolito e Cassiano (per il ciclo realizzato nell’omonima chiesa a Zone) propone sul Sebino (a Gandizzano, Marasino, Santa Eufemia di Nigoline) schemi piuttosto impacciati e attardati, ma che godono di un certo favore presso la committenza. Contemporaneamente, è documentata sul lago la presenza di artisti più aggiornati sulle novità elaborate nei principali centri lombardi. In Santa Maria in Valvendra a Lovere si susseguono gli interventi del bresciano Floriano Ferramola, (1514) e di Andrea da Manerbio (1535) nelle cappelle dell’Immacolata e di San Giuseppe. Capolavoro assoluto del Rinascimento sono le ante d’organo della chiesa dipinte da Ferramola e da Moretto, commissionate però nel 1515 per il Duomo Vecchio di Brescia e trasportate a Lovere solo nel XVIII secolo. Tra primo e secondo decennio approda sul lago il notevole autore della decorazione dell’oratorio di San Rocco a Peschiera, da alcuni identificato con lo stesso Romanino. Quest’ultimo interviene a Tavernola. Proprio il caso di Santa Maria della Neve a Pisogne, successiva tappa del pittore, consente di leggere le dinamiche del ‘rinnovamento’ culturale. La chiesa era stata decorata forse sul finire del secolo dai da Cemmo (restano, di questo intervento, alcune sinopie nel presbiterio e la decorazione della cappella esterna). Dopo neppure mezzo secolo, l’intera decorazione fu sacrificata a favore di un nuovo ciclo commissionato a Romanino. Sul fronte opposto si schiera l’ignoto frescante che nel 1539 realizza mediante un linguaggio assai attardato il ciclo della Passione della chiesa di Gandizzano ispirandosi ai nobili modelli romaniniani.   Federico Troletti
Il rinnovamento rinascimentale degli edifici religiosi sul lago di Iseo - Ph:visitlakeiseo.info

Parco Bastioni di Porta Mosa

Palazzo Trecchi

Palazzo Roncadelli Pallavicino Ariguzzi

Il suono di Stradivari

Audizioni con strumenti delle Collezioni del Museo del Violino.