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Duomo di Milano

La facciata, le guglie, la statua dorata della Madonnina. Il Duomo di Milano è il simbolo del capoluogo lombardo in Italia, nel mondo
Duomo di Milano - @inLombardia

Sacro Monte di Varese

Collocato su una collina alle spalle della città, con una vista mozzafiato, il Sacro Monte di Varese è Patrimonio Unesco
@inlombardia - sacro monte varese

Chiesa di San Salvatore

Situata nella parte bassa del maggengo omonimo, nella valle del Livrio, la chiesa di S. Salvatore è oggi utilizzata per poche funzioni durante il periodo estivo. Molto interessante è però la sua storia: ritenuta la più antica di tutta la Valtellina, la tradizione vuole sia stata eretta dai primi cristiani e risalirebbe al principio del sesto secolo. Lo storico Quadrio nelle sue Dissertazioni (1755) parla della valle de’ Liri e riferisce che lassù “un tempo quando Albosaggia non era ancora un borgo abitato, fiorivano numerose famiglie anche di altri luoghi della Valtellina, parte dei quali ora al Bergamasco appartengono: dove si estendeva il dominio dei Capitanei era la chiesa di S. Salvatore”. La valle del Livrio in tempi remoti fungeva infatti da collegamento tra la valle dell’Adda e la Valbrembana e questo giustifica la presenza di insediamenti in queste zone. Quando il Quadrio scriveva la chiesa appariva già restaurata e in parte rifatta, ma della sua fondazione non esisteva documento; tuttavia lo stesso storico riferisce della presenza di una lapide scritta in carattere gotico con scolpito l’anno 537 (lapide ora scomparsa ma altri fonti storiche confermano che essa era ancora presente nel 1873). Interessante è anche scoprire che documenti dell’inizio del Seicento ci dicono che la chiesa di S. Salvatore era comparrocchiale. Il Quadrio a tal proposito della chiesa dice “ch’era già parrocchia comune allora di varie terre, e del Bergamasco, e della Valtellina”: secondo lo storico S. Caterina, costruita solo nel 1354, divenne una seconda parrocchia. A prova dell’importanza ricoperta in quel periodo da S. Salvatore, negli atti parrocchiali dal ‘400 fino al ‘600 tutti gli eletti alla cura di Albosaggia vengono ricordati come curati di S. Caterina e S. Salvatore. Dal punto di vista stilistico la chiesa si può considerare barocca; subì rimaneggiamenti, restauri e aggiunte in varie epoche con interventi stilistici diversi, cosicché della struttura medioevale non rimane più nulla. Soltanto il campanile, almeno in alcuni tratti, potrebbe appartenere alla struttura originaria dell’antica chiesa. Fonte: Parrocchia di Albosaggia

Tre Faggi

Immerso nella lussureggiante Valle Imagna, il bosco dei Tre Faggi offre sentieri incantevoli per gli amanti del verde.   Camminando tra boschi di betulle e faggi, si termina il percorso fino a quota 1340 davanti ai famosi Tre Faggi secolari, circondati dalla loro storia leggendaria e accanto alla famosa “Stonehenge bergamasca”, antico santuario di pietra dedicato alla Vergine Maria che si affaccia sulla vallata e di grande impatto. Per un'esperienza davvero rustica, ci si può procurare qualche provvista direttamente in uno degli alimentari locali per un picnic all’ombra dei faggi o approfittando dei numerosi tavoli disponibili lungo il percorso, dove fermarsi ad addentare un panino imbottito delle specialità locali e godendo della tranquillità del luogo.  

Panchina gigante #53

La provincia bergamasca accoglie tante Big Bench di Chris Bangle e quella di Riva di Solto e Fonteno è una delle più celebri, riconoscibile dal numero #53 e dagli inconfondibili colori blu e verde.   La scelta cromatica è legata alla volontà di valorizzare due gioielli del territorio, il Lago di Iseo e le montagne, dove si annoverano Corna Trentapassi, Monte Guglielmo e Punta Almana tra le cime più conosciute e idilliache. La collocazione tra lago e montagna rende ancora più strategica la posizione di questa Panchina, con un invidiabile panorama da cartolina, impreziosito dal valore territoriale del progetto, che coinvolge e sostiene l’artigianato delle comunità locali e incentiva il turismo. Per raggiungere la Big Bench #53 ci sono due percorsi possibili. Il primo parte da Piazza Ongaro Parroci, a Fonteno, e dura circa 30 minuti con un lieve dislivello. Il secondo, invece, parte da Riva di Solto, con possibilità di lasciare l’auto al parcheggio n.3. Da qui si imbocca il sentiero CAI 567, opportunamente segnalato, e si raggiunge la Panchina Gigante dopo un’ora e mezza di camminata e un dislivello più impegnativo di circa 400 m.  
Ph: I Mille

