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Il nucleo storico di Sarnico

Sarnico, posta sulla sponda settentrionale della zona in cui il lago si stringe fino a ridiventare fiume Oglio, domina il basso Sebino. Questa delicata area fu oggetto di continua attenzione da parte degli abitanti del lago che regolarono le acque per le attività di pesca, per l’irrigazione della pianura e per il trasporto delle merci attraverso l’Oglio prima e la roggia Fusia poi. All’organizzazione della pesca con le nasse si lega il documento più antico su Sarnico: nell’861 la sua piscaria era donata dall’imperatore Ludovico II al monastero di Santa Giulia di Brescia. Per la posizione strategica al confine con il territorio bresciano, durante il Medioevo a Sarnico si insediarono famiglie feudali di primo piano nel contesto lombardo. A queste, in particolare al conte di Bergamo Giselberto IV, si deve la donazione di Santa Maria di Nigrignano al monastero cluniacense di San Paolo d’Argon nel 1081, con un vasto patrimonio. San Paolo d’Argon avrebbe poi ampliato ulteriormente i suoi possedimenti e nel 1122 la corte di Sarnico comprendeva tre cappelle. I diritti di San Paolo d’Argon passarono poi ai Martinengo e ai conti di Calepio che esercitarono per secoli il controllo su Sarnico e la val Calepio. Il centro venne quindi coinvolto nel XII secolo nelle lunghe lotte che opposero Brescia e Bergamo per il controllo del territorio sebino. Nel Medioevo Sarnico assunse una configurazione con il centro chiuso entro mura con tre porte e dominato dal castello. Delle antiche difese rimangono alcune porzioni di torri e diverse tracce dell’antica recinzione muraria sull’esterno di alcune case. Il cuore antico della cittadina è un groviglio di vicoli e di sottopassaggi, di anguste piazzette, di palazzetti con logge e porticati, di portali con stemmi gentilizi. Tutta la parte antica, situata su una sorta di naturale terrapieno con vista a lago, ruota attorno alla chiesa di San Paolo (ora quattrocentesca ma di origini più antiche) presso la quale si può scorgere una feritoia appartenente all’antico castello. Alle vicende medievali va ricondotta anche la costruzione nel XII-XIII secolo della rocca Zucchelli, che dominava da nord l’abitato e che sorgeva in località Molere: del fortilizio, distrutto e ricostruito più volte, sono ancora visibili i resti in corrispondenza della grande croce sulla cima dell’altura. Dopo la pace di Lodi (1454), Sarnico passò definitivamente sotto il dominio veneziano e la nuova stagione di pace venne interrotta solo per l’attacco e la distruzione del castello (1521) ad opera dei Lanzichenecchi durante la guerra contro Carlo V. Grazie alla nuova stabilità e al favore dei Veneziani, Sarnico consolidò la sua vocazione di centro mercantile. Particolare rilievo assunsero le cave di arenaria, la tipica pietra grigia detta, per l’appunto, di Sarnico che conobbe un ampio impiego nell’architettura civile e religiosa non solo sebina. Fino alla chiusura questi cantieri ospitavano alcune centinaia di cavatori. La cittadina si sviluppò intorno alla piazza sul porto, mentre il cuore religioso – la chiesa di San Martino – era al margine settentrionale dell’abitato: oggi si presenta nella ricostruzione settecentesca che mantenne però parte delle strutture antiche, visibili nelle murature laterali esterne e nella prima cappella sinistra. Nel 1796 Sarnico divenne parte della napoleonica Repubblica Cisalpina: fu sede di pretura (palazzo di angolo tra via Albricci e via Piccinelli) ed ebbe una gendarmeria (nell’ex palazzo Gervasoni, ora Biblioteca e Pinacoteca “G. Bellini”). Nel 1817 fu, quindi, costruito un ponte di legno che collegava stabilmente Sarnico con la provincia bresciana (il ponte in ferro fu posizionato nel 1889). Nella prima metà dell’800 iniziò anche la navigazione lacuale con i battelli, furono migliorati i collegamenti stradali e sistemato il porto e il fronte lago, ma Sarnico veniva ancora descritta come un villaggio con un piccolo territorio assai fertile di ulivi, vigne e gelsi. Nel Novecento la cittadina subisce una nuova trasformazione, legata all’ulteriore sviluppo economico e alla presenza di una famiglia di primo piano dell’imprenditoria lombarda: grazie ai capolavori di Giuseppe Sommaruga per la famiglia Faccanoni, e per l’emulazione che suscitano nella borghesia locale, Sarnico si riveste delle sinuose forme Liberty. