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Un po’ di Islanda in Valmalenco

Questo itinerario è l’ideale per chi in estate vuole scappare dal caldo insopportabile della città e scoprire piccoli angoli freschi e isolati. Il sentiero permette anche di immergersi in un paesaggio unico in Lombardia, dai vivaci colori in autunno, che si raffreddano arrivando in una piccola laguna dall’aspetto islandese, punteggiata da tanti piccoli iceberg. In alta Valmalenco, c'è un luogo che richiama i lontani e freddi scenari nordici: un lago ghiacciato, una spiaggia di terra nera e un'immensa falesia congelata, è il ghiacciaio Fellaria che si estende fino a quota 3.500 m nell'omonimo altopiano. Si tratta di un paesaggio in continuo mutamento dove non sarà raro assistere a grossi stacchi del fronte basso o a spettacolari slavine e crolli, accompagnati da assordanti boati provenienti dal fronte superiore. Ad oggi il ghiacciaio, in seguito al suo progressivo scioglimento, è diviso in due colate distinte, separate tra loro dalla cima Sasso Rosso: il Fellaria Est (Vedretta Orientale) e il Fellaria Ovest (Vedretta Occidentale).L'escursione proposta consente di vedere distintamente la lingua Ovest e di raggiungere il laghetto sottostante alla lingua Est. Il sentiero, di tipo escursionistico, ha un dislivello di circa 600 m e una durata approssimativamente di 5/6 ore. Durante la sua percorrenza sarà possibile ammirare immensi bacini alpini, fitti boschi di larici, torrenti cristallini ed infine lo spettacolo del gigante di ghiaccio. Non si tratta di un trekking complesso e sono inoltre del tutto assenti punti tecnici o esposti, ma è comunque richiesta una certa dose di allenamento e un abbigliamento adeguato. Fortunatamente per i più piccoli e per chi non ha abbastanza fiato, c'è la possibilità di fermarsi esattamente a metà strada per sostare al Rifugio Bignami, un ottimo punto d'appoggio per la passeggiata e anche uno dei luoghi più panoramici dell'intera escursione. Il sentiero inizia alla base della diga di Alpe Gera; per raggiungere il parcheggio bisogna dirigersi in alta Valmalenco per poi seguire le indicazioni per Campo Moro. L'ultimo tratto di strada (dal paese di Lanzada in poi) è abbastanza stretto e con molti tornanti, ma le numerose piazzole permettono comunque il passaggio di due veicoli nei sensi opposti.Se si vuole salire in autunno, è bene informarsi sullo stato della strada telefonando al Rifugio Poschiavino, al Rifugio Zoia o direttamente all’ufficio turistico della valle. Una volta giunti in località Campo Moro, sulla sinistra sarà ben evidente la diga e un piccolo bacino artificiale, sulla destra si estende invece un ampio parcheggio a pagamento. Questo parcheggio dista circa 1 km dall'inizio effettivo dell'escursione, ma se arrivate in tarda mattinata è possibile che solamente quest'area abbia dei posti ancora liberi. Proseguendo sulla strada in auto, dopo avere attraversato un paio di gallerie, si giunge finalmente al parcheggio della diga di Alpe Gera. Il parcheggio è sterrato e leggermente più ampio del precedente. Il costo è di 6 € per l'intera giornata. Portatevi delle monete perché le macchinette non accettano carte o banconote. In autunno l'ultimo tratto di strada e l'area direttamente adiacente al secondo parcheggio sono veramente uno spettacolo meraviglioso, i larici dorati riempiono il paesaggio di colore e, lasciando cadere i loro aghi, coprono parte della carreggiata. Queste grandi fiamme arancioni e gialle sono ovunque, sia sulla piana che