• Itinerari

Monte di Brianza da Olgiate Molgora

Partenza/Arrivo
Da: Calco (LC)
A: Calco (LC)
Tipologia/Periodo
Trekking
Primavera/Estate/Autunno/Inverno
Durata/Lunghezza
6 ore
17km
Dislivello
Salita: 1000m
Difficoltà
PER TUTTI

Il Monte di Brianza ha mantenuto nel tempo un elevato valore paesaggistico: antichi nuclei rurali e cascine, che insieme ai boschi e ai terrazzamenti, hanno conservato e l’architettura e gli abitati della civiltà contadina tipici dell’Alta Brianza.

 

Questo paesaggio rappresenta il valore identitario della Brianza che vede i suoi centri abitati collegati da millenarie mulattiere e una articolata rete sentieristica.

La morfologia del territorio è stata completamente modificata per lo sfruttamento delle risorse, trasformando il paesaggio da ambiente naturale a territorio rurale. Non solo opere agricole, ma vere opere architettoniche, create dall’uomo per modellare la verticalità dei pendii, ampliare lo spazio coltivabile, contenere l’avanzare tenace del bosco e delimitare le proprietà terriere.

Il percorso parte dalla stazione di Olgiate Molgora, dalla quale è possibile già ammirare il rilievo del Monte di Brianza e in particolare a metà costa, il piccolo borgo di Monasterolo.

Dalla stazione si raggiunge la località Olcellera, quindi la frazione di Porchera, lungo un sentiero delimitato da alti muri a secco. L’abbandono di alcuni terrazzamenti ha consentito al bosco di avanzare inglobandoli e dando luogo a consistenti porzioni di bosco terrazzato.

Dopo aver attraversato il sedime della vecchia ferrovia, proseguire lungo lo stretto vicolo fino a scendere all’abitato. Il toponimo di Porchera, derivante da “porcaria”, ovvero “stalla di porci”, lascia chiaramente intendere che un tempo questa era una località caratterizzata dalla presenza di grandi allevamenti di maiali mentre oggi si presenta come un agglomerato di cascine e vecchi edifici. Seguendo l’acciottolato si arriva di fronte a un bivio.

Oltrepassando il sottopasso sotto il sedime ferroviario si arriva in località Stalasc (stallacce), punto di partenza di una lunghissima scalinata, grandiosa opera di architettura contadina che conta ben 1117 gradini e che rappresentava l’arteria principale per raggiungere i numerosi terrazzamenti e ronchi, realizzati utilizzando la pietra locale, in prevalenza arenaria e molera.
Nella porzione più alta della scalinata, degna di nota è la presenza, a destra e a sinistra, di scale costituite da pietre a sbalzo nel vuoto costruite per rimontare i muri del terrazzamento e raggiungere quello superiore o viceversa.

Un tempo questi terrazzamenti, oggi ormai quasi assorbiti dall’avanzare dei rovi, erano coltivati soprattutto a vite per la produzione del vino locale chiamato “Nustranel” e per la coltivazione di frutta e verdura tipica dell’economia di sussistenza contadina. I prodotti che invece venivano prodotti per essere venduti sui mercati agricoli erano principalmente piselli e taccole.
La scalinata di Porchera presenta dei tratti esposti e per tale ragione è opportuno non percorrerla in discesa, soprattutto se bagnata.

Al termine della scalinata si percorre a sinistra il sentiero in piano fino al nucleo di Monasterolo, chiamato così perché in origine era un monastero di monache di clausura, fondato intorno al 1400 da una nobile della famiglia Corno. Fu chiamato Monasterolo per distinguerlo dal più grande e famoso monastero della vicina Bernaga.

Nel 1858, lo storico Giovanni Dozio aveva scritto al riguardo: “A mezzo il monte, che s'alza sopra capo a Porchera, in un angusto ripiano è il Monasterolo, un gruppo di meschine case e quasi decadenti, con un oratorio eretto ad onore di San Giuseppe nel 1736”. Al limitare del borgo si trova la chiesa di San Giuseppe, ora sconsacrata e adibita ad abitazione privata.

La piccola piazza del borgo, dove è possibile approvvigionarsi d’acqua potabile ad una fontanella, merita una sosta. I terrazzamenti intorno all’antico nucleo erano coltivati per consentire l’autosufficienza alimentare, ora invece sono in buona parte abbandonati e lasciati a prato.

Il sentiero continua in salita con segnavia n.2 e a un trivio bisogna mantenere sempre la sinistra, ma vale la pena svoltare a destra per una sosta nell’ampia radura chiamata “camp di tedesch”, dalla quale si gode di un magnifico panorama sulle colline di Montevecchia e alle cui spalle nelle belle giornate si può vede Milano fino a giungere agli Appennini e all’Oltrepò Pavese.