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, una serie di nuove realtà industriali ha condotto a un accelerato e massiccio sviluppo urbanistico, accompagnato da interventi per la fruizione turistica della città e del suo fronte lago, come il lungolago. L’impianto urbanistico di Sarnico non è di facile lettura. Tuttavia la visione del paese per chi proviene dalla parte bresciana del Sebino permette di intuire un primo nucleo di piazze e di edifici di epoca ottocentesca e novecentesca ritmati da portici e facciate con lunghe balconate. In corrispondenza dell’attraversamento tra le due coste si aprono le piccole vie del centro storico che salgono verso la parte più antica del borgo. Alla destra del ponte si snoda invece la parte più moderna dell’abitato, che comprende anche i cantieri nautici e i lidi. Qui si segnala inoltre la presenza dell’antico insediamento cluniacense di Santa Maria di Negrignano, trasformato in struttura industriale e recentemente recuperato come spazio per iniziative culturali. Dal piccolo centro urbano è possibile, inoltre, avventurarsi alla scoperta delle piccole frazioni di Fosio e Castione, originariamente appartenenti al comune di Villongo Sant’Alessandro, ma congiunte a Sarnico nel 1929 e oramai collegate al centro senza soluzione di continuità. In località Fosio Fosio, vi era un forno fusorio e il primo mercato cittadino e vi sorge la Cappella dei morti della peste del 1630; il piccolo centro di Castione, da cui si può salire alla rocchetta Zucchelli, conserva la chiesa dedicata ai santi Nazaro e Rocco (con affreschi del XII e del XV e XVI secolo).   Monica Ibsen
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La Lombardia è una terra antica dalla storia ricca e piena di incanto: nei suoi territori accoglienti e generosi, si sono alternati popoli e culture diversi, Etruschi e Umbri fino al 400 a.C., poi Galli, Romani, Barbari e Longobardi e poi ancora, nei secoli più recenti, Francesi e Spagnoli.   La loro cultura, le tradizioni, i riti e i miti restano nelle leggende, nei racconti e nelle opere rurali, architettoniche e religiose che raccontano ai contemporanei vita e segreti dei tempi che furono. Si sa, le storie riportate perdono dettagli, lasciando vuoti che si riempiono di misteri. Eccovi 5 mete per una gita inconsueta in Lombardia. A Rezzato (Bs), per esempio, nel bosco che circonda un antichissimo convento francescano, è celato uno strano manufatto vecchio di secoli: si dice rappresenti la faccia del diavolo…    Faccia a faccia con il diavolo, a San Pietro in Colle In bresciano lo chiamano “Diaol” o “Mostasù”, cioè faccione, e trovarlo non è facile. Capire cos’è, ancora meno. Inoltrandovi nel folto del bosco sulla collina dove sorge il monastero francescano di San Pietro in Colle (XI sec.) a Rezzato, imboccate il sentiero della Rasa che parte dall’edificio e proseguite tra gli alberi secolari, fino a raggiungere il grande masso tra il sentiero e il pendio. Fate attenzione, scolpito nella roccia vi apparirà un bassorilievo inquietante: “la faccia del diavolo”, un volto metà umano e metà bestiale che custodisce l’antico luogo. Sul faccione circolano tante leggende: alcune si rifanno alla data misteriosa (1798) scavata nella pietra, che riporterebbe alla morte di un uomo, altre dicono che si tratti proprio della faccia di un demonio e che nel bosco sacro si celebrassero i sabba delle streghe. Tra il fauno e il satiro, Mostasù, più prosaicamente, ricorda il Green Man, il celtico spirito-guardiano dei boschi, conosciuto anche come Pan, antichissimo dio della vegetazione e della fertilità.   Quante costole hanno i draghi?Il Santuario della Madonna di Sombreno a Paladina (1443) e la Basilica romanica di San Giorgio in Lemine ad Almenno San Salvatore (1171), entrambe in provincia di Bergamo, condividono una straordinaria curiosità. Dalle volte dei due antichi edifici pendono, dalla notte dei tempi, le costole di un drago! Narra la leggenda, che queste antichissime reliquie appartenessero al feroce drago che viveva nei pressi del Brembo, poi sconfitto da San Giorgio. Simbolo della vittoria del bene sul male, le mitologiche costole di drago sono costole… di balena. Un cetaceo ancora più antico del drago che risale a 5 milioni di anni fa, al Pliocene, quando la Lombardia era sommersa dell’attuale Mare Adriatico.   Massi erratici e avelli del Triangolo Lariano Nelle zone di Torno e Blevio in pieno Triangolo Lariano (Co), due impressionanti blocchi di roccia, la Pietra Pendula dalla forma a fungo e la Pietra Nairola, una grande tavola piatta che sporge dalla montagna, attirano la curiosità dei turisti. La leggenda racconta che il diavolo amasse giocare a palla sulla Pietra Nairola e che la parte sporgente in equilibrio del masso sia opera della Madonna. In realtà si tratta di massi erratici, grandi blocchi di roccia isolati, trasportati dai ghiacciai nel corso del Quaternario. Alcuni sono Monumenti naturali, riconosciuti nel 1984 dalla Regione Lombardia. A Torno, si trovano anche i massi avelli, misteriose tombe a forma di vasca (V-VI sec. d.C) scavate nei massi erratici: l’avello del Maas, di Rasina, dei Piazz, di Negrenza…
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