sui ripidi pendii delle montagne circostanti, il bellissimo contrasto creato tra i colori caldi del bosco e le rocce scure delle montagne fa innamorare di questo luogo. Ad impreziosire la tavolozza di colori ci pensa il sole che, colpendo il bacino di Campo Moro, lo accende di un turchese intenso tipico dei laghi di origine glaciale. Dopo essersi rifatti gli occhi, si inizia a camminare con l'obiettivo di raggiungere la sommità della diga. È possibile proseguire dritti lungo il sentiero, abbastanza ripido, che comincia alla fine del parcheggio, oppure imboccare la strada sterrata chiusa al traffico che conduce sotto il muro della diga. Il sentiero, dopo pochissimi metri in piano, devia subito sulla destra e prosegue con tornanti abbastanza ripidi fino al raggiungimento del piccolo edificio dell'Enel posto alla base della diga.Si prosegue sull'apposita passerella situata sul fianco del muro della diga, che in meno di 5 minuti consente di guadagnare i restanti metri di dislivello e di raggiungere finalmente la sommità della diga di Alpe Gera.L’enorme sbarramento artificiale sembra separare due mondi completamente opposti: sulla sinistra il bosco di larici intrappola il bellissimo specchio d'acqua di Campo Moro, sulla destra, invece, c'è un vasto bacino d'acqua dai riflessi verdi e blu smeraldo: il lago di Gera. Nonostante trovarsi sopra un lago alpino così grande sia uno spettacolo particolare (la diga ha una capacità di 68 milioni di metri cubi d’acqua), ciò che più attira l’occhio sono le montagne del gruppo del Bernina che si estendono tutt'intorno, dominate da Sasso Rosso, Cima Fontana e Sasso Moro.Aguzzando la vista è inoltre possibile scorgere in lontananza il Rifugio Bignami, la prima meta del nostro itinerario, e poco sopra, parzialmente coperto dalle nuvole, un immenso strato bianco di ghiaccio, si tratta della parte alta del Fellaria Est. Le possibilità per raggiungere il Rifugio Bignami sono due: proseguire lungo la diga e imboccare il sentiero che affronta la salita sulla sinistra del lago e che in 1h / 1h e 30’ conduce al rifugio, o passare sulla destra del lago, raggiungere l'Alpe Grembé e solo successivamente il rifugio (1h e 30’ / 2h).Con un po' di tempo a disposizione è possibile pensare di affrontare un tratto durante la salita e l'altro al ritorno, andando così a compiere il giro completo del lago. L’itinerario proposto però non presenta la variante di destra. Si prosegue quindi sulla sommità della diga fino ad imboccare nuovamente il sentiero, che si arrampica sulla parete laterale di Sasso Moro con un paio di tornanti molto ripidi, per poi perdere qualche metro di quota con una scalinata di pietra molto ben tenuta.La parte più faticosa è già alle spalle e i restanti 200 m di dislivello vengono raggiunti con grande facilità, proseguendo lungo un tratto su fondo terroso con una pendenza costante e mai eccessiva. Il tempo di percorrenza di questo ultimo tratto è di circa un'ora, ma ad ogni passo si aprono nuovi incredibili scorci sul bacino di Gera, che rendono difficile percorrere il sentiero con passo troppo spedito.A questa altitudine l'erba cresce ancora rigogliosa e numerosi alberi riescono ad aggrapparsi ostinati alle pendici rocciose della montagna. Il paesaggio ha colori mutevoli che continuano a variare per via del continuo inseguirsi e nascondersi delle nuvole che giocano con il sole e naturalmente cambiano di stagione in stagione. Dopo numerose pause fotografiche si giunge a quota 2.389 m su uno spiazzo roccioso dove sorge il Rifugio