Il sentiero si snoda per circa un chilometro in un bosco di castagno, roverella, frassino, ciliegi e acero montano fino ad arrivare ad un’area di sosta. Si segue il segnavia verso Beverate e si scende fino ad incontrare un bivio. Mantenersi sempre a sinistra sul sentiero n. 6 fino ad intercettare un’ampia strada boschiva, che si segue fino ad arrivare a cascina Rapello.

Sul muro della cascina, da far risalire alla seconda metà del settecento, un affresco di San Giobbe, venerato santo protettore dei cavalè, i bachi da seta, ricorda il tempo in cui la bachicoltura rappresentava un’importante attività per integrare le magre entrate della vita contadina. A quel tempo, sui terrazzamenti era praticata anche la gelsicoltura.

Il sentiero continua in costa fino alla frazione di Aizurro, di cui si scorge tra gli alberi la chiesa.
I terrazzamenti un tempo erano coltivati a piselli, fagioli, cornetti, patate e porri, prodotti che poi venivano venduti al mercato agricolo di Valgreghentino.
In prossimità delle prime case di Aizurro il sentiero si divide e si imbocca la sezione che dolcemente sale fino ad incrociare una strada sterrata che conduce al centro storico. Si hanno notizie di questo nucleo abitato intorno al 1412. Giunti in piazza Roma, si arriva a un grande lavatoio ben conservato, un tempo importante luogo di ritrovo per le massaie della frazione.
L’itinerario continua imboccando la stretta via parallela alla via Tolsera, lungo la quale è possibile godere di un ampio panorama sulla valle dell’Adda, in particolare sul Santuario della Rocchetta, che sorge sulle fondamenta di un antico castello longobardo di cui si hanno notizie già dall'anno 960.

La stretta via si ricongiunge poi con via Tolsera e prosegue per una strada sterrata che si sviluppa a mezza costa tra qualche saliscendi fino al nucleo rurale di Veglio.
Il bosco era qui una estesa selva castanile e tracce di terrazzamento sono ancora visibili. Per una larga fascia delle popolazioni del Monte di Brianza, la coltivazione della castagna ha rappresentato un’importante risorsa alimentare che andava ad integrare la povera dieta contadina. Le castagne, vendute nei mercati del Milanese, costituivano un’entrata economica fondamentale per le famiglie. Da qui si può godere del panorama sulla Valle dell’Adda e sulle Prealpi Bergamasche.

Lungo l’itinerario sulla destra si incontrano terrazzamenti, coltivati a zafferano, patate, frumento e una antica varietà di mais, lo scagliolo. Interessante il masso erratico di serpentinite che si trova lungo la strada, denominato “Sass balena” per la sua particolare sagoma.

Dopo circa 500 metri si arriva a uno dei più suggestivi borghi rurali del Monte di Brianza: Veglio. Il toponimo potrebbe essere ricondotto al significato di “vegliare”, “fare da guardia”. La sua presenza è attestata fin dal 1412. I terreni circostanti appartenevano alle monache del monastero della Bernaga (Perego ora La Valletta Brianza). La struttura, antecedente al Settecento, è un raro esempio di abitato montano a cortina chiusa e compatta, che definisce una corte stretta e allungata sulla quale si affacciano gli edifici, costruiti in pietra con piccole e rade finestrature.
La fila di gelsi, ora ridotta a pochi esemplari, costituiva una caratteristica architettura vegetale, che incorniciava l’ingresso di Veglio, a testimonianza della pratica della bachicoltura, comprovata anche dalla presenza in un locale della cascina di graticci per l’allevamento del baco da seta.

Si prosegue e a circa 200 metri in alto sulle balze, si trova una cappelletta votiva dedicata ai morti della peste, il cui affresco appare purtroppo indecifrabile. Poco più avanti sulla destra prendere il segnavia che indica la direzione Biglio.

Il sentiero attraversa nel bosco la valle della Pizza, lungo la quale si notano grandi massi erratici di granito-ghiandone, testimonianza del ghiacciaio nella Valle dell’Adda.
Si abbandona il bosco solo in prossimità delle prime case di Biglio che documenta il tipico borgo contadino dell’Alta Brianza. L’abitato si sviluppa in due parti: Biglio Inferiore e sopra un pianoro più in alto, Biglio Superiore. Nel suo “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani”, redatto tra il 1290 e il 1311, Goffredo da Bussero ne cita la piccola chiesa di campagna. Le cronache riferiscono della presenza di un piccolo cimitero ora scomparso.

L’architettura del nucleo rurale di Biglio Inferiore risente dell’influenza del Bergamasco e di conseguenza della Serenissima. Le costruzioni sono basse e all’interno si trovano stalle, fienili e ricoveri per attrezzi.
Salendo lungo la mulattiera si osserva, oltre al vasto panorama, i terrazzamenti che modellano l’ampio costone tra Biglio Superiore e Biglio Inferiore.

