- Arte e Cultura
Dust
“L'inverno è terribile, non passa mai.
E una mattina ti svegli. Eri un ragazzo fino a ieri. E non lo sei più.”
È una frase tratta da “I Vitelloni”, capolavoro di poesia di Federico Fellini, l’unica nota che Mattia Omar Raboni lascia a descrivere l’incursione in questo suo lavoro. I “Vitelloni” sono una via di mezzo, un termine che in Romagna indica “chi non è più un ragazzino ma non ha un’identità precisa, chi non sa bene cosa fare di sé”.
Sono dunque la poesia ed un riferimento alla condizione ambigua e permeabile al tempo le chiavi di lettura che l’autore ci spinge a considerare nell’affrontare il suo progetto Dust.
Dust è un percorso fatto di spazi da esplorare in modo emotivamente empatico, fatto di richiami alla nostra esperienza (di gioie ma anche di paure): un viaggio attraverso luoghi “dimenticati”, ma non abbandonati.
E, in questo senso e volendo scendere nello specifico fotografico, la distanza dal genere “urbex” e dai luoghi dell’abbandono è voluta.
Mattia, al contrario, vuole accompagnarci lungo un percorso per immagini che, complice la memoria, porti ognuno ad indagare la propria intimità. Un percorso fatto di luoghi immobili come l'aria che li riempie, posti plasmati dallo scorrere del tempo ed avvolti dal silenzio.
Incursioni visive che portino alla luce l'intrinseca relazione tra il decorso vitale dell'uomo e questi ambienti, da lui stesso definiti, vissuti e lasciati in un determinato momento al proprio inevitabile destino, ma nel mentre apparentemente congelati (come “chi non sa bene cosa fare di sé”) nel loro stato da mantelli di polvere. Dust, per l’appunto.
“Penso che una fotografia sia il mezzo più immediato per rivivere il nostro passato. Sei giovane e tutto va bene, poi gli anni passano e inizi a perdere persone care e custodisci gelosamente le loro fotografie e i momenti belli passati insieme. Diciamo che ho iniziato a fotografare da quando hanno iniziato a mancarmi le persone.
So che è una visione un po' dark, ma questo è quanto.”
Mattia Omar Raboni, classe 1977, si dedica alla fotografia da anni e la approfondisce attraverso l’esperienza diretta e differenti percorsi di studio.
Ha al suo attivo diverse pubblicazioni, tra cui Art Connection e Il Fotografo. Tra i suoi progetti possiamo citare Place To Call My Home (2017), reportage dedicato alla presenza dei migranti sul territorio.
La sua fotografia è fortemente connotata dal ricordo e dalla memoria, ed è in questo contesto che il progetto Dust ha trovato il suo sviluppo.
I suoi punti di riferimento sono molti; per citarne qualcuno: Luigi Ghirri e Gabriele Basilico, adorati in modo particolare, Walker Evans, William Eggleston e Diane Arbus.
Orari
Lunedì-Sabato: 07:30-22:00