Bignami. La posizione è veramente splendida: un balcone naturale che garantisce una vista perfetta sul lago e sulla vedretta di Fellaria Orientale.Il punto panoramico più suggestivo dove poter ammirare il ghiacciaio è facilmente individuabile da un omino di pietra e alcune bandierine tibetane.Tutta quest'area è chiamata Alpe di Fellaria, uno degli alpeggi alpini più ad alta quota in Italia (2.400 m). Infatti poco oltre il rifugio, in una posizione particolarmente riparata, sorgono una serie di piccole baite in pietra. Per chi vuole raggiungere il ghiacciaio bisogna imboccare il sentiero Glaciologico Luigi Marson. Una bacheca situata a pochi metri dal rifugio e un grande poster messo sulla parete accanto alla porta di ingresso, indicano la struttura del sentiero successivo.Il sentiero Glaciologico è diviso in tre parti: A, B e C. Percorrere tutte e tre le varianti richiederebbe dalle 5 alle 6 ore, ma per raggiungere il ghiacciaio e il piccolo laghetto, basta solamente seguire il sentiero C (1h 30’ circa). Si svolta quindi a sinistra del rifugio e si inizia a seguire l’ampio sentiero che in pochi minuti conduce alle baite dell’alpe.Superato il piccolo gruppo di costruzioni si tiene la destra fino a raggiungere e percorrere un piccolo ponticello di legno. Da qui in avanti è bene fare attenzione ai segnali dipinti sulle rocce o tenere attentamente sotto mano una mappa: il sentiero è infatti indicato da segnavia di colore azzurro e non più dai classici segnali rosso/bianchi. Si cammina ora in mezzo ad una vasta area erbosa che consente di avvicinarsi sempre di più ad una maestosa parete di roccia. Il sentiero C svoltando a destra passa proprio alla base di questa parete, il tratto per raggiungere punta Marinelli invece ci sale sopra. Sbagliare strada in questo punto potrebbe allungare di molto l’escursione, è quindi necessario controllare con attenzione dove si trovano i segnavia del sentiero C.Lungo questo tratto c'è anche una breve parte attrezzata con una catena, posizionata lungo la parete per aiutare il superamento di una piccola salita. Vista la natura del sentiero comunque non si sente il bisogno di aggrapparsi a questo supporto.Superata la salita si giunge ad una grande piana detritica. Il paesaggio cambia nuovamente e l’erba ormai lascia completamente il passo ad enormi massi morenici e resti di antiche frane. La completa assenza di vegetazione, il vento freddo che proviene dal Fellaria Orientale e la leggera neve che sta iniziando a cadere catapultano l’escursionista in un paesaggio glaciale completamente diverso da quello osservato durante tutta la salita. Scendendo di qualche decina di metri si giunge al centro della piana, dove un piccolo ponticello permette di superare un torrente. Posti ad intervalli regolari iniziano ora a susseguirsi bacheche e piccole targhe che indicano le diverse fasi del ritiro del ghiacciaio.Superando un secondo ponte e girandosi verso ovest è possibile scorgere la grande parete di ghiaccio del Fellaria Occidentale (2.750 m), posta a sinistra della cima di Sasso Rosso. Dal suo progressivo scioglimento si è formato un laghetto di piccolissime dimensioni visibile proseguendo lungo il sentiero C. L’itinerario proposto non permette di avvicinarsi allo specchio d’acqua e consente di osservarlo solamente da lontano, sono però presenti delle deviazioni per poterlo raggiungere. Il tratto che segue è il più complicato di tutta l’escursione. Il sentiero infatti si inerpica su una lunga distesa di detriti fino a raggiungere quota 2.600 m. In