Qui il paesaggio offre uno degli scorci più significativi e di grande bellezza del Monte di Brianza.
I terrazzamenti a fianco dell’abitato di Biglio Inferiore sono coltivati a ortaggi e conservano molti alberi da frutta antica. Biglio Superiore è ancora abitato e un bel lavatoio, recentemente recuperato, campeggia in mezzo alle case presso l’Agriturismo “Il Terrazzo”.

Il giro vallivo continua salendo per la mulattiera mantenendo la sinistra. Dopo poche decine di metri dalle ultime case di Biglio si intravvede sulla destra della riva un piccolo sentiero che sale sopra un grande pianoro, dal quale la vista sul Monte Resegone è imperdibile.
Si segue sempre il segnavia n.9.
Dopo circa un chilometro si incontra uno dei più caratteristici elementi del nostro paesaggio rurale: un casotto, in dialetto “cassòt”, ricovero degli attrezzi o avamposto per lo sfruttamento delle risorse legate al bosco e ai terrazzamenti, e più avanti una bella cappelletta dedicata alla Madonna e ai morti della peste.

Dopo circa due chilometri dall’abitato di Biglio, si arriva in prossimità di Campiano, di cui è attestata la presenza in un atto riferito alla sua selva nel 960. Il toponimo significherebbe “campo in piano”. Da Campiano si raggiunge l’’Eremo del San Genesio seguendo il segnavia n. 4, percorrendo un ripido sentiero. Al Ristoro Alpino San Genesio il servizio è garantito nei giorni di sabato e domenica. Dalla sommità del Monte San Genesio è possibile spaziare su un ampio panorama.

Si racconta che anticamente su questo colle ci fosse un tempietto dedicato a Giove (da cui il toponimo del vicino paese di Giovenzana) o a Giano (da cui deriverebbe Genesio). Il primo documento storico in cui si parla di una cappella di S. Genesio sul Monte Suma risale all'anno 950.
Nei secoli fu dimora prima dei monaci agostiniani e successivamente dei monaci camaldolesi. L’eremo è oggi proprietà privata.

Ancora ben tenuti sono i terrazzamenti che disegnano e contengono il grande giardino intorno all’eremo.
Dall’Eremo si segue e sempre il segnavia n. 1 fino ad arrivare alle prime case di Campsirago, nascoste dietro grandi affioramenti di roccia arenaria, il cui nome deriva da "campi sirati", che significa "terreni coltivati e muniti di silos", e testimonia la più che millenaria tradizione agricola di questo centro. Molto probabilmente la piccola comunità conservava cibi e raccolti in questi depositi (forse anche sotterranei) e poteva così essere autosufficiente in tutte le sue necessità.

Le attuali costruzioni risalgono al XIV - XV secolo con alcuni edifici forse di epoca medievale.
I terrazzamenti sono mantenuti a prato, testimoniando la transizione della vocazione di Campsirago, da borgo agricolo a borgo residenziale. Lasciando alle spalle le ultime case, prima del grande parcheggio della frazione, svoltare a sinistra e seguire il sentiero n. 1.

Questo consente, attraverso una millenaria mulattiera, di camminare agevolmente in bosco per due chilometri fino alla frazione di Mondonico.
Durante il percorso è interessante notare muri a secco di buona fattura e efficienti opere di ingegneria idraulica per governare i numerosi affluenti del torrente Molgora che nascono proprio in questa valle.

Degna di nota, nei pressi della località Campione, è la presenza di un enorme masso coppellato in arenaria, importante reperto archeologico che attesta la presenza dell’uomo ancora prima dell’Età del Ferro.
Prima di arrivare a Mondonico, una evidente mulattiera sulla sinistra invita a raggiungere il vecchio nucleo rurale con un piccolo oratorio dedicato al Santo Crocifisso. La località è nota con il nome di il Casino e il toponimo potrebbe riferirsi all'uso di uno degli edifici come residenza rurale signorile adibita all'attività venatoria.

Passando a lato dell’Oratorio del Santo Crocifisso, il percorso fiancheggia notevoli muri a secco e terrazzamenti abbandonati, invasi dai rovi. Il bosco terrazzato ha preso il sopravvento sia a valle che a monte del percorso. Dopo aver oltrepassato un caseggiato bianco sulla sinistra, chiamato Cà Bianca, il sentiero si dirama in un bivio. Piegare a destra e al masso erratico con una piccola cappelletta votiva alla Madonna proseguire a sinistra verso Monasterolo attraversando la Valle del Corna, dove scorre l’omonimo torrente.

Sotto l’abitato di Monasterolo, prendere la direzione per Olgiate Stazione, scendendo per una suggestiva mulattiera tra terrazzamenti e alti muri a secco fino all’imbocco del sentiero a destra, che conclude l’anello e arriva alla stazione di Olgiate Molgora.

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