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Carnevale di Livemmo
Attraverso il mascheramento, arriva il Carnevale: si esce dal quotidiano, ci si disfa del proprio ruolo sociale (soprattutto se basso) e, negando la propria identità a se stessi, si può diventare qualsiasi altro.
Ci si inoltra nell’eccesso, nella lotta o rivalità tra entità e/o ceti diversi, quasi opposti: bene-male, bello-brutto, sacro-profano, maschio-femmina, contadino-allevatore, padrone –servo, ecc. A Livemmo questa interpretazione della vita raggiunge, nel suo Carnevale, momenti di controllato delirio nelle tre maschere fondamentali, (ma semplicistica ne è tale riduzione): la “vècia del val”, l’”omahì dal zerlo”, il “doppio”.
Esse portano in campo, anzi in piazza, la ribellione ad uno “status” generazionalI. L’uomo privilegiato, la donna asservita; l’uno dedito alla vita sociale di ritrovo, l’altra rifugiata tra le pareti domestiche; il primo gestore del proprio patrimonio sia umano che pecuniario, la seconda dedita ai lavori dei campi, quelli più noiosi e trascurati dal maschio.
Da qui alla “ribellione” nei giorni carnevaleschi il passo è breve; poi si rientra ciclicamente nel silenzio, nel quasi tutto prestabilito e pattuito, come succede e succedeva in comunità ad economia chiusa, curtense (e non).
Accanto a queste tre maschere – date come fondamentali – pullulano una serie di personaggi della vita quotidiana, ciarliera e bigotta: la vecchia e il vecchio in chiacchierato e rinnovato amore, il contadino nei tradizionali abiti di grezzo fustagno, le vicende notturne di persone che pongono all’attenzione la vivace quotidianità arricchita di sotterfugi, gabbature, rivalse.
Presenza non meno scontata quella del diavolo, tutto rosso, cornuto e munito di forca.
Orari
Domenica 24 febbraio dalle ore 14.00