questa sezione è assolutamente necessario seguire la traccia indicata dai numerosi segnavia, evitando di avventurarsi sulle rocce circostanti, che potrebbero essere poco stabili.In circa 20 minuti comunque si giunge al punto più alto e si può finalmente ammirare il lago del Fellaria Orientale, alimentato dalle acque di scioglimento della parte bassa del ghiacciaio e disseminato di tanti piccoli iceberg. Questa parte di ghiacciaio si è spezzata nel 2006, andando a creare una parte superiore alta ben 2.900 m e una inferiore, separate tra loro da un lungo costone di roccia.Nel corso del tempo la parte inferiore si è ritirata, andando a formare due piccoli laghetti che solamente di recente si sono uniti nel lago visibile oggi.Il ghiacciaio nel 1850 si estendeva per ben 23 chilometri quadrati, mentre oggi ha una superficie ridotta solamente a 9. Per tutte queste ragioni l’itinerario non può spingersi oltre questa posizione. Ogni ulteriore avvicinamento deve essere fatto valutando attentamente i rischi e la situazione del ghiacciaio e tenendo in considerazione che, in caso di pericolo, in tutta questa zona non c’è campo. Come sottolineano i cartelli inoltre è assolutamente vietato avvicinarsi troppo alla falesia bassa o provare ad arrampicarsi sul ghiaccio. Anche stando a debita distanza lo spettacolo è assicurato: il fronte alto si staglia contro l’orizzonte, sormontando una parete rocciosa verticale di quasi 250 m e i suoi frequenti crolli disegnano delle lingue di neve lungo le fessure tra le rocce, andando così a creare un bellissimo contrasto di colori. La parete di ghiaccio bassa è probabilmente ancora più incredibile, le sue forme frastagliate, le diverse grotte di ghiaccio scavate al suo interno e i bellissimi riflessi azzurri riportano la mente a paesaggi visti solamente in qualche paese distante. A completare il quadro ci pensa il lago, letteralmente riempito di grossi pezzi di ghiaccio continuamente mossi dal leggero vento e sospinti verso la riva dove vanno a depositarsi e a sciogliersi lentamente, come dei grossi diamanti incastonati nella sabbia scura della costa.Il luogo è generalmente molto frequentato, ma se verrete qui fuori dagli orari di punta sarà possibile godere pienamente del suono del ghiacciaio, costituito da lunghi silenzi e fragorosi boati. Inoltre potreste anche avere la fortuna di vedere i piccoli gruppi di stambecchi che generalmente si aggirano sulle sponde del lago. Dopo una lunga pausa per fare qualche foto si è pronti per tornare. Il sentiero del ritorno viene percorso lungo lo stesso tragitto dell’andata. Non si segnala nessuna particolare variazione percorrendo il sentiero al contrario: il tratto con la catena continua ad essere facilmente affrontabile e non ci sono punti esposti o pericolosi.Sulla via del ritorno, data la posizione particolarmente privilegiata e visti anche gli ottimi piatti che servono, vale la pena fare una sosta al Rifugio Bignami. In estate gli spazi esterni e la balconata sono un ottimo punto panoramico per ammirare il lago. In autunno, durante una leggera nevicata, apprezzerete invece molto di più il calore dell’interno accompagnato magari da una fetta di torta o dal “piatto tipico” costituito da una porzione veramente abbondante di polenta, salsiccia e formaggio fuso.Dopo la pausa si ricomincia la discesa, anche la restante parte di sentiero si percorre con relativa semplicità e in circa 1 ora si raggiunge nuovamente il parcheggio alla base della diga. - Ph: Stefano Poma
Un po’ di Islanda in Valmalenco