Santuario San Giovanni XXIII e luoghi giovannei

Il Santuario diffuso a Sotto il Monte Giovanni XXIII
Santuario San Giovanni XXIII

Turismo accessibile al Villaggio Crespi d'Adda

Suggerimenti di visita per persone con disabilità ed esigenze specifiche
Villaggio operaio Crespi d'Adda

La necropoli romana di Lovere

Percorrendo le vie Martinoli e Gobetti che ora collegano l’Ospedale alla chiesa di Santa Maria in Valvendra, e che segnano il limite verso monte dell’antico abitato di Lovere, si costeggia l’area della necropoli romana. L’area funeraria, una delle più importanti dell’Italia settentrionale, è il principale ritrovamento di epoca romana a Lovere, dove si dovette sviluppare un abitato in seguito alla conquista romana della Valcamonica nel 16 a.C. Se dell’abitato non sono stati rinvenuti resti significativi, grazie alla necropoli è possibile delineare lo sviluppo culturale e socio-economico della comunità che lì seppelliva i propri defunti. Le vie Martinoli e Gobetti ricalcano un tratto dell’antico tracciato viario in uscita dal centro abitato verso la Valcamonica: le necropoli, infatti, si collocavano fuori dagli insediamenti. Sono state finora portate alla luce almeno 215 sepolture, la maggior parte delle quali conservava il corredo, inteso come bagaglio personale per affrontare l’aldilà. Il sepolcreto si caratterizza per l’ampio arco temporale di utilizzo, dal I agli inizi del V secolo d.C., e per la molteplicità di rari oggetti di prestigio in essa rinvenuti. Rivestono grande interesse i due corredi, unici per la loro preziosità, recuperati nel 1907 e ora esposti al Civico museo archeologico di Milano: il più noto è composto dal cosiddetto “tesoro di Scipio”, così chiamato per il nome presente sui manufatti preziosi e composto da argenterie, come la celebre “Coppa del Pescatore” lavorata a sbalzo e a bulino, e lussuosi manufatti in bronzo; l’altro è caratterizzato da monili in oro e pietre preziose. Nella prima età imperiale a Lovere si praticava il rito incineratorio indiretto, consistente nella combustione della salma su una pira in un luogo separato da quello della sepoltura. Lo spazio cimiteriale era organizzato in recinti funerari in muratura, che delimitavano specifiche aree sepolcrali di pertinenza familiare o collegiale. La persistenza nei corredi di I-inizi II secolo d.C. di oggetti tipici dei Camuni (come il bicchiere tipo Henkendellembecher di origine retica, caratterizzato da una depressione funzionale in corrispondenza dell’ansa) fa ipotizzare che gli antichi abitanti di Lovere appartenessero a tale popolo. In seguito alla conquista, la popolazione acquisì e rielaborò il pensiero e la cultura romana. Prove ne sono i manufatti tipici romani ritrovati: ceramiche fini da mensa e vasellame vitreo, monete e lucerne, ma anche oggetti d’ornamento o di abbigliamento personale, al passo con la nuova moda. Tra questi ultimi, accanto alle tipologie più diffuse, vi sono alcuni oggetti di particolare pregio come un pendaglio in oro a forma di crescente lunare e un ciondolo in vetro giallo decorato da uno scorpione, proveniente dall’area egiziana o siriaca. A partire dalla metà/fine del III secolo d.C. la cremazione viene sostituita definitivamente dal rito inumatorio. I corredi di questo periodo sono composti, in media, da un numero inferiore di manufatti, per lo più vasellame in ceramica, e oggetti di ornamento. ‘Fossili guida’ dei corredi di IV e V secolo sono le ceramiche invetriate e le armille: di queste, a Lovere è documentata quasi esclusivamente la tipologia a “testa di serpe”, cosiddetta per la decorazione che caratterizza le parti terminali dei bracciali. Dallo studio dei corredi e dalle analisi osteologiche si deduce che la maggior parte della popolazione appartenesse a un ceto medio dedito ad attività artigianali e agricole non eccessivamente pesanti. Ciò, unito alla disponibilità di cibo, permetteva di arrivare generalmente oltre i 40 anni di età, ad eccezione della mortalità che colpiva le fasce di 0-2 anni e 11-15 anni, in linea con le statistiche dell’epoca. I corredi di alcune sepolture attestano comunque la presenza di un ceto sociale alto, in grado di poter deporre nella propria sepoltura oggetti di valore e di prestigio, giunti attraverso traffici commerciali di ampio raggio.   Chiara Ficini  
Necropoli romana Lovere - ph: visitlakeiseo