La glaciale Valle dei Forni

Il cammino ad anello qui proposto, permette di percorrere tutta la valle dei Forni, posta al centro del gruppo Ortles – Cevedale, una vallata di origine glaciale percorsa dall’impetuoso torrente Frodolfo alimentato dal ghiacciaio, le cui pendici sono tappezzate da radi boschetti di larici. Lo spettacolo di questo luogo è soprattutto dato dall’incredibile veduta sull’imponente ghiacciaio dei Forni, il più grande ghiacciaio vallivo italiano, che diviene ben visibile già a pochi minuti di camminata dal parcheggio e che rende questo luogo assolutamente unico in tutte le Alpi centrali. Il sentiero è ben segnalato con diverse indicazioni colorate sulle rocce e con moltissimi cartelli posti nei bivi principali. Nonostante sia classificato come escursionistico, i tratti complicati sono veramente pochissimi e, con un po’ di attenzione, può essere percorso da tutti. Anche se in autunno si potrebbero incontrare dei tratti completamente ghiacciati. Per questa ragione è assolutamente consigliato controllare l’eventuale presenza di neve e portare con sé dei ramponcini se si ha intenzione di affrontare il trekking da inizio ottobre in poi. Dopo la prima nevicata consistente comunque si consiglia di evitare questo itinerario, a favore di altre proposte più semplici che hanno come punto di partenza il parcheggio dei Forni o direttamente il paese di Santa Caterina. Dal paese di Santa Caterina in Valfurva, imboccando la strada comunale dei Forni, si ha accesso alle valle dei Forni. Il percorso affronta la salita lungo il versante destro, per poi raggiungere la base del ghiacciaio e i ponti tibetani posti proprio dove nasce il torrente. La discesa avviene invece lungo il versante opposto, con la possibilità di fare una sosta al Rifugio Branca. Il Sentiero Glaciologico è probabilmente il tracciato migliore per poter vivere pienamente l’esperienza di una camminata in un luogo così suggestivo. In primavera la valle è infatti famosa per le sue bellissime fioriture e le mandrie di animali al pascolo; non sarà inoltre raro vedere marmotte, camosci ed ermellini. In autunno l'esplosione dei colori è invece da ricercare sulle chiome dei numerosi larici sparsi all’inizio della vallata. Qualunque sia il periodo da voi scelto però la bellezza del ghiacciaio e la maestosità delle Tredici Cime che lo sovrastano rimarrà la stessa. Per arrivare al parcheggio bisogna raggiungere il paese di Santa Caterina, dove è necessario acquistare un ticket dal costo di 5 euro presso l’ufficio turistico. In bassa stagione e durante alcune giornate lavorative le regole però potrebbero cambiare, mentre in certi periodi la strada potrebbe venire chiusa; per questo è consigliato contattare anticipatamente l’ufficio turistico del paese. Da Santa Caterina si imbocca la strada comunale dei Forni lunga circa 4 km che, sebbene presenti alcuni tratti un po' stretti, è comunque sempre asfaltata e ben tenuta.Al termine della strada si giunge ad un ampissimo parcheggio sterrato. I posti auto sono moltissimi, ma in piena estate c'è sempre un alto afflusso di persone, con conseguente rischio di non trovare uno spazio libero. Appena usciti dall’auto si nota immediatamente il Rifugio Forni, posto in una posizione sopraelevata a pochi passi dall’area di parcheggio più alta. È incredibile pensare come un tempo in inverno il ghiacciaio si estendesse fino a qui, andando di fatto a coprire l’intera valle. Negli ultimi 150 anni il progressivo ritirarsi della massa di ghiaccio è stato costante e dagli inizi del 1900 la superficie si è ridotta del 36%. Proseguendo nella camminata saranno sempre più evidenti le tracce di questo triste fenomeno. Per imboccare il sentiero bisogna raggiungere una grande bacheca posta alla fine del parcheggio, si gira quindi a destra e si attraversa il torrente; qui un cartello segna l’inizio del sentiero Glaciologico Basso (524) e di quello Alto (520), che nella prima parte coincidono. Il tratto prosegue ora lungo una singolare scalinata fatta interamente di rocce e, dopo una breve salita, si addentra in un piccolo boschetto di larici.In autunno questa prima parte del sentiero è un vero spettacolo per via dei colori giallo e arancione dell’erba e delle chiome degli alberi. Sfortunatamente da qui non è ancora possibile ammirare il bianco intenso del ghiacciaio dei Forni, ma anche così vale sicuramente la pena fermarsi per qualche scatto. Il sentiero prosegue con una salita costante ma non troppo impegnativa fino alla deviazione con il sentiero Glaciologico Alto. Data la stagione autunnale, il tratto proposto è quello del sentiero Glaciologico Basso, sia per poter rimanere ad una quota inferiore sia per poter ammirare meglio i larici, i quali sono del tutto assenti nel tratto più alto. In estate invece la scelta dipende dal tempo a disposizione e dal dislivello che si ha intenzione di percorrere. Entrambi i sentieri comunque si ricongiungono dopo pochi chilometri, in corrispondenza dell’ultimo tratto prima dell’arrivo al ghiacciaio. Girando a sinistra si rimane quindi sul sentiero CAI 524, che prosegue a mezza quota con diversi saliscendi mai impegnativi. Per lunghi tratti il sentiero diviene quasi pianeggiante e permette di godersi appieno la camminata in mezzo al bosco. Giunti circa a quota 2.250 m gli alberi iniziano a lasciare spazio alla classica vegetazione di alta montagna ed è proprio in questa parte che finalmente la vista può aprirsi all’incredibile bellezza del ghiacciaio e alla cima innevata del monte di Peio. Tanti piccoli ruscelli cristallini, una spruzzata di neve sui pochi arbusti rimasti ed in lontananza un’enorme massa di ghiaccio bianco: sono questi gli scorci che regala la Valle dei Forni. Proseguendo il sentiero si sposta sempre di più verso il centro della valle fino al raggiungimento della deviazione per il Rifugio Branca (situato sul lato opposto del torrente). Per chi non ha più fiato c’è quindi la possibilità di concludere qui la salita verso il ghiacciaio e proseguire lungo un sentiero molto più dolce che in 30 minuti conduce al rifugio. Per tutti gli altri il mio consiglio è quello di ignorare il cartello con l’indicazione per il rifugio e proseguire andando dritti, senza però scordarsi di una piccola deviazione per visitare i due ponticelli in legno che, al centro della valle, consentono di superare il torrente e raggiungere il rifugio. Quello che inizia ora è probabilmente il tratto più complesso: da quota 2.300 m bisogna raggiungere i 2.500, lungo un sentiero che si fa sempre più stretto e con un fondo molto roccioso e sconnesso. In autunno diversi tratti purtroppo si coprono di ghiaccio per via dei numerosi ruscelli che li attraversano. Se le lastre di ghiaccio non sono troppo estese è possibile deviare brevemente fuori dal sentiero rimanendo su tratti più asciutti, in caso contrario è assolutamente necessario utilizzare dei ramponcini. Per informarsi riguardo lo stato del sentiero è possibile contattare l’ufficio turistico di Santa Caterina o di Bormio. In alternativa è possibile accedere al sito del rifugio Branca per visionare le immagini della webcam installata sul tetto, che inquadra proprio questa parte del sentiero. Si prosegue quindi su un tratto abbastanza ripido e dopo un paio di tornanti si scorge il segnale con l'indicazione del sentiero Glaciologico Alto.Appena dopo la ricongiunzione con il sentiero alto inizia quella che probabilmente è una delle aree paesaggisticamente più spettacolari dell'intera escursione. Le enormi cime rocciose coperte di neve sono ormai vicinissime e attorno al sentiero si estende un paesaggio ricco di detriti morenici depositati dalla lenta azione del ghiacciaio. Camminando su un fondo sassoso e superando una piccola frana, si giunge su un'enorme formazione rocciosa rossastra caratterizzata da una superficie levigata e ricca di piccole concavità dove si deposita l'acqua; una volta il fronte del ghiacciaio arrivava fino a qui e nel corso degli anni ha completamente lavorato la parete di roccia. Ancora un piccolo sforzo e finalmente si compie l'ultimo tratto di salita. La vista si apre ora alla vasta piana rocciosa posta alla base del ghiacciaio. Qui detriti, terra scura e enormi massi ferrosi si mescolano, dando vita ad un paesaggio disordinato, quasi malinconico, ma comunque molto affascinante. Scendendo tra piccoli omini di pietra, facendo sempre attenzione ai tratti ghiacciati, ci si può ora anche voltare verso il punto di partenza per osservare tutto il tratto percorso lungo la parte bassa della Valle dei Forni. Il paesaggio da qui è dominato dal massiccio del Gran Zebrù (3.856 m). Da questa posizione la valle risulta essere abbastanza anonima per via dei colori spenti dell'erba, ma guardando in lontananza si scorgono delle punte d'arancio: il piccolo bosco accanto al parcheggio. Proseguendo lungo il sentiero, in 5 minuti si raggiunge il primo ponte tibetano che permette di superare un