Villa Giuseppe Faccanoni

La Villa Giuseppe Faccanoni (1907) è posta sulla riva del lago in Via Veneto ed è circondata da un vasto parco che la protegge da occhi indiscreti.  Superata l’originale cancellata in ferro battuto realizzata da A. Mazzucotelli, sulla sinistra si trovano la portineria e una casetta che un tempo serviva come rimessa per le carrozze. Subito si apre il rigoglioso parco solcato da sentieri che consentono di raggiungere la villa e di ammirarla da diversi punti di vista. E’ un edificio a due piani con mansarde, bovindi e terrazzo torre, posto longitudinalmente rispetto al lago, con l’ingresso principale all’angolo smussato. Si erge sopra un basamento in pietra il cui effetto di solidità è prontamente contraddetto dall’aprirsi di scalinate, finestre e balconi. Il tetto si compone di falde poste su livelli diversi e interrotte da belvedere e da grossi camini. Elementi di grande fantasia sono il balconcino circolare d’angolo e i “rostri” che dall’alto si protendono verso il lago. Importante nella decorazione l’uso di materiali tipici del luogo (pietra di Sarnico e di Credaro) coniugati con il cemento, il cotto, la ceramica, gli stucchi.  All’interno gli spazi sono disposti in maniera animata attorno al vano delle scale e sono collegati senza corridoi di disimpegno. Villa Giuseppe Faccanoni è una delle cinque opere architettoniche in stile Liberty nel Comune di Sarnico.
Villa Faccanoni - ph: visitlakeiseo