piccolo fiumicello. Il primo ponte è lungo solamente pochi metri ed è ben saldo, il secondo invece è molto più alto e passa proprio sopra un tratto particolarmente impetuoso del torrente. Se non avete mai percorso un ponte tibetano camminarci sopra sarà sicuramente una bella esperienza. Il ponticello è interamente chiuso da corde metalliche, con le quali ci si può tenere, quindi non c'è assolutamente nessun pericolo. Appena prima del secondo ponte, ci si trova proprio al centro dell'enorme depressione del terreno creata dall’azione del ghiacciaio; questo è probabilmente il punto migliore per ammirarlo nella sua interezza. Dinanzi a questa bellezza è veramente impossibile rimanere indifferenti, anche se lo stupore non può che lasciare presto spazio ad un certo senso di amarezza: la massa di ghiaccio ha delle forme spezzate, in lontananza sono evidenti diversi crolli ed il fronte più vicino è sporco e ricoperto di detriti. Purtroppo il cambiamento climatico non sta lasciando scampo a questo spettacolo della natura ed oggi il ghiacciaio dei Forni non esiste più come massa unitaria, ma si è diviso in tre colate distinte (orientale, occidentale e centrale) ben visibili da questa posizione, Il sentiero prosegue dritto verso il Rifugio Branca, ma è comunque possibile provare ad avvicinarsi maggiormente alla lingua di ghiaccio più bassa. Svoltando a destra quindi è possibile incamminarsi lungo un sentiero pressoché in piano fino al raggiungimento di un piccolo laghetto generato dallo scioglimento del ghiaccio.Camminando lungo la costa del piccolo specchio d'acqua si ha la fortuna di ammirare il ghiacciaio dei Forni da una posizione veramente privilegiata, mentre aggirando il lago sulla destra è possibile avvicinarsi ulteriormente. Il progressivo scioglimento sta causando continue variazioni nella superficie del ghiacciaio: l'altezza della parete sta via via diminuendo e all'interno della stessa si formano e vengono distrutte costantemente delle piccole grotte.È quindi assolutamente sconsigliato provare a entrarci o provare a camminare sopra l'area del ghiacciaio se non si è esperti o accompagnati da una guida.In generale tutto questo tratto alternativo deve essere percorso con molta cautela valutando attentamente i pericoli. Se non ve la sentite non c'è nessun problema, perché la vista è comunque magnifica anche dal sentiero principale. Superato il secondo ponte si giunge all'ennesimo punto estremamente panoramico di questa escursione: un piccolo laghetto che riflette alla perfezione il monte Gran Zebrù.Dopo qualche scatto si riprende la discesa verso il Rifugio Branca, dove il sentiero 520, dopo un ampio tornante sinistrorso, affronta la discesa all'interno di un canalone. Questo brevissimo tratto è abbastanza ripido e parecchio scivoloso per via della presenza di un fiumicello che si riversa sulle rocce. Non ci sono cordini o catene con i quali tenersi, quindi bisogna procedere con passo fermo e facendo molta attenzione.Superato questo tratto un po' tecnico, il sentiero ricomincia a tagliare in mezzo ai prati della valle dei Forni e in pochissimi minuti ci conduce alla base del Rifugio Branca.Il rifugio è chiuso nel periodo autunnale, per conoscere i periodi di apertura è conveniente consultare il loro sito web.Nello spiazzo erboso sottostante al rifugio la veduta non è paragonabile a quella visibile dai ponti, ma è comunque difficile non fermarsi per ammirare il panorama. La traccia descritta prevede ora di scendere lungo il sentiero numero 524.Questo tratto è di fatto un'ampia strada sterrata che serve per raggiungere il Rifugio Branca in jeep direttamente dal parcheggio del Rifugio Forni. La discesa quindi prosegue molto spedita e senza particolari scorci differenti rispetto all'andata. Essendo così ampia e ben battuta, la strada può anche essere tranquillamente percorsa di notte con una torcia, magari dopo aver passato il tramonto proprio alla base del ghiacciaio. In poco più di mezz'ora così si raggiunge nuovamente il parcheggio. Nel periodo estivo è possibile spezzare in due l'escursione fermandosi per pranzo al Rifugio Branca. Da settembre/ottobre il rifugio è però chiuso, per questo sarà necessario portarsi il pranzo al sacco oppure decidere di mangiare alla fine dell'escursione proprio al Rifugio Forni o al Rifugio Stella Alpina, posto pochi chilometri più a valle lungo la strada che da Santa Caterina conduce al parcheggio. - Ph: Stefano Poma
La glaciale Valle dei Forni