Le Terme della Villa dei Noni

Fin dal secolo scorso è nota a Predore l’esistenza di una villa romana. Dal 2003, i lavori di riqualificazione della vasta area occupata dall’ex fabbrica Lanza Gomme hanno permesso di scoprire un altro settore della villa. L’edificio disposto su una superficie di circa 15000 mq si estendeva in direzione nord-sud dai piedi del monte, poco oltre l’attuale strada provinciale, fino alla sponda del lago, che all’epoca era circa 70 m più vicina dell’attuale; i limiti orientali e occidentali erano definiti da due corsi d’acqua, a est dal corso che scende dalla valle Muradella e a ovest dal torrente Rino. La villa, abitata dal I secolo a.C. al IV d.C., è nota per l’impianto termale, che venne realizzato tra il II e il III secolo. Si ritiene che quest’opera sia da porre in relazione con la presenza a Predore della famiglia del console e senatore Marco Nonio Arrio Muciano, alla quale probabilmente apparteneva l’abitazione, che era dotata di mosaici rinvenuti nel corso delle ricerche e di scavi occasionali. L’area delle terme è oggi visitabile. In situ è stato realizzato un antiquarium che permette di affacciarsi direttamente sui resti e di seguirne lo sviluppo da destra, subito dopo i pannelli illustrativi. La realizzazione delle terme nell’area occidentale della villa comportò notevoli interventi architettonici che modificarono la struttura edilizia precedente, di cui poco si conosce. Le evidenze murarie delle prime fasi, di I secolo a.C. e di I secolo d.C., si conservano parzialmente e solo a livello di fondazione, in quanto ancora inglobate oppure ricoperte dalle fasi successive. Gli ambienti termali seguono lo schema classico: parte da nord-est con il calidarium, composto da quattro ambienti, rettangolari e adiacenti, dotati di un riscaldamento a ipocausto. Il sistema a ipocausto prevedeva la circolazione di aria calda nell’intercapedine formata tra due piani pavimentali separati da pilastrini circolari o rettangolari in mattoni, disposti a intervalli regolari (pilae). L’aria calda proveniva da un unico grande forno (praefurnium) al quale si accedeva da un vano ipogeo: in esso è stato rinvenuto uno strato di ceneri spesso un metro che testimonia l’uso prolungato dell’impianto. Tale strato arrivò persino a occludere il vano d’accesso, per cui fu necessario creare un nuovo ingresso con una scala discendente, visibile nell’angolo nord-est della stanza. È ancora da comprendere la ragione per cui non venissero rimossi i resti della combustione; tra questi sono stati riconosciuti resti di olivo, la più antica attestazione della coltivazione dello stesso nella zona dei grandi laghi prealpini. In una fase successiva venne demolito il perimetrale sud-ovest dell’edificio per costruire il complesso tepidarium - frigidarium. Il primo, una stanza a temperatura moderata, aveva forma circolare e fungeva da cerniera con la nuova ala, disassata verso est di circa 15°. Il frigidarium, così detto per la presenza di acqua fredda, è una stanza rettangolare, in origine dotata di una copertura pavimentale e parietale in lastre di pietra e di una fontana nell’angolo nord-ovest, di cui rimangono resti di fistulae di piombo (tubi di conduttura dell’acqua) e la traccia sul piano pavimentale. Il frigidarium, infine, si apriva a sud verso la natatio, grande vasca rivestita con grosse lastre squadrate di pietra bianca locale. Tra i reperti esposti nell’antiquarium è degno di nota un mattone con una faccia coperta da vari graffiti (sequenza alfabetica, numeri, segni non interpretati), frutto di un’esercitazione scolastica: i mattoni infatti, durante la fase di essicazione, fungevano da supporti scrittori. Di particolare rilievo una scritta riferibile a un componimento in cui viene citato il dio Nettuno, il cui culto era diffuso in area cisalpina, dove veniva associato alla presenza di fiumi e laghi.   Chiara Ficini
Terme Villa dei Noni - ph: visitlakeiseo

Gradinata Ratto

Questa gradinata prende il nome dal fatto di aver sostituito una via estremamente ripida che, a causa della sua forte pendenza, nel Rinascimento era detta popolarmente “il ratto”. In origine era una via che, correndo lungo le mura orientali del borgo fortificato, collegava velocemente il Castello nuovo di Lovere, che sorgeva in alto presso la chiesa di San Giorgio, con il porto in basso sulla riva del lago. Questa via, che corrispondeva anche alla strada di ronda e allo spazio dedicato alle operazioni militari in caso di eventi bellici, decadendo nel XV secolo le funzioni difensive, fu poi adibita a rapido, se non proprio comodo, percorso d’accesso dal porto e dal borgo di Santa Maria alla chiesa parrocchiale di San Giorgio. Oggi rimane uno dei punti più caratteristici del centro storico di Lovere.
Gradinata Ratto - ph: visitlakeiseo

Torre Civica a Lovere

Piazza V. Emanuele II nel Medioevo era il luogo centrale dell’abitato di Lovere; in essa confluiscono tutte le vie piccole e strette del borgo medievale. Era caratterizzata dalla presenza del palazzo podestarile e dalla torre civica, edifici pubblici di origine medievale che per centinaia di anni hanno ospitato la sede comunale e le magistrature loveresi (tribunale e carceri). Nella piazza, centro di molte attività notarili, si trovava la gogna e venivano eseguite le sentenze, anche capitali. Era inoltre il centro in cui si svolgevano fiorenti commerci, in particolare di sostanze connesse con la produzione dei panni lana attività in cui Lovere nel Rinascimento eccelleva. Oggi sulla torre civica (alta circa 28 metri) si osservano alcuni affreschi richiamanti le diverse signorie che hanno dominato la cittadina, tra cui spicca un affresco con il leone, simbolo del dominio veneto, recante la data 1442. Nel percorso di risalita verso l’alto, non solo nello spazio, ma anche nel tempo, il visitatore può trovare e conoscere le 12 Ore/Ere di Lovere, le Ore che hanno contraddistinto la storia della cittadina, ed alla sommità, finalmente, scoprire la Lovere contemporanea.
Torre Civica, Lovere - ph: cadei - visitlakeiseo