Dove ciaspolare in Lombardia

Paesaggi innevati da percorrere con le racchette ai piedi. Anche al chiaro di luna. Consigli per scegliere dove ciaspolare in Lombardia
Ciaspolate in Lombardia

Passo Nota

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Cammino Tignale

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Le Piramidi di erosione di Zone

Ampio e spettacolare anfiteatro situato nella valle che si affaccia sulla sponda orientale del Lago d’Iseo, caratterizzato dalla singolare presenza di numerose piramidi di terra, sormontate da larghi cappelli di roccia, creato dall’azione erosiva sull’originario deposito morenico. La Riserva Regionale delle Piramidi di Erosione di Zone si sviluppa su una superficie di circa 21 ettari ad un altezza tra i 400 metri ed i 600 metri sul livello del mare. Il vasto deposito morenico che dà origine alle Piramidi di Zone è stato lasciato circa 150.000 anni fa dall’imponente ghiacciaio proveniente dalla Valle Canonica; durante la terza glaciazione, di Riss, esso riempiva il bacino ora occupato dal lago d’Iseo con uno spessore di oltre 600 metri, penetrando nella valle del Bagnadore con una lingua laterale. Il fenomeno è originato dalla combinazione di due fattori: dall’erosione degli agenti atmosferici sopra questa morena e dall’azione protettiva compiuta dai massi più grossi, come “cappelli” sulle “colonne di terra” sottostanti. Quando il cappello sommatale cade, la piramide si disgrega rapidamente fino a trovare un altro cappello ad un livello inferiore. Tutto intorno alla Riserva delle Piramidi di Erosione si sviluppa una contesto ambientale di eccezionale rilevanza: Zone, infatti, è incastonata in uno tra gli altipiani più belli dell’intero comprensorio Sebino – Camuno; alle passeggiate rilassanti nei pressi dell’abitato e delle frazioni si possono aggiungere escursioni più o meno difficoltose tra faggi, castagni ed abeti, verso i pascoli del Monte Guglielmo (m. 2000) dell’Aguina (m. 1250) dell’Agolo (m. 1378) ovvero alla scoperta di interessanti punti panoramici che dominano il territorio circostante quali la Corna Trentapassi a sbalzo sul Lago d’Iseo (m. 1248) ed il monte Pura.        
http://www.bresciatourism.it/content/uploads/2012/09/332_332_Piramidi_di_Zone_is...

In bici da Menaggio a Porlezza

Dal Lago di Como al Lago di Lugano lungo le tracce dell' ex-ferrovia
La ciclabile Menaggio - Porlezza

10 motivi per visitare Lodi

Parchi e musei civici. Ceramiche e formaggi tipici. Una piazza completamente porticata. Ma non solo. 10 motivi per visitare Lodi

Alta Via della Valmalenco

L'Alta Via della Valmalenco è un percorso escursionistico in quota costituito da 8 tappe per circa 110 km, che alla fine riporta al punto di partenza.

Pescare a Sondrio e in Valmalenco

4 percorsi di pesca, nel fondovalle lungo l'Adda, lungo il torrente Mallero o nei laghetti alpini di Campagneda.

I Rifugi

La Valmalenco è la più estesa delle valli laterali della Valtellina: quote variabili fra i 500 e i 4000 metri, una corona di cime che si snoda costantemente al di sopra dei 3000 m, culminando ai 4050 m del Pizzo Bernina, orizzonti alpini che abbracciano tutte le fasce vegetative, innumerevoli angoli suggestivi con laghetti, torrenti, cascate.Si aggiungano un’adeguata rete stradale, servizi pubblici efficienti, strutture ricettive attrezzate ed accoglienti in valle e in quota una trama di sentieri ben segnalata.  

Parco al Po

Il Parco al Po, area di intensa frequentazione cittadina, crea un filtro tra la città e l’area naturalistica del fiume Po e delle sue sponde.